Settembre 1st, 2025 Riccardo Fucile
MUSUMECI VUOLE UN PAESE IN CUI LA STAMPA NON RACCONTI E I MAGISTRATI NON INDAGHINO
Quando un ministro della Repubblica, in questo caso Nello Musumeci, con voce rotta
dall’indignazione teatrale, accusa i magistrati di essere “killer” e i giornalisti di esserne complici armati di penna, non ci troviamo davanti a una sbavatura verbale, né a un’esuberanza da comizio. Siamo, invece, al cospetto di un disegno. Un disegno consapevole, deliberato, persino collaudato. Si tratta dell’ennesimo tentativo, consunto, eppure sempre efficace per certi pubblici, di delegittimare le due forme più potenti di controllo del potere: la giustizia autonoma e l’informazione libera.
Il ministro Musumeci, con un cipiglio che pare preso in prestito da un teatro dell’assurdo più che da un governo liberale, finge di difendere i “distrutti” dalla macchina del fango, ma in realtà colpisce al cuore due capisaldi di ogni democrazia liberale: la magistratura indipendente e il giornalismo che sorveglia il potere.
E allora: chi teme davvero il giudizio dei magistrati? Chi ha paura delle parole pubblicate? Chi si scopre nudo quando il giornalista racconta, con nomi e documenti, il patto nascosto, la menzogna del tribuno, l’affare torbido? Sono gli stessi che oggi, con la voce di un ministro, accusano i giudici di essere sicari e i cronisti di essere correi.
Questo è lo schema. Il potere, quando sente di vacillare sotto lo scrutinio della legge e della stampa, si racconta come vittima. Si costruisce una mitologia dove il corrotto è in realtà perseguitato; il ladro, un martire della giustizia a orologeria; il bugiardo, un patriota.
E non è un caso che queste parole vengano pronunciate a Catania, dove a maggio di due anni fa la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha definito le tasse “un pizzo di Stato”. Anche lì, il linguaggio non era una svista. Era un colpo assestato alle fondamenta stesse dello Stato di diritto. Se il fisco è mafia, lo Stato è il nemico. Se il giudice è un killer, la legge è
una vendetta. Se il giornalista è una spia, la verità è un fastidio.
Il vero problema non è che un politico venga assolto dopo un lungo processo: è che la politica preferisca il silenzio alla trasparenza. Che pretenda una stampa muta e una giustizia cieca. Il punto non è l’innocenza, ma il dovere di rendere conto. È questa la fatica della democrazia: che ogni uomo pubblico risponda delle sue azioni. Non davanti a un tribunale speciale del popolo, ma davanti ai giudici, se c’è un reato, e davanti all’opinione pubblica se c’è un’etica da infrangere.
Musumeci vuole un Paese in cui la stampa non racconti e i magistrati non indaghino, almeno quando a essere indagato è “uno dei nostri”. Ma questo Paese, per fortuna, non esiste ancora. E se continua a esistere, è proprio grazie a quei giudici che non piegano la schiena e a quei giornalisti che non si fanno zittire dai morsi del potere.
Alla fine, ciò che dà fastidio non è l’errore giudiziario o l’informazione inesatta, che esistono, certo, e vanno corretti. Ciò che davvero disturba certi ministri è la luce. Perché il potere, quando ha qualcosa da nascondere, non ama mai che qualcuno accenda un riflettore.
(da repubblica.it)
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Settembre 1st, 2025 Riccardo Fucile
L’ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE DEGLI STUDIOSI DEI GENOCIDI, COMPOSTA DA CENTINAIA DI ESPERTI: “FERITI O UCCISI OLTRE 50.000 BAMBINI, LE AZIONI DI ISRAELE RIENTRANO NELLA DEFINIZIONE GIURIDICA DI GENOCIDIO”
Il governo e l’esercito israeliano, nella Striscia di Gaza, stanno commettendo un genocidio. A usare ufficialmente il termine è una risoluzione della Iags (l’Associazione internazionale degli studiosi dei genocidi), che raccoglie oltre cinquecento esperti
della materia. Il motivo è semplice: le azioni di Israele “soddisfano la definizione giuridica di genocidio”, contenuta in un’apposita convenzione delle Nazioni unite.
La Iags è un’associazione nata nel 1994 negli Stati Uniti, e oggi raccoglie membri da tutto il mondo. Nei suoi trentuno anni di storia ha approvato tredici risoluzioni che dichiaravano un genocidio. Dall’Armenia al Darfur, dai Rohingya in Birmania agli Uiguri in Cina, fino al genocidio dei Curdi e quello avvenuto in Nagorno-Karabakh per opera dell’Azerbaigian. Ieri, i suoi membri hanno approvato con un’ampia maggioranza la risoluzione che prende posizione anche sui fatti di Gaza.
La definizione di genocidio
Nei quasi due anni dall’inizio dei bombardamenti israeliani sulla Striscia, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, la parola “genocidio” è spesso stata considerata divisiva. Ma negli ultimi mesi sempre più spesso associazioni umanitarie, intellettuali ed esperti l’hanno utilizzata spiegandone il motivo. La Convenzione Onu sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, entrata in vigore nel 1951, definisce così il reato:
Genocidio significa qualunque dei seguenti atti commessi con l’intenzione di distruggere, del tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale:
a) uccidere membri del gruppo
b) causare seri danni fisici o mentali a membri del gruppo
c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita pensate per causarne la distruzione fisica, del tutto o in parte
d) imporre misure mirate a prevenire le nascite nel gruppo
e) trasferire con la forza bambini del gruppo in un altro gruppo
“Attacchi agli ospedali, bambini uccisi, deportazioni”: Israele compie crimini di guerra e contro l’umanità
“Dal terribile attacco condotto da Hamas il 7 ottobre 2023, che costituisce di per sé un crimine internazionale, il governo di Israele si è reso responsabile di crimini sistematici e diffusi
contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio, compresi attacchi indiscriminati e deliberati contro i civili e le infrastrutture civili (ospedali, abitazioni, edifici commerciali, ecc.) di Gaza”, si legge nel risoluzione della Iags. Le azioni di Israele “non sono state dirette solo contro il gruppo Hamas, responsabile di tali atti, ma hanno anche preso di mira l’intera popolazione di Gaza”.
Tra queste azioni ci sono “torture, detenzioni arbitrarie e violenze sessuali e riproduttive”. Ma anche “attacchi deliberati contro professionisti del settore medico, operatori umanitari e giornalisti”, e “la privazione deliberata di cibo, acqua, medicine ed elettricità essenziali per la sopravvivenza della popolazione”.
Non solo. Il governo israeliano ha “sfollato con la forza più volte quasi tutti i 2,3 milioni di palestinesi della Striscia di Gaza e ha demolito oltre il 90% delle infrastrutture abitative del territorio”. Ha “ucciso o ferito più di 50mila bambini”, un gruppo particolarmente protetto dal diritto internazionale e dalla Convenzione sul genocidio: “Prendere di mira i bambini è indice dell’intenzione di distruggere un gruppo in quanto tale, almeno in parte. I bambini sono essenziali per la sopravvivenza di qualsiasi gruppo in quanto tale”.
La risoluzione elenca i moltissimi motivi che la sostengono, rimandando ai rapporti internazionali che forniscono le prove necessarie. In alcuni casi si parla di dichiarazioni, come l’appoggio dei Benjamin Netanyahu per “il piano dell’attuale presidente degli Stati Uniti di espellere con la forza tutti i palestinesi dalla Striscia di Gaza, senza diritto di ritorno”. In altri, di atti più concreti, come “la distruzione deliberata di campi agricoli, magazzini alimentari, panifici e altre violenze che impediscono la produzione di cibo, insieme al rifiuto e alla restrizione degli aiuti umanitari”.
Infine, si ricorda che “numerosi esperti israeliani, palestinesi, ebrei e altri studiosi che lavorano nel campo degli studi sull’Olocausto e sul genocidio e nel diritto internazionale hanno
concluso che le azioni del governo e dell’esercito israeliani costituiscono un genocidio”. Per questo, l’associazione dichiara che ciò che sta accadendo a Gaza è un genocidio e chiede al governo di Israele di fermarsi.
(da Fanpage)
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Settembre 1st, 2025 Riccardo Fucile
L’EX SINDACA SI E’ IMBARCATA SULLA GLOBAL SUMID FLOTILLA: “CHIEDERO’ SCUSA A TUTTI I PALESTINESI IN NOME DELL’EUROPA”
La Global Sumud Flotilla è salpata ieri, nel primo pomeriggio, dal Moll de la Fusta di
Barcellona. L’obiettivo, anzi, il sogno è quello di riuscire a attraccare a Gaza per consegnare le tonnellate di cibo e aiuti umanitari raccolti nelle ultime settimane. Tra i volontari determinati a sfidare Israele c’è anche Ada Colau che, assieme a Greta Thunberg, è il volto più noto della flotilla. Poco prima di partire, l’ex sindaca di Barcellona, una vita da attivista, ha ancora un sorriso per tutti, nonostante sia cosciente dei pericoli della missione che la porterà lontana dai suoi figli – Luca e Gael, rispettivamente 14 e 8 anni – senza sapere per quanto tempo.
Ha paura?
“Un po’ di paura è logico averla, perché lo Stato di Israele non rispetta la vita umana, non rispetta i diritti umani, né la legge internazionale. E sappiamo, inoltre, come ha agito in altri casi (Handala e Madleen, ndr), sparando sulle imbarcazioni e deportando le persone che ha trovato a bordo. Quindi è ovvio che un po’ di paura ci sia, ma mi fa ancora più paura non fare nulla per fermare questo genocidio e essere costretta a dire ai
miei bambini che in futuro non si rispetteranno più i diritti umani e nessuno sarà al sicuro su questo pianeta.
“Non solo Palestina, insomma.
“Esatto, siamo qui per difendere non solo la sicurezza della Palestina, ma quella di tutta l’umanità, dei nostri bambini. Questa flotilla è storica perché per la prima volta ci saranno tante navi. La tendenza dev’essere questa: essere sempre di più. Solo così, alla fine, potremo farcela”.
Ottimista?
“Sì, perché la maggior parte dell’umanità è dalla parte del bene, non del male”.
Idealista, allora.
“È importante continuare a crederci perché Trump, Netanyahu e tutti i signori della guerra vogliono farci perdere la speranza e questa flottiglia è tutto il contrario perché dice a Gaza e ai palestinesi che non sono soli, che non ci dimentichiamo di loro, che loro non si arrendono e noi neanche. A Gaza è in gioco la vita di tutti noi ed è per questo che vogliamo portare l’aiuto umanitario che dovrebbero portare i governi europei che, però, sono codardi. Faremo tutto il possibile per arrivare in modo pacifico, ma lo faremo con determinazione”.
Governi europei e Unione europea?
“Sì, è una vergogna. Ho vissuto da sindaca l’invasione della Russia sull’Ucraina. In quel caso c’è stata una risposta immediata di tutta l’Unione Europea. Abbiamo rifiutato l’invasione e rotto tutti i rapporti politici ed economici, isolando la Russia in pochissimi giorni. Ora, invece, veniamo da due anni di genocidio e l’Unione Europea continua a guardare dall’altra parte, perché? Perché sono poveri? Perché gli israeliani hanno il sostegno degli Stati Uniti?”.
La sorprende?
“È un’ipocrisia inaccettabile. Se vuole avere qualche futuro come progetto politico, l’Europa deve cambiare atteggiamento
immediatamente. O si difendono i diritti umani per tutti o si finirà per non difendere quelli di nessuno. Oggi l’Unione Europea sta fallendo come progetto politico e noi europei abbiamo questa responsabilità, anche per il nostro ‘privilegio’ di essere bianchi europei, di fare tutto il possibile per costringere i nostri governi a smetterla di fare gli ipocriti e muoversi per isolare Israele con delle sanzioni commerciali effettive, interrompendo i rapporti politici e isolando Israele per forzarlo a cambiare completamente l’atteggiamento e smettere di ammazzare i bambini e la popolazione palestinese in generale”.
Il Governo Sánchez è stato una delle poche voci fuori dal coro.
“Vero. Pedro Sanchez è stato un po’ più coraggioso di altri governi europei schierandosi a favore della pace e del riconoscimento dello Stato palestinese, ma purtroppo l’ha fatto soltanto a parole. Per quanto mi riguarda è inaccettabile e ingiustificabile che la Spagna, nell’ultimo anno, abbia aumentato il proprio traffico di armi con Israele. Sono le stesse armi che poi servono ad ammazzare i bambini a Gaza”.
Il governo Meloni, invece, ha deciso di non decidere, favorendo lo status quo.
“Parliamo di un governo di estrema destra e, quindi, mi stupisce poco. Ma è comunque una vergogna perché conosco bene l’Italia e so che ha un popolo solidale, che si è mosso tante volte per la pace”.
Almeno di solito, però, un governo è l’espressione politica del proprio popolo.
“Le assicuro che in tutti i movimenti internazionali ho sempre incontrato tantissimi italiani pronti a fare tutto il possibile per la pace e per i diritti umani. Quindi non ho dubbi sul fatto che anche nel popolo italiano ci sia una maggioranza solidale. Questo, però, è un governo che non è all’altezza della situazione e a cui fa comodo questo atteggiamento europeo ipocrita di guardare dall’altra parte, permettendo a Netanyahu di continuare
a ammazzare i bambini. Ma la storia metterà tutti noi davanti a questo specchio e ognuno di noi dovrà rispondere. Anche Meloni”.
E l’Onu.
“Era già debole, ma il cambio politico negli Stati Uniti l’ha indebolita ulteriormente. Tuttavia, non dobbiamo arrenderci perché abbiamo bisogno di un’organizzazione internazionale in grado di far rispettare i diritti umani, altrimenti siamo destinati alla giungla, alla barbarie, al tutti contro tutti”.
Se riuscirete a mettere piede a Gaza, qual è la prima cosa che vuole fare?
“Mi vengono i brividi solo a pensarci. La cosa più importante sarà quella di consegnare tutto ciò che portiamo. Prima, però, mi piacerebbe rivolgermi agli abitanti di Gaza e a tutti i palestinesi per chiedere scusa in nome dell’Europa”.
(da Fanpage)
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Settembre 1st, 2025 Riccardo Fucile
IL “WASHINGTON POST” RIVELA IL DOSSIER DI 38 PAGINE ARRIVATO SULLA SCRIVANIA DI QUEL PALAZZINARO DI TRUMP… I DUE MILIONI DI PALESTINESI POTRANNO “VOLONTARIAMENTE” DECIDERE DI ANDARE ALL’ESTERO, OTTENENDO 5.000 DOLLARI IN CONTANTI A PERSONA PIÙ I SUSSIDI PER QUATTRO ANNI DI AFFITTO, OPPURE POTRANNO ABITARE IN ENCLAVI “DERADICALIZZATE” (CIOÈ SENZA HAMAS) …AGLI USA SPETTERA’ LAMMINISTRAZIONE DELLA STRISCIA PER DIECI ANNI, MENTRE I SOLDI PER I MEGA-LAVORI SAREBBERO MESSI DA PRIVATI
Un piano per Gaza ideato per compiacere Donald Trump. Dove c’è tanto business, cifre tonde con una sfilza di zeri, ci sono gli investimenti, la tecnologia, l’intelligenza artificiale, i data center.
Molto mattone, niente Palestina. E dove i gazawi, più che i legittimi abitanti di quella terra ridotta in macerie da 22 mesi di missili israeliani, sono l’ostacolo principale a un progetto da 100 miliardi di dollari. Da far accomodare fuori, mentre le gru lavorano. Ancora meglio se poi ci restano.
Il progetto si chiama GREAT Trust, con great che sta per “Gaza reconstitution, economic acceleration and transformation” ed è scritto in stampatello, come MAGA: chiaro ammiccamento allo slogan caro al tycoon, Make America great again.
In 38 pagine, rivelate dal Washington Post, si condensa il destino della Striscia così come lo hanno immaginato gli israeliani che già hanno pensato il sistema della Gaza humanitarian foundation, la controversa fondazione americana che si serve di contractor armati per distribuire il cibo.
Il dossier è sul tavolo di Trump, insieme ad altre proposte simili per il dopoguerra. Non è stata ancora presa una decisione definitiva, ne stanno parlando.
«Gaza diventerà uno scintillante resort turistico, e un hub per la tecnologia e l’artigianato high-tech», promette il prospetto, articolato in capitoli e tabelle. Il rendering mostra una città che ricorda Dubai ma tra il verde, edificata su un territoriinesistente con corsi d’acqua, campi irrigati, piante che lambiscono la spiaggia.
«Da un proxy iraniano demolito a un prospero alleato di Abramo», è la didascalia che accompagna le 38 pagine, suggerendo così che gli autori — come conferma il Washington Post che ha parlato con due fonti a conoscenza del dossier e delle interlocuzioni in corso alla Casa Bianca — sono israeliani.
La parte finanziaria, invece, è stata elaborata da un team che lavorava per il Boston Consulting Group prima di essere allontanato quando sono usciti sul Financial Times i preventivi dei costi.
Il GREAT trust si basa sulla premessa dello spostamento temporaneo di 2 milioni di gazawi: possono «volontariamente» decidere di andare all’estero, ottenendo un contributo di 5.000 dollari in contanti a persona più i sussidi per coprire le spese di quattro anni di affitto, oppure potranno abitare in enclavi «deradicalizzate» (cioè senza Hamas) all’interno della Striscia per il periodo della ricostruzione.
A chi ha delle proprietà, case o terreni, si prevede venga offerto un «digital token» in cambio dei diritti immobiliari, che può essere usato per rifarsi una vita altrove oppure per riscattare un appartamento in una delle sei «smart city progettate con l’intelligenza artificiale» da realizzare.
Il piano prevede inoltre che gli Stati Uniti assumano il controllo amministrativo della Striscia per almeno dieci anni. L’investimento ipotizzato si aggira sui 100 miliardi di dollari, con una prospettiva di resa quattro volte superiore nell’arco del decennio.
Altra cosa che piacerà a Trump: a differenza della Ghf, il GREAT trust non è finanziato con fondi governativi degli Usa e «non fa affidamento sulle donazioni». Per metterlo in pratica, se mai il presidente americano lo sceglierà, intercetta investimenti pubblici e privati su «mega progetti» di hotel sul mare e impianti per le auto elettriche.
L’obiettivo di chi ha formulato il GREAT trust è di mettere in pratica l’intenzione, più volte dichiarata da Trump, di trasformare Gaza nella «Riviera del Medio Oriente». Idea avuta per primo da suo genero, Jared Kushner, che in Medio Oriente ha notevoli interessi economici.
Ancora mercoledì scorso alla Casa Bianca si è tenuta una
riunione sul tema, a cui hanno partecipato il segretario di Stato Marco Rubio, l’inviato di Trump Steve Witkoff (ha parlato di un «piano vasto allo studio»), l’ex premier britannico Tony Blair e, appunto, Kushner.
La stampa inglese ha pubblicato parte del contenuto della proposta di Blair, che si fonda su tre punti: 1) rendere Gaza un polo commerciale e una stazione balneare; 2) tenere lì i palestinesi, senza sfollamenti volontari o forzati; 3) l’accordo con Abu Mazen.
«Gaza è ormai un gigantesco sito di demolizione», disse qualche mese fa Trump. «Va ricostruita in modo diverso, ha una location eccezionale sul mare, un clima magnifico».
(da La repubblica)
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Settembre 1st, 2025 Riccardo Fucile
COSA SAREBBE SUCCESSO SE IL VELIVOLO SI FOSSE SCHIANTATO? COME AVREBBE RISPOSTO LA NATO? – LE AUTORITÀ BULGARE RIVELANO CHE, DALL’INIZIO DELLA GUERRA IN UCRAINA, SONO AUMENTATE LE INTERFERENZE AI GPS, CHE METTONO KO LE STRUMENTAZIONI DI BORDO DEGLI AEREI
Un presunto attacco di interferenza russa contro la presidente della Commissione
europea, Ursula von der Leyen, ha disattivato i servizi di navigazione Gps in un aeroporto bulgaro e ha costretto l’aereo del presidente della Commissione europea ad
atterrare utilizzando mappe cartacee.
Lo riporta il Financial Times, spiegando che un aereo che trasportava von der Leyen a Plovdiv domenica pomeriggio è stato privato dei sistemi di navigazione elettronica durante l’avvicinamento all’aeroporto della città, in quella che tre funzionari informati sull’incidente hanno definito un’operazione di interferenza russa.
“Il Gps dell’intera area aeroportuale si è spento”, ha detto uno dei funzionari. Dopo aver sorvolato l’aeroporto per un’ora, il pilota dell’aereo ha deciso di atterrare manualmente utilizzando mappe analogiche, hanno aggiunto.
“Si è trattato di un’innegabile interferenza”. Il Cremlino e la Commissione Europea sono stati contattati per un commento. L’Autorità bulgara per il controllo del traffico aereo ha confermato l’incidente in una dichiarazione al Financial Times. “Da febbraio 2022, si è registrato un notevole aumento dei casi di jamming (Gps) e, di recente, di spoofing (falsificazione sorgenti di informazioni e dati)”, si legge nel rapporto. “Queste interferenze interferiscono con la ricezione accurata dei segnali Gps, causando diverse sfide operative per i sistemi aerei e terrestri”.
Il cosiddetto jamming e spoofing Gps, che distorce o impedisce l’accesso al sistema di navigazione satellitare, ricorda il Financial Times, veniva tradizionalmente utilizzato dai servizi militari e di intelligence per difendere siti sensibili, ma è stato sempre più utilizzato da paesi come la Russia come mezzo per interrompere la vita civile.
Negli ultimi anni, gli incidenti di disturbo del segnale GPS sono aumentati notevolmente nel Mar Baltico e negli stati dell’Europa orientale vicini alla Russia, colpendo aerei, imbarcazioni e civili che utilizzano il servizio per la navigazione quotidiana. Von der Leyen era in volo da Varsavia alla città bulgara centrale per incontrare il primo ministro Rosen Zhelyazkov e visitare una
fabbrica di munizioni. Dopo la visita, von der Leyen ha lasciato Plovdiv sullo stesso aereo senza incidenti.
(da agenzie)
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Settembre 1st, 2025 Riccardo Fucile
GIDEON RACHMAN, COMMENTATORE DEL “FINANCIAL TIMES”: “IL PRESIDENTE RUSSO PUÒ CONSOLIDARE L’ALLEANZA CON PECHINO. PER PUTIN E PER XI È L’OCCASIONE DI PORTARE DALLA PROPRIA PARTE IL COSIDDETTO SUD GLOBALE, DI CUI L’INDIA È UNO DEI PESI MASSIMI” – “ L’AMERICA È GUIDATA DA UN LEADER INSTABILE E PRONTO A LITIGARE CON TUTTI”
«Un summit che dà a Putin l’occasione di uscire dall’isolamento internazionale, a Modi un’opportunità di partnership con la Cina dopo la sua irritazione nei confronti di Trump e a Xi Jinping una vetrina per affermarsi sempre di più come il leader del Sud Globale.
Gli unici a perderci sono l’America e l’Europa, anche se quest’ultima, facendo la mossa giusta, potrebbe cercare di riempire almeno in parte il vuoto lasciato da Washington nelle relazioni fra Occidente e India».
È l’opinione di Gideon Rachman, principale commentatore di affari internazionali del Financial Times e autore di L’era dell’uomo forte, sugli incontri in corso in questi giorni a Tianjin per la Conferenza di Shanghai per la Cooperazione.
Quale è il maggiore significato di questi colloqui, Rachman?
«Il massimo significato è per l’India. Erano sette anni che Modi non andava in Cina. Stavolta ci è arrivato sullo sfondo di un drastico peggioramento dei rapporti fra Delhi e gli Stati Uniti.
L’America aveva costruito per vent’anni una relazione con l’India, Donald Trump l’ha mandata in fumo in pochi mesi: non si capisce se l’abbia fatto consapevolmente o meno, ma il risultato è comunque identico.
A Modi non è piaciuto per niente il modo in cui il presidente americano si è attribuito il merito della fine delle ostilità brevemente scoppiate di recente fra India e Pakistan.
E poi sono arrivati i dazi imposti da Washington, che danneggiano l’economia indiana. Per ragioni di orgoglio nazionale, simboliche e concrete, la risposta è un avvicinamento di Modi alla Cina. A scapito degli Usa e in generale dell’Occidente».
Ma è credibile che nel lungo termine due giganti come Cina e India siano “partner, non rivali”, come ha detto il presidente cinese Xi a Modi nel loro colloquio bilaterale?
«Nel lungo termine, probabilmente no. Ma nel breve e medio termine, se gli Stati Uniti non cambiano atteggiamento, è certamente possibile e nell’interesse di entrambi».
E cos’ha da guadagnare Vladimir Putin da questo carosello di consultazioni in Cina?
«In primo luogo, ci guadagna qualcosa per il solo fatto di esserci: è un modo di rompere l’isolamento internazionale.
Il presidente russo può inoltre consolidare l’alleanza con Pechino, che continua a fornirgli assistenza militare e a sostenerlo nella guerra in Ucraina
Infine, sia per Putin che per Xi, è l’occasione di portare dalla propria parte il cosiddetto Sud Globale, di cui l’India è uno dei pesi massimi, anche questo in antitesi all’Occidente».
E cosa ci guadagna la Cina?
«Il ruolo di leader globale, che predica stabilità e mantiene rapporti con tutti, mentre l’America, leader dell’Occidente, è guidata da un leader instabile e pronto a litigare con tutti. […] questo vertice fornisce a Xi una vetrina perfetta.
Anche nella prospettiva di cosa fare con Taiwan: finché l’America e l’Europa sono distratte dalla guerra in Ucraina, Pechino si sentirà più libera di agire come ritiene opportuno».
Ecco, l’Europa: cosa possono fare la Ue e il Regno Unito di fronte a simili sviluppi?
«L’unica mossa possibile è offrire una sponda alla potenza asiatica democratica che l’America ha abbandonato: l’India.
Modi è in cerca di partner politici ed economici. Ne può trovare in Cina e in Russia, ma probabilmente sarebbe interessato anche all’Europa, se Bruxelles e Londra sapranno giocare bene le proprie carte».
(da “la Repubblica”)
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Settembre 1st, 2025 Riccardo Fucile
“SE TOCCATE LA FLOTILLA BLOCCHIAMO TUTTI I PORTI D’EUROPA, DA QUI NON USCIRA’ PIU’ NULLA DESTINATO A ISRAELE”
Il discorso del lavoratore Usb sta diventando virale: «Se noi per soltanto venti minuti
perdiamo il contatto con le nostre barche, con le nostre compagne e i nostri compagni, noi blocchiamo tutta l’Europa, e me lo sono scritto qua così non me lo dimentico»
Sta diventando virale il discorso di un esponente del sindacato Usb, un portuale genovese, a sostegno della Gaza Sumud Flotilla, flotta di navi partita sia dai porti di Genova che da Barcellona, per portare, via mari, aiuti umanitari alla Striscia di Gaza.
«Voglio che sia chiaro a tutti – ha detto un lavoratore dal palco allestito ieri nel porto di Genova in occasione della partenza della flotta – intorno a metà settembre queste barche arriveranno vicino alla costa di Gaza. Se noi per soltanto venti minuti perdiamo il contatto con le nostre barche, con le nostre compagne e i nostri compagni, noi blocchiamo tutta l’Europa, e me lo sono scritto qua così non me lo dimentico. Insieme al nostro sindacato Usb, insieme a tutti i lavoratori portuali che ci stanno, insieme a tutta la città di Genova da questa regione escono 13-14 mila container all’anno per Israele, non esce più un chiodo».
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Settembre 1st, 2025 Riccardo Fucile
AI VOLONTARI GIÀ IN MARE SI UNIRANNO BARCHE DA TUNISIA, GRECIA, SICILIA. IN TOTALE UNA CINQUANTINA DI VELIERI, PER AGGIRARE IL BLOCCO IMPOSTO DA ISRAELE…«NON LANCIATE OGGETTI, NON RESISTETE» LE REGOLE DELLA FLOTILLA PIÙ GRANDE
«Mentre il mondo tace, noi salpiamo». La Global Sumud Flotilla ha iniziato ieri il suo lento viaggio verso Gaza. Ventotto le imbarcazioni partite da Barcellona e da Genova tra gli applausi della folla accorsa per sostenere l’iniziativa che l’attivista brasiliano Thiago Ávila ha definito «la più grande missione umanitaria della storia».
Il 4 settembre ai volontari già in mare si uniranno altre barche dalla Tunisia, dalla Grecia e dalla Sicilia. In tutto la spedizione dovrebbe contare su una cinquantina di piccoli velieri, che, essendo più agili e numerosi, dovrebbero, secondo gli organizzatori, riuscire a forzare il blocco imposto da Israele.
L’equipaggio, circa 500 persone provenienti da 44 Paesi, è formato da attivisti e politici noti come l’ambientalista Greta Thunberg, l’attore irlandese Liam Cunningham e l’ex sindaca di Barcellona Ada Colau.
Il viaggio non sarà breve, si prevede che la flottiglia arrivi a metà settembre nei pressi delle acque territoriali israeliane.
Da quando Gerusalemme ha imposto il blocco a Gaza nel 2007, si sono svolte più di 37 missioni marittime. Questa è la più imponente. Sumud in arabo vuol dire «resilienza» e dà il nome all’iniziativa perché, nonostante i precedenti insuccessi, tre solo quest’anno, i sostenitori della causa palestinese non si arrendono.
A guidare la flotta in partenza dall’Italia è Maria Elena Delia, portavoce italiana di Global Movement to Gaza: «L’obiettivo è molto concreto — dice al Corriere — vogliamo consegnare le 300 tonnellate e oltre di aiuti umanitari tra cibo e medicine raccolte in 5 giorni da tutta Italia». Il rischio di essere arrestati però è alto: «Certo la marina militare israeliana ci intimerà di tornare indietro — aggiunge — ed è facile che dispongano il fermo degli equipaggi e il sequestro del carico. Ma la missione nasce anche come un atto politico, e sappiamo a cosa andiamo incontro».
L’iniziativa italiana ha ricevuto il sostegno di artisti, attori, storici, intellettuali tra cui Alessandro Gassman, Claudio Santamaria, i Subsonica, Laika, Elisa, Fiorella Mannoia, Alessandro Barbero, Zero Calcare e Assalti Frontali.
Prima di imbarcarsi l’equipaggio ha partecipato a un addestramento intenso di due giorni in cui è stato edotto sul comportamento da adottare nel caso in cui i soldati israeliani ispezionino la barca. La prima regola è quella di evitare ogni contatto fisico e verbale, vietato opporre resistenza, lanciare oggetti, correre, saltare dalla barca in acqua.
(da Corriere della Sera)
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Settembre 1st, 2025 Riccardo Fucile
NIENTE TV, RADIO, CIBO SPECIALIZZATO INSIEME A UN TRATTAMENTO LUNGO IN CARCERI SPECIALI
Israele si prepara a trattare gli attivisti della Global Sumud Flotilla come terroristi. Le
imbarcazioni saranno sequestrate e ai catturati saranno negati privilegi speciali come la televisione, la radio e il cibo specializzato. A dirlo è stato il ministro della Sicurezza nazionale israeliano Itamar Ben-Gvir presentando al governo un piano volto a fermare la più grande flottiglia umanitaria mai pianificata per portare aiuti a Gaza, composta da 50 navi con attivisti provenienti da 44 paesi.
Il piano
Ben-Gvir, riporta il Jerusalem Post, ha presentato il piano durante una discussione tenutasi ieri sulle misure da intraprendere per fermare la flottiglia; all’incontro hanno partecipato il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Israel Katz, il ministro degli Esteri Gideon Saar e il ministro degli Affari strategici Ron Dermer. Il piano di Ben-Gvir prevede di designare gli attivisti come terroristi e di sequestrarne le imbarcazioni. Gli attivisti saranno detenuti nelle prigioni destinate ai terroristi e saranno loro negati privilegi speciali come la televisione, la radio e il cibo specializzato.
Senza tv e radio
Tutti gli attivisti arrestati saranno trattenuti in detenzione prolungata – a differenza della precedente prassi – nelle prigioni israeliane di Ketziot e Damon, utilizzate per detenere i terroristi in condizioni rigorose tipicamente riservate ai prigionieri di sicurezza.
«Non permetteremo a chi sostiene il terrorismo di vivere nell’agiatezza», ha dichiarato Ben-Gvir secondo il Jerusalem Post.
«Noi non ci fermiamo, andremo avanti. Non ci facciamo intimorire perché sappiamo di muoverci nella totale legalità», replica Maria Elena Delia, portavoce per l’Italia della Global Sumud Flotilla. «Mi auguro, nel caso in cui Israele metta in partica arresti con il carcere duro, che il nostro governo intervenga perché siamo cittadini italiani e navighiamo in acque internazionali – sottolinea – Quindi Israele non ha alcun diritto
di arrestarci e sequestrare le nostre navi».
(da agenzie)
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