IL VITTIMISMO DEL GOVERNO ALLERGICO AL CONTROLLO DI GIUSTIZIA E STAMPA LIBERA
MUSUMECI VUOLE UN PAESE IN CUI LA STAMPA NON RACCONTI E I MAGISTRATI NON INDAGHINO
Quando un ministro della Repubblica, in questo caso Nello Musumeci, con voce rotta
dall’indignazione teatrale, accusa i magistrati di essere “killer” e i giornalisti di esserne complici armati di penna, non ci troviamo davanti a una sbavatura verbale, né a un’esuberanza da comizio. Siamo, invece, al cospetto di un disegno. Un disegno consapevole, deliberato, persino collaudato. Si tratta dell’ennesimo tentativo, consunto, eppure sempre efficace per certi pubblici, di delegittimare le due forme più potenti di controllo del potere: la giustizia autonoma e l’informazione libera.
Il ministro Musumeci, con un cipiglio che pare preso in prestito da un teatro dell’assurdo più che da un governo liberale, finge di difendere i “distrutti” dalla macchina del fango, ma in realtà colpisce al cuore due capisaldi di ogni democrazia liberale: la magistratura indipendente e il giornalismo che sorveglia il potere.
E allora: chi teme davvero il giudizio dei magistrati? Chi ha paura delle parole pubblicate? Chi si scopre nudo quando il giornalista racconta, con nomi e documenti, il patto nascosto, la menzogna del tribuno, l’affare torbido? Sono gli stessi che oggi, con la voce di un ministro, accusano i giudici di essere sicari e i cronisti di essere correi.
Questo è lo schema. Il potere, quando sente di vacillare sotto lo scrutinio della legge e della stampa, si racconta come vittima. Si costruisce una mitologia dove il corrotto è in realtà perseguitato; il ladro, un martire della giustizia a orologeria; il bugiardo, un patriota.
E non è un caso che queste parole vengano pronunciate a Catania, dove a maggio di due anni fa la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha definito le tasse “un pizzo di Stato”. Anche lì, il linguaggio non era una svista. Era un colpo assestato alle fondamenta stesse dello Stato di diritto. Se il fisco è mafia, lo Stato è il nemico. Se il giudice è un killer, la legge è
una vendetta. Se il giornalista è una spia, la verità è un fastidio.
Il vero problema non è che un politico venga assolto dopo un lungo processo: è che la politica preferisca il silenzio alla trasparenza. Che pretenda una stampa muta e una giustizia cieca. Il punto non è l’innocenza, ma il dovere di rendere conto. È questa la fatica della democrazia: che ogni uomo pubblico risponda delle sue azioni. Non davanti a un tribunale speciale del popolo, ma davanti ai giudici, se c’è un reato, e davanti all’opinione pubblica se c’è un’etica da infrangere.
Musumeci vuole un Paese in cui la stampa non racconti e i magistrati non indaghino, almeno quando a essere indagato è “uno dei nostri”. Ma questo Paese, per fortuna, non esiste ancora. E se continua a esistere, è proprio grazie a quei giudici che non piegano la schiena e a quei giornalisti che non si fanno zittire dai morsi del potere.
Alla fine, ciò che dà fastidio non è l’errore giudiziario o l’informazione inesatta, che esistono, certo, e vanno corretti. Ciò che davvero disturba certi ministri è la luce. Perché il potere, quando ha qualcosa da nascondere, non ama mai che qualcuno accenda un riflettore.
(da repubblica.it)
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