Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile
TRE ANNI E MEZZO DI DISINFORMAZIONE E PROPAGANDA FUNZIONANO: IL FRONTE PRO-UCRAINA DEL PAESE SI È ROTTO, E IL PARTITO DI ESTREMA DESTRA KONFEDERACJA ACCUSA APERTAMENTE GLI UCRAINI
Fermare i treni polacchi, soprattutto quelli che si muovono verso est, quindi verso l’Ucraina, sarebbe stata una vasta operazione contro Kyiv e contro Varsavia, capace di destabilizzare non soltanto la Polonia, ma anche il sostegno polacco agli ucraini, che si muove proprio lungo quei binari che alcuni atti di sabotaggio hanno cercato di far saltare domenica scorsa.
In un giorno, sulla tratta che da Varsavia va verso Lublino, sono state annotate almeno tre azioni ostili. Tutto è partito dalla segnalazione di un macchinista che, all’altezza del villaggio di Mika, ha visto una buca fra le rotaie: era esploso un ordigno e aveva aperto una voragine
L’esplosione è avvenuta senza incidenti, ma avrebbe potuto essere mortale se soltanto un treno fosse passato nell’istante esatto in cui l’ordigno era programmato per esplodere. Oppure, se il macchinista non avesse notato la voragine e fosse andato avanti, il treno avrebbe deragliato.
Il primo a usare la parola “sabotaggio” è stato il premier polacco Donald Tusk, che è andato assieme alla polizia e ai servizi di sicurezza a visitare il luogo dell’esplosione. E’ stato sempre il primo ministro a dire che l’esplosione era destinata a far saltare in aria un treno sulla tratta Varsavia-Deblin.
Un secondo atto di sabotaggio si è verificato nei pressi di Pulawy, sempre in direzione di Lublino, dove le linee sono state danneggiate e un treno ha dovuto effettuare una frenata di emergenza: a bordo viaggiavano più di quattrocento persone. Non distante, sono stati ritrovati una placca di metallo imbullonata sulla rotaia e un telefono attaccato ai binari.
Donald Tusk ha sottolineato che la strada che da Varsavia porta a Lublino è percorsa da molti treni che dalla Polonia portano in Ucraina, con a bordo aiuti di vario genere e passeggeri da tutto il mondo: è la tratta su cui si muovono i giornalisti ma anche i politici della maggior parte delle nazioni europee che vanno in visita a Kyiv.
Dal 2022, la Polonia si è trovata a essere a un passo dal fronte, non a caso i suoi ministri si affannano a ripetere che l’invasione di Putin va fermata, Kyiv va sostenuta, perché dopo l’Ucraina, ci sarà Varsavia, quindi l’Unione europea e la Nato. All’inizio della guerra russa, il messaggio era cristallino e condiviso da tutto lo spettro politico polacco, poi le divisioni interne hanno creato delle sbavature e infatti le reazioni della politica […] sono perse in accuse reciproche, alla ricerca di un colpevole più concreto da inserire nell’ambito delle dinamiche interne.
L’ex partito di governo, il PiS, si è affrettato a dire che la colpa era dell’attuale maggioranza e per la prima volta un partito che lambisce il 15 per cento dei consensi, Konfederacja, ha accusato gli ucraini di voler bloccare le ferrovie del paese. Non era un’accusa nata da sola, la propaganda di Mosca, infatti, si è agitata molto per vendere la storia degli attacchi ucraini, collegandola all’esplosione del gasdotto Nord Stream 2 per cui sono indagate persone interne alle Forze armate dell’Ucraina e due sospetti sono attualmente detenuti in Polonia e in Italia.
La Polonia è fragile politicamente e si trova in una posizione sensibile. E’ uno snodo cruciale per il sostegno a Kyiv: se salta, gli aiuti e le comunicazioni dell’Ucraina ne risentirebbero in modo pesante.
Dal 2022 sono state arrestate più di cinquanta persone con l’accusa di organizzare atti di sabotaggio contro infrastrutture critiche e militari, otto sono gli arresti soltanto nel mese di ottobre.
Quattordici cittadini di Russia, Bielorussia e Ucraina sono stati condannati per spionaggio
La Polonia è l’unico paese dell’Ue ad avere avuto due vittime come conseguenza diretta della guerra della Russia contro l’Ucraina, quando nel novembre di tre anni fa, due operai vennero uccisi da un missile a Przewodow: si trattava di contraerea ucraina per bloccare uno dei forti attacchi combinati di missili e droni lanciati da Mosca.
I detriti delle armi russe sono più volte finiti sul territorio della Polonia, fino alla provocazione diretta, iniziata a settembre di quest’anno, quando Mosca ha iniziato a mandare i suoi droni per studiare la reazione di Varsavia.
I caccia polacchi si alzano in volo quasi a ogni attacco della Russia contro l’Ucraina, temendo sconfinamenti. Il confine è così lungo e così teso che la Polonia è la prima nazione a sentire la guerra con tanta forza, ma da un paio di anni i danni si incuneano in una crisi di politica interna che ha sullo sfondo la solidarietà con Kyiv, contro la quale Mosca ha lavorato con il cesello, pazientemente, per smontare il sostegno coriaceo dei polacchi per l’Ucraina. I fronti che la Russia ha aperto contro la Polonia sono tre: i sabotaggi, gli scontri diretti e la propaganda.
Non è solo Varsavia a subire le minacce di Mosca, tutta l’Europa, in modo particolare i paesi lungo il confine con l’Ucraina o con la Russia, ha visto il suo concetto di difesa stravolto.
Ieri, a causa di un attacco di droni russi, una nave cisterna carica di gas ha preso fuoco sul Danubio, nella zona di Izmail, non lontano dal territorio della Nato. Il centro abitato più vicino è un villaggio romeno chiamato Plauru: è stata evacuata ogni casa, se
la nave battente bandiera turca dovesse esplodere, le conseguenze sarebbero devastanti.
(da agenzie)
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Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile
“NON POSSIAMO PIÙ FIDARCI CHE LE RISPOSTE AI SONDAGGI PROVENGANO DA PERSONE REALI”… I “BOT” SONO CAPACI DI SUPERARE IL 99,8% DEI CONTROLLI PENSATI PER INDIVIDUARE LE RISPOSTE AUTOMATIZZATE
L’intelligenza artificiale può alterare i sondaggi di opinione pubblica su larga scala, superando
ogni controllo di qualità, imitando gli esseri umani reali e manipolando i risultati senza lasciare traccia. Lo dimostra uno studio del Dartmouth College (Usa) sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze, Pnas.
“Non possiamo più fidarci che le risposte ai sondaggi provengano da persone reali”, afferma l’autore dello studio Sean Westwood, direttore del Polarization Research Lab. Per esaminare quanto i sondaggi online siano vulnerabili ai modelli linguistici di grandi dimensioni, Westwood ha creato un semplice strumento di intelligenza artificiale (un ‘rispondente sintetico autonomo’) che funziona a partire da un testo di istruzioni di 500 parole.
In 43.000 test, lo strumento ha superato il 99,8% dei controlli pensati per individuare le risposte automatizzate, non ha commesso alcun errore nei rompicapi logici e ha nascosto con successo la propria natura non umana. Inoltre, ha adattato le risposte in base a dati demografici assegnati casualmente, ad esempio fornendo risposte più semplici quando veniva assegnato un livello di istruzione inferiore.
Quando l’IA veniva programmata per favorire i Democratici o i Repubblicani, i tassi di approvazione presidenziale sono passati dal 34% al 98% o allo 0%. Il sostegno generico alle elezioni è passato dal 38% dei Repubblicani al 97% o all’1%.
Le implicazioni, però, vanno ben oltre i sondaggi elettorali. I questionari sono fondamentali per la ricerca scientifica in molte
discipline: in psicologia per comprendere la salute mentale, in economia per monitorare la spesa dei consumatori e nella salute pubblica per identificare i fattori di rischio delle malattie. Migliaia di studi sottoposti a revisione paritaria e pubblicati ogni anno si basano su dati di sondaggio per orientare la ricerca e plasmare le politiche. “Con dati di sondaggio contaminati dai bot, l’intelligenza artificiale può avvelenare l’intero ecosistema della conoscenza”, osserva Westwood.
(da agenzie)
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Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile
IL CAPOGRUPPO AL SENATO, GASPARRI: “LE FIRME NON DETERMINANO NIENTE DI CHE, LE NOSTRE COLONNE D’ERCOLE RESTANO LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE, CHE HA CHIESTO MODIFICHE AL TESTO. MODIFICHE CHE CALDEROLI CONOSCE BENE” … IL VICESEGRETARIO AZZURRO, ROBERTO OCCHIUTO, PRESIDENTE DELLA CALABRIA: “SI RISCHIANO SQUILIBRI, ALCUNE REGIONI POTREBBERO PAGARE DI PIÙ I MEDICI”
Salvo stravolgimenti d’agenda, Giorgia Meloni non ci sarà. «Impegni istituzionali», ha detto ieri a Roberto Calderoli. La premier stamattina è attesa all’inaugurazione di una funivia che trasporta mele, la prima al mondo, in val di Non, Trentino.
A una settimana dal voto in Veneto, come anticipato ieri da Repubblica, la premier però ha dato il suo benestare: via libera alla firma delle pre-intese per l’autonomia differenziata con le regioni del Nord che ne hanno fatto richiesta. Dunque il Veneto a un passo dalle urne, ma anche Lombardia, Piemonte e Liguria.
Dopo un pressing martellante della Lega, Meloni ha firmato ieri una lettera in cui, «esprimendo soddisfazione», ha «autorizzato» Calderoli, ministro degli Affari regionali, a firmare in sua vece l’avvio delle trattative, poche ore prima del comizio dei leader del centrodestra, stasera a Padova, per tirare la volata al leghista Alberto Stefani.
È solo un primo step: le pre-intese dovranno tradursi in un patto scritto, da far validare a Cdm, conferenza delle regioni e Parlamento.
Anche se Meloni ha deciso di non intestarsi la mossa a favore di flash (nel 2018 gli accordi vennero celebrati a Palazzo Chigi), la Lega porta comunque a dama un risultato, previsto inizialmente dopo le regionali. Calderoli ha in agenda un mini tour: stamattina a Palazzo Balbi, con il governatore uscente del Veneto, Luca Zaia, pomeriggio in Lombardia da Attilio Fontana, domani in Piemonte da Alberto Cirio e in Liguria da Marco Bucci. Quattro le materie non Lep (senza livelli essenziali di prestazione) da trasferire: protezione civile, professioni, previdenza
complementare, finanza pubblica in ambito sanitario.
Tutti contenti a destra? FI in realtà continua a esprimere riserve. Il capogruppo al Senato, Maurizio Gasparri, raggiunto al telefono, spiega che «questo è solo un passaggio, le firme non determinano niente di che, le nostre colonne d’Ercole restano la sentenza della Corte costituzionale, che ha chiesto modifiche al testo.
Modifiche che Calderoli conosce bene». Freddo persino il piemontese Cirio, che domani siglerà comunque le sue pre-intese. «L’autonomia? Un’opportunità che può essere colta o meno, il governo è stato chiaro: si può andare avanti solo dopo i Lep».
Il più ruvido è il vicesegretario nazionale, Roberto Occhiuto, presidente della Calabria, che ha sempre detto: prima di tutto vanno finanziati i livelli essenziali dei servizi. Occhiuto, «con preoccupazione», ha chiesto a Calderoli di convocare subito un tavolo con le regioni: «Si rischiano squilibri, alcune regioni potrebbero pagare di più i medici». A stretto giro la replica del ministro: «Sì al confronto, anche la prossima settimana, non voglio danneggiare o favorire nessuno».
L’opposizione invece torna a picconare la riforma che definisce “Spacca Italia”. Il Pd con Francesco Boccia e Piero De Luca parla di «buffonata incostituzionale, una forzatura che aggira la Consulta», mentre il sindaco di Milano, Beppe Sala, si dissocia da una riforma «fatta male, che non avrà il mio supporto».
Per il M5S le firme di oggi sarebbero «una castroneria, non va abbassata la guardia». Per Avs si tratta di una «promessa
elettorale e di una presa in giro del Mezzogiorno».
E FdI? Sul rullo delle agenzie stampa quasi nessuno si espone.
Mentre qualche malumore sottotraccia trapela dalla Campania, dove il rivale di Edmondo Cirielli, il candidato governatore pentastellato Roberto Fico, già tambureggia sul «Sud colpito dal blitz della Lega». Un pezzo di partito vorrebbe che Meloni tornasse di nuovo in Campania, a ridosso del weekend.
Ma al momento nulla è in agenda.
(da La repubblica)
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Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile
IL PRINCIPINO SAUDITA ARRIVA A WASHINGTON PER LA PRIMA VOLTA E SARÀ ACCOLTO CON LA FIRMA DI ACCORDI COMMERCIALI E MILITARI SENZA PRECEDENTI: IL PIÙ IMPORTANTE È LA VENDITA DEGLI F35 USA A RIAD, CHE FANNO INCAZZARE IL PENTAGONO (PREOCCUPATO PER LA VICINANZA DI MBS ALLA CINA) E ISRAELE, CHE PERDEREBBE LA SUA SUPREMAZIA AEREA IN MEDIO ORIENTE…POI CI SONO GLI AFFARI “PRIVATI”, COME IL RESORT DI LUSSO ALLE MALDIVE CHE SARÀ COSTRUITO DALLA FAMIGLIA TRUMP INSIEME AI SAUDITI
Nell’arco di un decennio, Mohammed bin Salman è passato da paria internazionale a pivot
della diplomazia globale.
Come ricorda “The Times”, il principe ereditario saudita è per i suoi collaboratori un leader “socievole, acuto, dotato di una memoria sorprendente”, ma agli occhi dell’Occidente resta l’uomo segnato dall’ombra dell’omicidio di Jamal Khashoggi, il giornalista fatto a pezzi all’ambasciata saudita a Istanbul, che la CIA attribuisce a una missione da lui autorizzata.
Eppure il suo pragmatismo ha trasformato l’Arabia Saudita: riforme sociali, marginalizzazione della polizia religiosa, e una Riad ormai proiettata verso il Mondiale di calcio 2034.
È in questo contesto che Donald Trump ha costruito con MBS un rapporto personale e politico più stretto di qualunque suo predecessore. Alla vigilia della visita del principe a Washington — la prima in più di sette anni — il presidente ha annunciato che intende vendere ai sauditi i jet d’attacco F-35, nonostante le “forti perplessità” del Pentagono.
Come riporta Karoun Demirjian sul “New York Times”, i vertici della sicurezza temono che, data la cooperazione tra Riad e Pechino, la Cina possa accedere alla tecnologia stealth più avanzata degli Stati Uniti, mettendo a rischio sia il vantaggio strategico americano sia la “qualitative military edge” di Israele
(il vantaggio militare tecnologico e operativo che gli Stati Uniti sono tenuti per legge a garantire a Israele rispetto a qualsiasi altro Paese della regione mediorientale). Ma Trump taglia corto: “I sauditi sono stati grandi alleati”.
La vendita di 48 F-35, dal valore complessivo di molti miliardi di dollari, si affianca alla discussione su un possibile patto di difesa reciproca. Un patto che darebbe a Riad maggiori garanzie contro l’Iran e consoliderebbe il ruolo di Washington come garante della sicurezza del Golfo.
Ma, come ricorda Demirjian, il Congresso avrà formalmente voce in capitolo — benché in passato Trump abbia più volte aggirato le obiezioni bipartisan, invocando poteri d’emergenza per autorizzare mega-forniture militari a sauditi ed emiratini.
La relazione tra i due leader, però, non si limita ai dossier strategici. Coinvolge anche un intreccio crescente di affari, investimenti e affinità tecnologiche.
Come ricostruisce Chloe Cornish sul “Financial Times”, proprio alla vigilia dell’arrivo di MBS a Washington la Trump Organization e il partner saudita Dar Global hanno annunciato la costruzione di un resort di lusso alle Maldive, interamente “tokenizzato” tramite blockchain.
È l’ultimo tassello di un’espansione immobiliare congiunta che va da Dubai a Muscat, e che riflette la convergenza tra l’Arabia Saudita della Vision 2030 e la famiglia Trump, ormai protagonista della finanza cripto con profitti superiori al miliardo di dollari.
Il legame si estende anche attraverso Jared Kushner, che ha raccolto miliardi dai fondi sovrani del Golfo per il suo Affinity Partners, incluso un investimento da 2 miliardi del Public Investment Fund saudita. Proprio il PIF è una delle leve attraverso cui Riad punta a diversificare l’economia oltre il petrolio e a posizionarsi come hub globale di difesa, energia, AI e real estate.
(da agenzie)
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Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile
SI COMPLICA L’ITER DEL PROGETTO, LE MOSSE DEL GOVERNO DIPENDERANNO DALLE MOTIVAZIONI DEI GIUDICI… GLI SCENARI POSSIBILI
La seconda bocciatura da parte delle Corte dei Conti al Ponte sullo Stretto rappresenta un altro duro colpo per Matteo Salvini, che alla fine del mese scorso si è visto negare il timbro di legittimità alla delibera Cipess che ha dato il via al progetto. Quest’ultima, per cui si attende di leggere le motivazioni della sentenza, riguardava l’assegnazione delle risorse e l’approvazione del progetto esecutivo del Ponte, mentre il nuovo no riguarda il terzo atto aggiuntivo che regola i rapporti tra il Ministero dei Trasporti e la società concessionaria Stretto di Messina Spa.
Anche in questo caso, bisognerà aspettare – fino a trenta giorni – per conoscere le motivazioni dei magistrati contabili, ma Salvini è determinato ad andare avanti. Nel frattempo la società Stretto di Messina Spa ha fatto sapere che il prossimo 25 novembre convocherà un Consiglio di amministrazione per capire il da farsi.
Dalle motivazioni dei giudici dipenderanno le mosse del governo. Le prime dovrebbero arrivare entro la fine di
novembre, attorno al 28, mentre per quest’ultime dovremmo attendere metà dicembre. Quel che è certo è che Palazzo Chigi non intende rinunciare al progetto del Ponte e gli scenari possibili sono diversi. A seconda dei rilievi evidenziati dalla Corte e dalla possibilità o meno di sanarli, il ministero dei Trasporti deciderà come muoversi.
I possibili scenari
Inizialmente, si era fatta avanti l’ipotesi di forzare il no della Corte e proseguire con una “registrazione con riserva”. Una procedura tecnicamente possibile, in quanto consentita dalla legge, ma che aprirebbe un nuovo terreno di scontro con la magistratura. Anche per questo motivo, il governo aveva fatto sapere di voler attendere le ragioni dei giudici prima di agire.
L’alternativa, preferibile, sarebbe quella di apportare le correzioni necessarie per superare i rilievi dei magistrati ed eventualmente, ricorrere a una nuova delibera. Cosa che potrebbe rivelarsi più complicata del previsto se le criticità segnalate dai giudici dovessero essere particolarmente gravi. Non solo. Anche se ci trovassimo di fronte a una strada percorribile, seguirla allungherebbe di parecchio i tempi per l’avvio dei cantieri, già in ritardo.
Per il ministro dei Trasporti l’ennesimo stop al progetto “è l’inevitabile conseguenza” del primo ricevuto dalla Corte dei Conti. Anche l’amministratore delegato di Stretto di Messina Spa, Pietro Ciucci parla di una decisione “prevedibile” e connessa alla precedente.
Tuonano invece, le opposizioni. Secondo il deputato M5s Agostino Santillo, il governo “dovrebbe tirare fuori gli attributi e riapprovare l’opera in Cdm”, ma “teme il danno erariale” e dunque “non lo farà”. Il pentastellato ricorda le altre criticità del progetto, che riguardano “i rilievi dell’Ue, il rischio procedura d’infrazione, la direttiva Iropi violata, le 62 prescrizioni della Via-Vas non sciolte, le norme sulla concorrenza bypassate” e parla di “un colabrodo procedurale”. Il leader di Avs, Angelo Bonelli, ha detto di nuovo di essere pronto a “denunciare il governo alla Procura europea se dovesse insistere” sul Ponte. “Ignorare il pronunciamento della Corte significherebbe assumersi responsabilità pesantissime, anche sul piano giuridico”. Dura anche la segretaria Pd Elly Schlein che ha definito il progetto “ingiusto, sbagliato, dannoso e vecchio”.
(da fanpage)
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Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile
LA MANIFESTAZIONE FU APERTA DAL VICEMINISTRO, CANDIDATO DALLA DESTRA A GOVERNATORE DELLA CAMPANIA: MA COSA C’ENTRAVA?… DE LUCA AVEVA PARLATO DI “EVENTO-MARCHETTA” DI FRATELLI D’ITALIA
Una due giorni, quella degli Stati generali della prevenzione, che è finita sotto la lente della
Corte dei Conti. I giudici contabili hanno infatti aperto un fascicolo – per danno erariale e senza indagati – sulla manifestazione, organizzata a Napoli gli scorsi 16 e 17 giugno dal ministero della Salute con un budget di oltre 900mila euro.
Regista dell’operazione era stata Maria Rosaria Campitiello, capa dipartimento della Prevenzione, ricerca ed emergenze sanitarie al dicastero guidato da Orazio Schillaci, nonché moglie del viceministro degli Esteri e candidato del centrodestra alle prossime regionali in Campania, Edmondo Cirielli.
Secondo fonti anonime intervistate dalla trasmissione Piazzapulita, l’evento, rivolto «agli stakeholder di riferimento
del Servizio Sanitario Nazionale, nonché alla popolazione generale», avrebbe rappresentato una sorta di inizio di campagna elettorale per il deputato: Cirielli non solo aveva partecipato alla kermesse organizzata dalla consorte, l’aveva anche aperta.
Impazza la polemica, il viceministro meloniano con delega all’Oms, ex di Alleanza nazionale e con un passato da presidente della provincia di Salerno, aveva dunque ribattuto a chi, come il presidente della regione Vincenzo De Luca, aveva parlato di «evento-marchetta di Fratelli d’Italia». «Si tratta di una sciocchezza, detta in maniera diversa come altri può essere anche un reato di diffamazione e calunnia», aveva risposto Cirielli.
Ma oggi la manifestazione non smette di destare dubbi. Al centro degli accertamenti della Corte dei Conti ci sarebbe anche l’affidamento diretto disposto per gli Stati generali della prevenzione dal ministero della Salute a Kidea srl, l’azienda che a luglio – pertanto qualche mese dopo l’affidamento ottenuto – aveva visto il suo co-fondatore, Raffaele Guarino, rimanere coinvolto nell’inchiesta per appalti truccati e tangenti della procura di Torre Annunziata, meglio nota come “Sistema Sorrento”. Guarino, finito ai domiciliari, era stato rimesso in libertà dal tribunale del Riesame a settembre.
In base a quanto risulta a questo giornale, la società era stata destinataria di un affidamento dall’Ufficio Tutela salute della donna, soggetti vulnerabili e contrasto diseguaglianze (Dgpre), che fa capo al ministero della Salute, di importo concordato pari a 747.735 euro per il «servizio di realizzazione, allestimento
gestione dell’evento “Stati generali della prevenzione, nei giorni 16 e 17 giugno 2025 nella città di Napoli».
Un fatto che era stato al centro pure di un’interrogazione parlamentare rivolta dal Partito democratico al ministro della Salute Schillaci.
«L’organizzazione dell’evento è stata affidata in modo esclusivo, con provvedimento firmato dalla dottoressa Campitiello in data 23 aprile 2025, alla società Kidea S.r.l., giustificando tale scelta con “ragioni di tutela di interessi esclusivi”». scrivono i parlamentari dem.
Che aggiungono: «All’evento, che si è svolto in due giornate, era attesa la partecipazione di seicento invitati e, per centoventi di questi, è stato previsto il soggiorno, per una notte, in un albergo a quattro stelle, mentre per venti invitati è stato previsto il soggiorno, in albergo, per due notti; l’importo complessivo preventivato per la realizzazione dell’evento, sotto il solo profilo di organizzazione logistica, era di 932.000 euro, al netto del costo dell’attività di screening preventivo che avrebbe dovuto accompagnare l’evento, con il coinvolgimento anche della popolazione; i costi dell’evento, sebbene stimati nel loro ammontare complessivo – continuano i democrat – appaiono agli interroganti non solo elevati per un evento di due giorni, ma anche non debitamente circostanziati, con una stima analitica che prenda in considerazione ciascuna voce di spesa».
Per i parlamentari, che sottolineano che per la procedura sarebbe stata «finanziata con gli investimenti pubblici dell’Unione europea con il Pnrr «l’evento, così come si è svolto, è stato
“solo” un convegno che non giustifica in alcun modo, non soltanto l’ammontare della cifra spesa, ma tantomeno l’utilizzo di investimenti pubblici finanziati dalla Ue nel NextGenerationEU, con particolare riferimento alla missione 6 del Pnrr di competenza del Ministero della salute».
Così i dem chiedono – era lo scorso 26 giugno – a Schillaci «per quali motivi siano state utilizzate le suddette risorse per un evento che, al di là del “titolo”, è stato di fatto solo un convegno, considerato che, a quanto risulta agli interroganti, non c’è stata alcuna corrispondenza tra l’investimento fatto, le finalità annunciate e lo svolgimento dell’evento».
E ancora «quale sia la descrizione dettagliata di ciascuna voce di spesa e la conseguente congruità con i servizi resi e quali siano i motivi che hanno portato all’affidamento della gestione dell’evento in via esclusiva alla società Kidea». Il ministro della Salute non pare abbia risposto alle domande su cui, invece, potrebbe presto dare una risposta la magistratura contabile. Una domanda che, invece, potrebbe non avere risposta è la seguente: che c’entrava, in quei giorni di giugno, il viceministro degli Esteri all’evento promosso dal ministero della Salute e organizzato dalla moglie Campitiello?
(da la Repubblica)
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Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile
CIFRE RECORD DI VISITATORI: “FINALMENTE UNO SPAZIO ADEGUATO PER LA CIVILTA’ EGIZIANA”
Il cantiere è durato vent’anni, la sua superficie è il doppio di quella del Louvre e del British Museum, il costo ha raggiunto il miliardo di dollari, finanziati dal Giappone e dal Governo egiziano, dodici gallerie, esposti oltre centomila reperti tra cui per la prima volta l’intero corredo funerario di Tutankhamon (quasi 5400 manufatti), che dopo cento anni lascia per sempre il vecchio museo del Cairo.
Il 4 novembre le porte del Grand Egyptian Museum (GEM) hanno aperto ufficialmente i battenti, nel giorno del centotreesimo anniversario del rinvenimento della tomba di Tutankhamon da parte dell’archeologo inglese Howard Carter nel 1922. Non una coincidenza, ma il filo che tesse la trama di una lunga storia che riguarda tutta l’umanità.
Nato per alleggerire e affiancare il vecchio museo del Cairo, inaugurato nel 1902 in piazza Tahrir, il GEM ha l’ambizione di aggiungersi come moderno frammento a un passato imprescindibile – fatto dei fasti faraonici ma anche di un soffocante colonialismo – per consentire all’uomo contemporaneo di prendere coscienza delle sue origini.
Durante la solenne inaugurazione il presidente egiziano Al-Sisi ha esaltato l’impresa come “un nuovo capitolo della storia del presente e del futuro dell’Egitto, nel nome di questa antica patria”. Si concretizza, insomma, il senso di appartenenza: se le generazioni precedenti non lo hanno fatto, quella odierna non può sfuggire a un imperativo ormai urgente, cioè fare i conti con la propria memoria.
Un’eredità complessa da gestire, tra i riti millenari e le esperienze più attuali di tutela e valorizzazione. A spiegarlo è Rosanna Pirelli, docente di Egittologia e Archeologia egiziana all’Università di Napoli L’Orientale. Dal 2008 al 2012 è stata direttrice del Centro Archeologico dell’Istituto Italiano di Cultura al Cairo. Ha partecipato a numerosi progetti di ricerca e scavi, italiani e stranieri, in Egitto e in Italia. In Italia, in
particolare, ha collaborato con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli per il progetto espositivo della collezione egiziana (riaperta nel 2016) ed è attualmente responsabile scientifica di quello nuovo dei reperti egiziani ed egittizzanti pertinenti al perduto tempio di Iside eretto a Benevento nell’anno VIII regno di Domiziano.
Professoressa Pirelli, il primo novembre è stato inaugurato il Grand Egyptian Museum (GEM), perché era così atteso quest’evento?
Un nuovo museo era diventato assolutamente necessario poiché la quantità di reperti accumulatisi nel corso degli anni all’interno di quello storico di piazza Tahrir rendeva ormai indispensabile uno spazio espositivo più appropriato. Il vecchio museo nel cuore del Cairo risultò piccolo già all’indomani della scoperta della tomba di Tutankhamon nel 1922.
Non bastava più?
Ci si rese conto ben presto che i soli due piani del museo progettato dall’architetto francese Dourgnon e inaugurato appena vent’anni prima, nel 1902, non potevano accogliere in maniera adeguata anche i materiali che facevano parte del prezioso corredo funerario di Tutankhamon. I quasi seimila manufatti tra cui la famosa maschera d’oro, contenuti nell’ultima dimora del faraone rinvenuta da Carter, vennero esposti in un’ala abbastanza grande del museo, ma molti furono ammassati ed altri restarono nei depositi. Al contrario, la prima sensazione che si prova visitando il GEM è proprio quella di una narrazione storico-archeologica che si sviluppa finalmente su una superficie
adeguata, restituendo il senso di monumentalità dell’antica civiltà egiziana.
Cosa intende?
Molte statue di faraoni egiziani sono colossali, cioè assai più grandi del naturale. Nel GEM lungo l’ampia rampa di scale, che porta ad un livello superiore vetrato e panoramico con vista sulle piramidi, è collocata una selezione di sculture monumentali con la possibilità per la prima volta di ammirarle non solo di fronte, ma su ogni lato. In genere, nei musei le statue sono addossate alle pareti, ma in questo modo si perde una parte essenziale della scultura egiziana, che è il pilastro dorsale con l’iscrizione incisa.
La visione a tutto tondo della statuaria è così importante?
Mi rendo conto che si tratta di un dettaglio tecnico da egittologo. Il pilastro dorsale è un elemento tipico della statua egiziana che compare già nella IV dinastia durante l’Antico Regno, per divenire meno costante solo a partire dal regno dei Tolomei (una dinastia di origine greco-macedone), quando alcune statue realizzate in uno stile misto greco-egiziano possono anche esserne sprovviste. La possibilità di leggere le iscrizioni sul pilastro è fondamentale per ricostruire il contesto storico e culturale. Al GEM oggi è possibile, anche se, per garantire la stabilità delle statue più grandi, sono stati aggiunti supporti di metallo che a volte coprono parzialmente i testi.
Lei ha già visitato il GEM?
Sì, a maggio scorso nell’ambito di una mia personale ricerca proprio sulla statuaria regale. Il museo è stato in parte aperto al pubblico prima dell’inaugurazione del primo novembre. E le
posso assicurare che, nel momento in cui sono arrivata a Giza, di per sé uno dei panorami più spettacolari al mondo, l’impatto è stato a un tempo emozionale e solenne. Davvero, mi si permetta la similitudine, un’opera faraonica.
Del resto è stato ribattezzato la “quarta piramide”, dopo quella di Cheope, Chefren e Micerino, alle quali è collegato visivamente sebbene distante due chilometri.
Il gigantesco edificio è fortemente scenografico. Ma oltre al senso di grandiosità, alle migliori condizioni di conservazione per i reperti e all’avanzato allestimento museografico, l’interno si presenta sia accogliente grazie a una serie di servizi, come i luoghi per la ristorazione o per l’acquisto di souvenir e libri, sia funzionale alle attività di ricerca e divulgazione per la presenza di sale destinate alle conferenze e di luoghi di studio attrezzati.
Vuole dire che i costruttori, su progetto dello studio di architettura irlandese Heneghan Peng, non si sono limitati a suscitare meraviglia in chi vi entra?
Esatto. È un’architettura concepita per ospitare l’immensa eredità della civiltà egiziana, ma anche per accogliere il moderno visitatore. Gallerie immersive, illuminazione di precisione, un ambiente non più esiguo che dà respiro ad ognuno degli oggetti esposti con una serie di soluzioni interessanti e innovative.
Quali?
Ad esempio la ricostruzione multimediale di una tomba di Beni Hassan nel Medio Egitto. Si entra in uno spazio sulle cui pareti compaiono lentamente scene dipinte, che si illuminano e si colorano tratto dopo tratto, alcune anche movimentate, e che
riproducono il lavoro agricolo o la caccia all’uccellagione. E tutto prende vita davanti ai tuoi occhi, trasportandoti in un passato che così sembra più vicino. Un’esperienza interattiva molto coinvolgente.
La tecnologia che va a braccetto con l’attrazione.
Sì, ma senza dimenticare il lato scientifico.
Perché la cerimonia inaugurale, prevista per il 2012 e data come imminente diverse volte, è stata rimandata per così tanto tempo?
Va da sé che la maestosità dell’opera ha comportato costi elevati e la ricerca di finanziamenti richiede tempo. Ma l’ultimo rinvio, risalente a luglio scorso, è stato addebitato almeno ufficialmente al conflitto di Gaza. Altre battute d’arresto sono state la pandemia di Covid del 2020 e prima ancora i fatti della Primavera araba del 2011. Senza contare il complesso lavoro dietro le quinte in vista dell’inaugurazione.
Il lato scientifico che ha citato prima?
Sì, il progetto ultraventennale ha avuto una gestazione lunga: il materiale archeologico è stato didascalizzato ex novo, sono stati realizzati daccapo i pannelli illustrativi, comprese le mappe e le tavole cronologiche, è stata aggiunta la realtà virtuale. La creazione di un simile apparato esplicativo non è roba da poco. Un impegno enorme che si coniuga con la politica propagandistica dell’Egitto odierno, dove l’inflazione accelera mentre si stanno costruendo grandi strade, nuovi aeroporti, migliori assetti abitativi.Segnali di ripresa in una fase di fragile stabilizzazione, quindi, su cui gravano le numerose incognite del presunto post-guerra tra Israele e Hamas. Questa persistente
vulnerabilità dell’area mediorientale può essere fonte di preoccupazione per il turismo egiziano?
Non si può prevedere la follia della guerra. Questo vale in qualsiasi parte del mondo. Io vado in Egitto dal 1981, ho lavorato lì da sola, vi ho vissuto con la mia famiglia e non ho mai incontrato difficoltà, nemmeno nei momenti di profonda crisi interna che minacciavano la sicurezza dei cittadini. Ma come prevedere il futuro in uno scenario internazionale quale quello odierno?
Ha seguito la solenne inaugurazione, trasmessa in esclusiva mondiale sul social network TikTok, con tanto di spettacolo laser, orchestra sinfonica, fuochi d’artificio, tra figuranti in costume e coreografie fluttuanti? Cosa ne pensa?
No, non l’ho seguita, ma avevo già assistito in streaming all’inaugurazione del viale di sfingi da Karnak a Luxor e conosco il tipo di evento.
A un certo punto sul palco della manifestazione è apparso un ragazzino in abito tradizionale e che reggeva in mano una lanterna, poi è ricomparso incantato di fronte le vetrine delle nuove sale del GEM mentre prendevano progressivamente vita illuminandosi. Sarebbe Hussein Abdel Rasoul, noto come il “water boy” di Howard Carter. Secondo il racconto dell’egittologo Zahi Hawass il dodicenne portava l’acqua agli operai nello scavo di Carter e avrebbe scoperto il primo gradino della tomba di Tutankhamon poi messa in luce. Vera o presunta che sia la storia, questa figura può essere intesa come la celebrazione dell’orgoglio nazionale, cioè un ponte che lega
l’antico al moderno attraverso il riappropriarsi della propria identità di popolo, fino al 1952 ostaggio del colonialismo britannico?
Non avendo seguito l’evento, non saprei dire con certezza, ma propenderei per identificarlo con il giovane Hussein e per due motivi. Innanzitutto l’inaugurazione ufficiale del GEM è avvenuta quando le sale destinate a ospitare il tesoro di Tutankhamon sono state finalmente allestite, un momento che richiama, in qualche modo, l’emozione di una nuova scoperta. Inoltre, considerando che la tomba fu rinvenuta nel 1922, poco più di un secolo fa, l’apertura del museo può essere vista come il più importante evento egittologico per l’Egitto e per il pubblico di tutto il mondo dai tempi della scoperta di Carter.
Il 4 novembre, primo giorno di apertura al pubblico del GEM, sono stati raggiunti i diciottomila visitatori. Da qui la decisione del MoTA (ministero egiziano del Turismo e delle Antichità) di regolamentare gli ingressi dal primo dicembre attraverso la prenotazione solo online. Questa grossa affluenza manterrà intatto il fascino di visitare il più grande museo egizio del mondo e una delle più imponenti istituzioni mai dedicate a una singola civiltà?
Credo di sì, perché gli spazi sono idonei e le opere numerosissime e di grande impatto. Anzi, credo che il nuovo museo attirerà un numero ancora maggiore di studiosi, turisti e appassionati.
Il vecchio museo di piazza Tahrir, che richiamava visitatori per la presenza della maschera d’oro di Tutankhamon, ormai
svuotato ha ancora la sua ragione d’essere?
Proprio l’apertura del GEM e di altri musei regionali è stata l’occasione per ripensare il ruolo e il futuro del museo di piazza Tahrir: il progetto “Transforming the Egyptian Museum in Cairo” ha condotto a una recente, anche se per il momento parziale, riorganizzazione di questo storico istituto da parte di un consorzio di musei europei guidati dal Museo Egizio di Torino. Gli spazi lasciati liberi dalle opere trasferite al GEM consentiranno al visitatore del rinnovato “vecchio museo” di godere di un numero ancora considerevole di preziose testimonianze della civiltà egiziana, inserite finalmente in ambienti adeguati ed esposte, cercando, quando possibile, di ricreare i contesti di provenienza dei reperti.
“Welcome to the land of Peace”, benvenuti nel Paese della pace, è lo striscione trascinato da un velivolo che ha sorvolato il pubblico dell’inaugurazione di settantanove delegazioni ufficiali provenienti da tutto il mondo. Un messaggio di cooperazione internazionale tra popoli che l’Egitto ha voluto dare in quest’occasione internazionale? Potrà servire nel nostro delicato frangente storico?
Un augurio. Un sogno. Ma, per il momento, un’utopia.
(da Fanpage)
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Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile
A VITO DE PALMA CONTESTATI I REATI DCI FALSO IDEOLOGICO, ALTERAZIONE DEL VOTO, INDUZIONE IN ERRORE DI PUBBLICI UFFICIALI
A Taranto ci sono sette indagati per una presunta storia di brogli elettorali alle politiche del
2022. Gli avvisi di conclusione delle indagini sono stati notificati dalla Procura.
Tra i destinatari l’attuale deputato e coordinatore provinciale di Forza Italia Vito De Palma, già sindaco di Ginosa, il consigliere regionale pugliese di FI, Massimiliano Di Cuia (uscente e ricandidato alle elezioni di domenica e lunedi’ prossimi).
Poi quattro componenti del seggio 54 di Taranto e un rappresentante di lista. Il pubblico ministero Mariano Buccoliero contesta ai quattro i reati di falso ideologico, alterazione del voto, induzione in errore di pubblici ufficiali e violazioni della normativa. Nella sezione 54, secondo l’accusa, i cinque componenti del seggio avrebbero agito con un «medesimo disegno criminoso» per modificare l’esito del voto.
Il controllo del voto
Una delle accuse è aver attribuito alla lista di Forza Italia i voti destinati a Fratelli d’Italia. In pratica, secondo l’indagine, 213 voti a Fratelli d’Italia sarebbero stati indicati come voti per Forza Italia, mentre 52 voti a FI sarebbero stati trasferiti a FdI. Questo ha fatto scattare l’elezione a deputato di FI di De Palma al posto di quella di Marcello La Notte, che ha contestato subito il presunto broglio. A seguito poi dell’elezione in Parlamento, De Palma si è dimesso da consigliere regionale. Al suo posto è subentrato come primo dei non eletti di FI Massimiliano Di Cuia.
(da agenzie)
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Novembre 18th, 2025 Riccardo Fucile
IL PORTAVOCE DELLA ASSOCIAZIONE TEDESCA CHE SI OCCUPA DI SUICIDIO ASSISTITO: “LE ABBIAMO SEGUITE CON UN AVVOCATO E UN MEDICO”
Volevano morire insieme e così hanno fatto le gemelle Kessler. Una decisione, quella di ricorrere al suicidio assistito, che le due artiste avevano maturato diverso tempo fa. Per la precisione «anni fa», come ha spiegato a Repubblica Wega Wetzel, portavoce di Dghs (Deutsche Gesellschaft fuer humanes
Sterben), la più antica e grande associazione tedesca che si occupa di suicidio assistito. Dopo un lungo percorso durato mesi, il 17 novembre le gemelle hanno girato la valvola iniettandosi il siero letale: «La data non ha nessun significato particolare, la procedura ha solo bisogno di un po’ di tempo».
La morte delle gemelle Kessler: «Volevano farlo insieme»
«Volevano morire insieme», lo ha ribadito Wetzel sottolineando come le due gemelle fossero davvero inseparabili, in vita e in morte. Nel periodo che precede la morte, ha spiegato la portavoce di gas, «le persone che hanno fatto la scelta vengono accudite da un legale e da un medico, che insieme decidono se ci sono i presupposti». È la stessa trafila che hanno dovuto seguire Alice ed Ellen Kessler.
Il lungo percorso delle gemelle con il medico e il legale
«Hanno ricevuto prima la visita di un legale che doveva assicurarsi che la loro decisione fosse maturata da un tempo sufficiente, che non vedessero alternative, che fosse libera e che non avessero, per esempio, malattie psichiatriche», ha illustrato Wega Wetzel.
«In un secondo momento è andato a trovarli un medico. Anche lui per sincerarsi che le due sorelle avessero maturato una “decisione libera e responsabile“. Poi queste due persone hanno continuato a seguire da vicino le gemelle per accertarsi che non avessero proprio più dubbi».
In Germania, è possibile ricorrere al suicidio assistito solo in determinate situazioni: in particolare bisogna agire di propria spontanea volontà, essere maggiorenni e avere capacità di
intendere e volere. L’assistente non può compiere personalmente l’«azione letale» perché in tal caso sarebbe «eutanasia attiva», che è vietata
La morte indolore delle gemelle Kessler
Il 17 novembre è arrivato il giorno che le gemelle aspettavano da tempo. «Al momento della morte sia il legale sia il medico erano presenti», ha raccontato Wetzel. «È il medico a preparare l’infusione, ma deve essere rigorosamente il paziente a girare la valvola perché le venga iniettata. Lì hanno chiesto alle gemelle per un’ultima volta se avessero ben chiaro cosa stessero per fare, se lo volessero davvero. E hanno fatto una prova tecnica con la soluzione salina». Poi, dopo un ultimo controllo per sincerarsi della loro “libera e responsabile decisione”, le gemelle Kessler «hanno potuto iniettarsi la dose letale. La morte in questi casi avviene subito per arresto cardiaco».
La speranza di Wetzel: «Non c’è solo la Svizzera, si muore con dignità anche qui»
La procedura, dopo la morte, prevede di chiamare immediatamente la polizia, che dovrà sincerarsi che le regole sancite dalla Corte costituzionale tedesca siano state rispettate. Per certificare che sia stato un atto volontario e che nessuno abbia iniettato a terzi il siero fatale, ci sono diversi metodi: «Spesso ci sono dei familiari presenti che poi possono testimoniare che è andata così. Oppure a volte si fanno dei video». Un doppio suicidio assistito che, per il fatto di coinvolgere due personalità molto note, potrebbe accendere un faro su una pratica che deve ancora superare diversi ostacoli legali in molti Paesi europei: «Magari farà capire a molti che non è necessario andare in Svizzera, che si può morire con dignità anche in Germania».
(da agenzie)
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