Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
MSC GUADAGNA MILIONI CON UNA CROCIERA E HA IL CORAGGIO NON SOLO DI LAMENTARSI MA DI SCATENARE IL SECOLO XIX (DI PROPRIETA’ DI MSC) IN UNA BATTAGLIA CONTRO LA SINDACA SALIS, SPALLEGGIATI DAI QUEGLI STESSI SOVRANISTI CHE AVEVANO VOTATO LA DELIBERA QUANDO SINDACO ERA BUCCI
La storia è penosa, ve la raccontiamo perché è un tipico esempio di come i
poteri forti (in questo caso il maggior armatore mondiale Aponte, proprietario sia di Msc che del maggiore quotidiano genovese, il Secolo XIX) vogliano condizionare l’opinione pubblica e le amministrazioni locali.
Nel 2022 l’allora sindaco Bucci (sovranista) sigla un accordo con il sottosegretario Mantovano (Fdi) per un fondo che sostiene i comuni sovraindebitati nell’ambito del piano di riduzione dell’indebitamento dell’ente in cambio dell’aumento dell’addizionale Irpef tramite l’introduzione della tassa di imbarco per 3 euro a passeggero per i croceristi. La delibera di Bucci era andata in Commissione ma poi non è arrivata in Consiglio (si è preferito attendere le elezioni comunali).
Ora il Ministero ha chiesto di andare avanti e di dare seguito all’impegno preso. Silvia Salis annuncia correttamente che entrerà in vigore nel secondo trimestre del 2026. Nel bilancio di previsione indica 3,5 milioni e non i 5 annuali previsti proprio perché non inizierà a gennaio ma a fine marzo.
Silvia precisa che non solo i genovesi non pagheranno un euro ma neanche chi si imbarca sui traghetti per le isole.
Quindi i tre euro riguardano solo chi per una crociera paga migliaia di euro.
Si scatena l’inferno: oggi il Secolo XIX, giornale di proprietà di MSC del comandante Aponte, attacca pesantemente la sindaca Salis: “Non possiamo permetterci una battaglia tra porto e città, ci vuole uno scatto di maturità politica” e ancora “sostenere che si è tecnicamente obbligati a imporre una tassa non è sufficiente”.
Un palese conflitto di interessi tra un armatore proprietario di Msc e lo stesso armatore che è anche proprietario del maggiore quotidiano ligure. Il tutto per 3 dicasi 3 miserabili euro che corrisponde a un cono con una pallina e mezza di gelato.
Ma un po’ di vergogna, mai?
Per non parlare di quei sovranisti che hanno votato la delibera in commissione, d’intesa con il governo sovranista, e ora criticano la sindaca che ha avuto il coraggio (a differenza dei vili) di applicarla nell’interesse dei genovesi.
Genova ha una storia di nobili che hanno regalato beni, ospedali e dimore alla città, Una volta c’erano anche imprenditori “signori” che avrebbero semplicemente annunciato “i 3 euro li assorbiamo noi, è il nostro ringraziamento a una città che ci ha accolti e alla quale dobbiamo riconoscenza”. E avrebbero anche pagato l’annuncio sul quotidiano locale a tutta pagina.
Ora siamo a una polemica miserabile in tutti i sensi.
Vai avanti Silvia, non guardare in faccia nessuno, Genova non si piega ai poteri forti, sono finiti i tempi dei sindaci in pellegrinaggio sugli yacht degli armatori.
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Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
LA MOSSA ARRIVA A UN MESE DALL’INCONTRO TRA IL GOVERNATORE E MARINA BERLUSCONI, CHE PRETENDE DA TEMPO UNA “SVOLTA LIBERALE” NEL PARTITO E PUNTA SU VOLTI NUOVI CHE PRENDANO IL POSTO DI TAJANI E DELLE SUE TRUPPE ATTEMPATE
La data segnata sul calendario è il 17 dicembre. A Palazzo Grazioli, ça va sans dire, per anni residenza romana di Silvio Berlusconi e oggi sede della stampa estera. Formalmente un convegno, che in realtà sarà più un evento politico. Per lanciare la “corrente” del presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, da inizio ottobre riconfermato in pompa magna come governatore di Forza Italia con il 57% dei voti, di cui il 13% provenienti dalla sua lista personale.
Il nome è tutto un programma: “In libertà. Pensieri liberali per l’Italia”. Le voci di una corrente interna al partito di Forza Italia guidata da Occhiuto, che è anche vicesegretario di Forza Italia, nelle ultime ore si rincorrono a Montecitorio (dove ieri è stato visto proprio il presidente di Regione) e in Calabria
Il convegno non è organizzato dal presidente di Regione in prima persona, ma da un’area a lui vicina a partire dall’ex deputato di Forza Italia, Andrea Ruggieri, non rieletto nel 2022. All’evento parteciperanno anche alcune figure che ruotano intorno al partito o sono considerata vicine al governatore come il vice capogruppo alla Camera, Francesco Cannizzaro.
I relatori del panel, oltre ad Occhiuto, saranno appunto Ruggieri, il conduttore Mediaset Nicola Porro, l’Ad di Tim Pietro Labriola e il presidente di Monte dei Paschi, Nicola Maione. Moderazione del direttore di Formiche Roberto Arditti.
Un evento che servirà a far nascere una sorta di area liberale sui temi dei diritti, della politica economica ma soprattutto sulla giustizia, fronte su cui Occhiuto si è speso molto negli ultimi mesi dopo l’inchiesta che lo ha coinvolto in prima persona ad agosto: il presidente è indagato con l’accusa di corruzione per alcune nomine legate alla Sanità e per questo aveva deciso di dimettersi e ricandidarsi come presidente di Regione.
La decisione di organizzare un evento “liberale” che avrà come protagonista il presidente della Regione Calabria sta creando molte aspettative dentro al partito soprattutto perché arriva a un mese dall’incontro, rivelato dall’AdnKronos, tra il governatore e Marina Berlusconi, primogenita dell’ex Cavaliere che nei mesi scorsi ha incontrato diversi vicesegretari.
Non è chiaro se durante quel faccia a faccia, avvenuto a Milano, la presidente di Mondadori abbia chiesto a Occhiuto di dare una svolta “liberale” nel partito soprattutto sul fronte dei diritti civili, aprendo anche a mondi che oggi non votano Forza Italia. Marina Berlusconi ha molta stima di Occhiuto e lo ritiene un volto nuovo che potrebbe guidare Forza Italia in futuro. Non ci sono conferme su una sua richiesta diretta per iniziare a prendere in mano il partito.
Subito dopo l’incontro, il presidente della Calabria, intervistato da Sky Tg 24, aveva elogiato la leadership del ministro degli Esteri Antonio Tajani e della premier Giorgia Meloni, ma allo stesso tempo aveva chiesto al partito di mantenere intatta la sua “vocazione liberale”. Anche il governo, aveva aggiunto Occhiuto, “a volte ha bisogno di più stimoli per essere veramente liberale, più aperto e più fedele a quei principi voluti da Berlusconi”.
Dopo la sentenza della Cassazione che aveva negato le misure di prevenzione nei confronti di Marcello Dell’Utri, c’era stato uno scambio a distanza proprio tra Occhiuto e Marina Berlusconi.
Quest’ultima aveva scritto un intervento sul Giornale esultando per la “vittoria di mio padre” riferendosi alla riforma della separazione delle carriere e prendendosela con le “calunnie e le false accuse” dei magistrati.
Il primo commento era arrivato proprio da Occhiuto: “La Cassazione ha scritto la verità su Silvio Berlusconi, ma non cancella 30 anni di calunnie e sofferenze acuite da un sistema mediatico ideologico. Marina Berlusconi ribadisce l’urgenza di procedere con una coraggiosa riforma della giustizia”.
(da agenzie)
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Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
IL LEGALE RACCONTA CHE I GENITORI HANNO DETTO NO A QUALSIASI SOLUZIONE ALTERNATIVA CHE GLI ERA STATA OFFERTA (GRATUITAMENTE): “IL SINDACO GLI AVEVA PROPOSTO UNA CASA. PER LORO ERA TROPPO RUMOROSA E NON AVEVA LA VISTA SULL’ALBA. NON POTEVO IMPOSTARE UNA DIFESA MONCA”
Avvocato Giovanni Angelucci, perché ha lasciato la difesa della famiglia nel bosco?
«Ci sono state ingerenze esterne, si è incrinata la fiducia alla base del rapporto professionale che lega avvocato e cliente».
In sei mesi i coniugi Trevallion-Birmingham hanno cambiato quattro legali. Non è un buon segno.
«Se vogliono riuscire a riavere la potestà genitoriale e i loro tre figli devono smussare gli angoli e spalancare mente e cuore».
Ci racconta queste ultime 48 ore?
“Sono sfinito. Ho bisogno solo di riposare, dopo settimane frenetiche».
Cosa è successo nella giornata di martedì?
«Avrei dovuto incontrare Nathan, il padre, nuovamente nel pomeriggio. Era previsto il sopralluogo in un’abitazione distante pochi chilometri dalla loro. L’aveva messa a disposizione, a titolo gratuito, un imprenditore della ristorazione di Ortona, originario di Palmoli. Un bed and breakfast nel bosco, una vecchia casa contadina in pietra, ristrutturata. Tre camere, soggiorno, cucina, porticato, garage. Sì, gratis».
Che cosa ha detto Nathan?
«Non si è presentato».
Sarebbe servita a ospitarlo durante la ristrutturazione del famoso casaletto nel bosco.
«Sì, e questa soluzione si aggiungeva a quella proposta dal sindaco di Palmoli, Giuseppe Masciulli. Aveva offerto, anche in questo caso gratuitamente, una casa vicino al paese. Visto che la precedente l’avevano abbandonata perché rumorosa e senza vista sull’alba, il Comune ne ha recuperata una seconda a due chilometri dal centro. Un piano, 70 metri quadrati, ampio terreno. Questa, rifatta venti giorni fa. C’era l’energia elettrica, ma prodotta dai pannelli fotovoltaici. Neppure l’ha guardata».
È partita, almeno, la ristrutturazione del famoso casaletto di proprietà?
«Niente. Per il loro amato rustico era pronta anche la soluzione di un imprenditore pescarese: avrebbe potuto appoggiare moduli abitativi all’avanguardia in giardino. Nathan, e direi anche sua moglie Catherine, che è sempre alloggiata nella struttura che ospita i bambini, ci hanno ripensato. Il padre avrebbe dovuto darmi la firma per procedere con il deposito al genio civile del progetto di ristrutturazione straordinaria, ma alla fine ha detto che i lavori sarebbero stati invasivi. La società San Salvo Appalti era disposta a eseguirli a sue spese: respinti».
Retromarcia su tutto, come già accaduto con l’assistente sociale.
«Avevo preso appuntamento con una psicologa infantile specializzata in psicoterapia cognitivo-comportamentale. Le sue diagnosi sarebbero servite ai coniugi come supporto tecnico-scientifico per il futuro giudizio del Tribunale dei minori. No anche su questo fronte».
Quindi?
«Questi passaggi, logistici e tecnici, erano e sono imprescindibili ai fini della predisposizione del ricorso, in scadenza sabato prossimo. E il tempo a disposizione non permetteva indugi né ripensamenti. Sì, a malincuore ho ritenuto necessario rinunciare al mandato difensivo. Non potevo impostare una difesa monca, che, peraltro, avevo concordato».
(da Corriere della Sera)
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Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
LA LEGA È CONTRARISSIMA ANCHE AL PREMIO DI MAGGIORANZA ALLA COALIZIONE (CON LA SOGLIA AL 40%, LA LEGA DIVENTEREBBE SACRIFICABILE) … ALTRA ROGNA: IGNAZIO LA RUSSA SCENDE IN CAMPO IN MODALITÀ SCASSA-MELONI: HA RINFOCOLATO LA POLEMICA SU GAROFANI E SE NE FOTTE DEI DIKTAT DELLA DUCETTA (FIDANZA SINDACO DI MILANO? NO, MEJO LUPI; PRANDINI GOVERNATORE DELLA LOMBARDIA? NO, QUELLA È ROBA MIA)
Se le elezioni regionali non presentavano incognite sull’esito – ed è andato tutto più o meno come previsto (Fico vincente in Campania, Decaro in Puglia, Stefani in Veneto) -, gli osservatori politici erano interessati a “pesare” gli equilibri interni alle coalizioni.
In Campania non è andata a finire come voleva, saltellando Funiculì-Funiculà, Giorgia Meloni: il suo candidato, il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, ha fatto una figuraccia raggranellando un misero 35%, mentre il candidato del “campo largo”, l’ex presidente della Camera Roberto Fico, ha incassato un sonoro 60%. Forza Italia ha pareggiato i conti con FdI: i berluscones hanno incassato il 10,72%, i meloniani l’11,93%.
In Veneto, idem con patate. I suoi camerati le avevano assicurato che lo scrutinio avrebbe certificato un testa a testa fra FdI e
Lega.
Ma i tapini di Colle Oppio non avevano fatto i conti con la campagna “Vota Zaia” (attenzione: non “Vota Lega”): con 203 mila preferenze, il “Doge” ha portato il Carroccio a doppiare i meloncini veneti. A dimostrazione di chi ha il vero consenso, da quelle parti.
Il voto regionale, infine, ha registrato la trombatura di molti candidati di Fdi, mettendo ancora una volta in risalto la carenza di una classe politica che abbia presa sul territorio.
E hai voglia a dire che la tornata in Campania, Puglia e Veneto era solo un “voto locale”: i risultati sono diventati il termometro per misurare lo stato di salute elettorale del centrodestra e del centrosinistra, allargato al M5S e ai AVS, in vista del voto politico nazionale del 2027
Secondo l’analisi dell’Istituto Cattaneo, “la possibilità di far confluire i voti dei partiti del centrosinistra su candidati comuni, soprattutto nel sud, riapre la competizione anche a livello nazionale’’. Un campanello d’allarme per la “Statista della Sgarbatella” che rischia di non tornare a palazzo Chigi, tra due anni.
Quindi, i geni di via della Scrofa hanno capito che, con la legge attuale, il centrodestra rischia di perdere le elezioni, o quanto meno di vincerle stentatamente (con una strategia elettorale
unitaria il centrosinistra avrebbe gioco facile a prevalere nei collegi uninominali). Urge quindi procedere al varo di un nuovo sistema elettorale: si cambiano le carte in tavola così da fregare l’avversario. Un film che, nella politica italiana, s’è già visto più volte.
Per la riforma è sufficiente ottenere la maggioranza dei voti parlamentari e quindi non dovrebbero esserci problemi per i tre caballeros del governo, Meloni-Salvini-Tajani.
Problema risolto? Manco pe’ gnente! La Ducetta, in preda alla fregola della cosiddetta “egemonia istituzionale”, alias “premierato”, ha pensato bene di portarsi avanti per tempo: con la nuova legge elettorale vuole permettere di inserire il nome del presidente del Consiglio direttamente sulla scheda (“Giorgia Meloni premier”).
Il “premierato”, anche se non approvato, troverebbe una surroga: i cittadini andrebbero a esprimersi nelle urne scegliendo la persona a cui vogliono dare la guida del governo. Sarebbe però una forzatura del “sistema”, visto spetta al Quirinale, fatte le dovute valutazioni, il potere di affidare l’incarico e di nominare il premier.
E’ l’articolo 92 della Costituzione a dirlo: il Presidente del Consiglio, come del resto i ministri, è nominato dal Presidente della Repubblica, che solitamente conferisce l’incarico al leader della coalizione che ha vinto le elezioni e ha una maggioranza in Parlamento. Fratelli d’Italia vuole quindi bypassare Mattarella? Spoiler: sì, avoja.
Ma non tutto fila liscio nemmeno a Palazzo Chigi: Lega e Forza Italia si oppongono all’indicazione del nome del premier sulla scheda, che finirebbe per cannibalizzarli a vantaggio di Fratelli d’Italia: se Salvini, beffardo, ha proposto di non mettere nessun nome sulla scheda, Tajani deve vedersela con la Famiglia di Arcore, che vedrebbe eclissato il sacro nome di Berlusconi che, a distanza di due anni dalla morte, è presentissimo nel logo del partito.
Se Tajani non è contrario a priori al sistema di modifica della legge elettorale che ha in mente la Meloni, – proporzionale con premio di maggioranza alla coalizione che ottiene il 40% -, la nuova regola è invece kryptonite per Salvini.
Il motivo è semplice: la soglia del 40% permetterebbe alla “Giorgia dei Due Mondi” (Colle Oppio e Garbatella) di fare a meno della Lega. Il calcolo è presto fatto: con Fdi al 30-31%, Forza Italia al 9-10% e cespugli centristi tra l’1-2%, l’ex Truce del Papeete, ormai alleato rompicojoni, non serve più.
Salvini l’ha capito: sa che più sarà alta la soglia minima per ottenere un premio di maggioranza (ad esempio, dal 45% in su), più Giorgia Meloni sarà obbligata a imbarcarlo nella coalizione
Va aggiunto che la soglia del 40% potrebbe rivelarsi un boomerang per le “magnifiche sorti e progressive” di Meloni, in quanto raggiungibilissimo anche da un centrosinistra finalmente unito, dopo lo smacco subito alle elezioni del 2022 (quando quel pippone politico di Enrico Letta non riuscì a compattare il “campo largo” e tutti corsero per sé, regalando la maggioranza al centrodestra).
Senza considerare che, come ha sottolineato il politologo D’Alimonte, non si cambia la legge elettorale a un anno dal voto, bensì all’inizio di legislatura.
Preoccupazioni e obiezioni a cui la Macbeth de’ noantri risponde con un “me ne frego”: Fratelli d’Italia, come confermato dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, alla festa di “Libero”, prevede la calendarizzazione del premierato alla Camera a gennaio 2026, e della legge elettorale ai primi di marzo.
Lo stesso mese, stando a quanto annunciato sempre ieri dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, si apriranno i seggi per il voto sulla riforma della magistratura.
Sul fuoco c’è troppa carne, indigeribile per tanti: ragion per cui si è scatenato quel nervosismo, con vittimismo paraculo annesso, che ha spinto la Sora Giorgia a cavalcare il “complotto del Colle per fermare il governo”.
Una strategia, concertata tra i capoccioni di via della Scrofa, diretta a destabilizzare l’autorità istituzionale super partes di Sergio Mattarella, che vede tali riforme come mortifere per l’ordinamento democratico costituzionale.
Quando poi Giorgia Meloni ha annunciato “Il caso Garofani è chiuso”, ci ha pensato lunedì Ignazio La Russa, seconda carica dello Stato, a riaprirlo e inasprirlo: “In ambiente di tifosi, a ruota libera, il consigliere di Mattarella si è lasciato andare improvvidamente a tutta una serie di valutazioni sul governo. Se fosse stato di destra, sarebbe stato crocifisso”
Dopo un’ora e mezza dalla dichiarazione, con un Capo dello
Stato incazzatissimo, quel furbo laureato di ‘Gnazio, ha fatto capire che l’uscita era ben pensata e mirata: anziché ritrattare, si è limitato a un colpetto di freni: “Anche io, come Giorgia Meloni, considero chiuso e sul quale ho espresso personalmente sin dal primo minuto, piena solidarietà al Presidente Mattarella”.
E poi ha aggiunto, velenosissimo: “Certo, ho detto, forse in maniera troppo sincera, che Garofani potrebbe essere imbarazzato a svolgere il ruolo non di Consigliere ma di Segretario del Comitato Supremo di Difesa. Ma non tocca a me chiedere le sue dimissioni e nemmeno l’ho fatto”.
E così, ora i Fratelli di Meloni si ritrovano con un tosto e sotterraneo correntone tra i piedi che spadroneggia dalla Lombardia alla Sicilia e se ne fotte, sotto l’esperta e abilissima guida dei Fratelli La Russa (Ignazio e Romano), dei diktat dell’ex attivista del Fronte della Gioventù diventata premier (Fidanza sindaco di Milano? No, mejo Lupi; Prandini
governatore della Lombardia? No, quella è roba mia).
E chissà quanto si è pentita la Meloni di aver fatto imbufalire il malconcio Silvio Berlusconi mettendo La Russa sulla poltrona della presidenza del Senato, carica importantissima a cui Lei teneva moltissimo: in caso di “indisposizione” dell’ottuagenario Mattarella, è ‘Gnazio quello che prenderebbe il suo posto…
(da Dagoreport)
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Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
MELONI SPIAZZATA DAL SI’ AL CONFRONTO DI ELLY SCHLEIN, PENSAVA AVREBBE DECLINATO L’INVITO… LA SFIDA DI ELLY CHE NON TEME DI GIOCARE LA PARTITA NELLA TANA DEL NEMICO

Non esclude di accettare. Di più: è tentata, fortemente tentata di presentarsi sul palco e affrontare il duello con Elly Schlein. Premessa: Giorgia Meloni non aveva previsto la mossa della leader dem. Come lei, i vertici meloniani: nessuno aveva ipotizzato che la segretaria del Pd potesse dire sì all’invito. Anno
dopo anno, aveva sempre declinato.
Stavolta è diverso, a sorpresa. Ecco perché, a caldo, la presidente del Consiglio tentenna, ci pensa, valuta costi e benefici.
Non ufficializza un’apertura, ma non si tira neanche fuori dal possibile confronto pubblico ad Atreju. Valuta le conseguenze di un passaggio che si trasformerebbe in un avvenimento politico. Di più: inizia a pensarci ed è addirittura orientata a dirsi disponibile. E insomma: dovesse decidere domani, probabilmente salirebbe su quel palco.
A sera, parla Giovanni Donzelli. Il responsabile organizzazione di Fratelli d’Italia rimanda sostanzialmente la palla nel campo avversario.
Da collocare eventualmente in una delle giornate centrali della festa, mentre di solito a Meloni è riservata la chiusura di Atreju.
Un passaggio che diventerebbe impegno da gestire, per la premier, ben consapevole che a dicembre esistono almeno tre appuntamenti internazionali: una visita in Bahrein, un incontro tra leader sui migranti a Bruxelles il 10 dicembre, il Consiglio europeo del 18-19 dicembre. Fatiche a cui aggiungere quella per prepararsi al meglio per la resa dei conti con la leader dell’opposizione, che attirerebbe l’attenzione dei media.
E poi, nella riflessione meloniana pesa un elemento pre-politico: per indole, la premier fatica a mostrarsi in ritirata, soprattutto se
sfidata pubblicamente. Le peserebbe dunque farlo, questo raccontano i suoi da Palazzo Chigi.
È anche vero – ed è una regola aurea di molte campagne elettorali – che chi si trova in una posizione di forza ha meno interesse a mettersi in gioco, mentre chi deve inseguire di solito spinge per organizzare questo tipo di confronti. E dunque, la dem preme per salire su quel palco. Certo, in questo caso non ci sono elezioni in vista, ma è evidente che un faccia a faccia segnerebbe l’avvio del lungo duello che condurrà fino alle prossime politiche del 2027.
Schlein ha interesse a polarizzare lo scontro, nessuno dei suoi fedelissimi lo nega. Decide di accettare l’invito dopo essersi confrontata con chi si fida. È consapevole, per dirla con una formula circolata nelle ultime ore, «che un gol in trasferta vale doppio»: non è detto che vinca, potrebbe addirittura perdere, ma a meno di clamorosi inciampi trarrebbe forza dal mostrarsi nella tana del nemico (politico). Per di più di fronte a un pubblico ostile, circostanza che di norma legittima una leadership.
(da agenzie)
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Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
ALDO CAZZULLO: “SIAMO INCAPACI DI CONCEPIRE CHE UNA PERSONA POSSA FARE QUALCOSA NELL’INTERESSE DI QUALCUNO CHE NON SIA SE STESSO O UN SUO FAMILIARE. L’ITALIA NON È MAI STATA UNA VERA DEMOCRAZIA, FINO AL 1946. E LA DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA FU IMPOSTA DAI VINCITORI ANGLOAMERICANI
La democrazia non è la condizione naturale della società umana, e in particolare di quella italiana. È vero che semi di democrazia
esistono nella nostra storia: nella Roma repubblicana era il popolo, non il Senato, a eleggere i magistrati, dichiarare la guerra e la pace, approvare le leggi. Duemila anni dopo, la Repubblica romana introdusse il suffragio universale e la scuola libera, gratuita, obbligatoria.
Ma sono eccezioni, non la norma. Oggi non c’è nulla più fuori moda del Risorgimento; addirittura una città colta e ricca come Modena ha reso omaggio con una lapide ai duchi austriaci che impiccavano i patrioti come Ciro Menotti, con la solitaria, splendida protesta di Ascanio Guerriero, ufficiale dei carabinieri in congedo, che è rimasto lì con il tricolore: l’hanno portato via di peso e denunciato (va detto che il sindaco l’ha difeso, ma quella lapide era meglio non metterla).
L’Italia non è mai stata una vera democrazia, fino al 1946. E, al di là dell’eroismo dei resistenti, la democrazia rappresentativa fu imposta dai vincitori angloamericani. Non corrisponde alla nostra natura di popolo avvezzo a considerare lo Stato come nemico, incapace di concepire che una persona possa fare qualcosa nell’interesse di qualcuno che non sia se stesso o un suo familiare.
Nella Prima Repubblica eravamo una democrazia incompiuta, in mano ai partiti, condizionata dall’America e dal Vaticano. Abbiamo avuto tre elezioni in cui gli elettori potevano eleggere
il loro rappresentante in collegi giustamente piccoli: nel 1994, nel 1996, nel 2001. Poi è arrivato il Porcellum, con i parlamentari scelti dai capi partito.
Che si sono trovati bene. Gli elettori meno.
(da Corriere della Sera)
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Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
“QUELLO CHE PREOCCUPA MELONI NON È IL PAREGGIO MA CHE CON QUESTA LEGGE ELETTORALE VINCIAMO NOI. È UN RISCHIO CHE LA MANDA FUORI DI TESTA. ANCHE PERCHÉ, SE PER CASO LA SINISTRA VINCE, IL GIORNO DOPO TUTTE LE MAGAGNE CHE HANNO COMBINATO, DA PARAGON AD AL-MASRI, VENGONO FUORI”
Matteo Renzi è in una fase “testardamente unitaria”, come si dice oggi. Soddisfatto per i
risultati delle regionali, invita le forze del centrosinistra a non perdere lo slancio e concentrarsi nel «menare, menare, menare» sulla legge di bilancio. Convinto che la partita per le Politiche sia «finalmente apertissima». Quanto all’area riformista, è il momento di unirsi «senza veti» per creare un centro più forte.
Schlein, ma anche Bonelli e Fratoianni, propongono di aprire subito un tavolo per il programma, mentre Conte ha lanciato un cantiere dei soli 5S, rimandando tutto a dopo l’estate. E lei?
«Io partirei dal minimo sindacale, inizierei dal non litigare al nostro interno. La foto che ci consegnano le regionali è quella di una presidente del Consiglio nervosa, impaurita. Questo è per me il quadro da cui si parte».
Da cosa deduce questo nervosismo?
«Beh, dal fatto che un minuto dopo che si sono chiusi i seggi, la prima cosa che fa dire al fido Donzelli è “cambiamo la legge elettorale”. Dà il senso di uno scollamento rispetto alla realtà:
invece di parlare di tasse e sicurezza, pensa a come garantire i seggi per i suoi. Il centrosinistra deve sfruttare questo momento d’oro che si apre»
In che modo?
«Innanzitutto insistendo da subito sulla legge di bilancio.
«Nel frattempo, meniamo sul governo offrendo un’alternativa credibile. Perché, se prendi l’iniziativa politica, il centrodestra può persino dividersi».
Dove vede questi segnali di scollamento?
«La destra è molto meno unita di come raccontano. In Veneto la Lega doppia FdI, ma è la Lega di Zaia non di Vannacci. Quando un giornalista come Mario Giordano, non propriamente un sinistrorso, attacca il governo perché sulla sicurezza non ha fatto niente, questi sono elementi da prendere al volo».
Il governo però ha chiuso la procedura d’infrazione con l’Europa e il rating italiano ha ricevuto un voto positivo da Moody’s. La stabilità c’è…
«Meloni continua a dire che nei mercati finanziari lei è apprezzata, ma nei mercati rionali l’apprezzano di meno se aumentano le zucchine. Lei ha raddoppiato gli stipendi ai suoi, agli staff, ma non l’ha fatto agli stipendi degli italiani. L’unico a cui hanno aumentato la pensione è Brunetta».
Qual è il punto debole di Meloni in questo momento?
«Io sono convinto che il tema della sicurezza sia quello sul quale rischia di perdere le elezioni. Potrebbe nascere qualcosa alla destra della Meloni che le porta via i voti decisivi, sia con l’attuale legge elettorale che con quella che vogliono fare».
Legge elettorale, la ragione addotta per cambiarla è il rischio del pareggio. Esiste?
«Quello che preoccupa Meloni non è il pareggio ma che con
questa legge vinciamo noi. È un rischio che la manda fuori di testa. Anche perché, se per caso la sinistra vince, il giorno dopo tutte le magagne che hanno combinato, da Paragon ad Al-Masri, vengono fuori. Quando finisce una leadership, gli effetti poi si fanno sentire per anni e io ne so qualcosa».
Però anche voi avete cambiato la legge elettorale con i soli voti della maggioranza. Perché non dovrebbero farlo anche loro?
«Noi siamo stati costretti a farlo perché quella fatta dal centrodestra era stata dichiarata incostituzionale».
I voti per cambiarla da sola comunque ce li ha…
«Forse ce la farà a fare la legge elettorale, ma di solito chi lo fa poi perde le elezioni. Quello che io dico al centrosinistra è: diamo una scrollata alla rassegnazione. La partita non solo è aperta, la partita è possibile, si può fare davvero. E parliamo di quotidianità, non di ideologia».
Insisto: se la maggioranza va avanti con la proposta nota – premio di maggioranza e proporzionale – quale deve essere la risposta?
«Io sono contrario. Il Rosatellum ha garantito uno dei governi più longevi della storia, non è che Meloni è stata eletta con il sorteggio eh. C’è una contraddizione tra ciò che dicono su quanto è brava Giorgia che ha fatto un governo stabile e la legge elettorale che non dà stabilità. Delle due l’una»
La maggioranza ha scongelato anche il premierato per portarlo in aula a gennaio. Ci crede?
«Ne tireranno fuori una al mese, da qui alle elezioni, pur di non parlare di tasse e stipendi, o dei 200 mila italiani che anche quest’anno se ne vanno dal nostro Paese. Io sono da sempre favorevole all’elezione diretta del capo del governo, ma non sono riusciti a fare nemmeno quella: per accontentare la Lega hanno fatto un pastrocchio in cui voti un premier ma non è detto che poi il premier sia lui. Voti la Meloni e ti ritrovi Salvini
L’area centrale è andata bene alle regionali ma comunque è divisa in varie iniziative. È possibile un momento di riunificazione fra queste varie iniziative? Penso a Ruffini, Onorato, voi di Casa riformista…
«Non solo è possibile, ma è doveroso e necessario. Il problema è che finora in tanti fanno le interviste, in pochi fanno le liste. Noi, che abbiamo fatto le liste, siamo ben disponibili a lavorare per questo raggruppamento, senza alcuna esigenza di protagonismo.
Noi non vogliamo spadroneggiare, vogliamo costruire con umiltà e concretezza uno spazio centrale e riformista. Lo spazio c’è, come Casa riformista quando si fa il 5% in Calabria, il 6% in Campania, il 9% in Toscana, si fa la differenza davvero. Spazio a tutti: nessuno metta veti, noi portiamo voti».
Come si sceglie la leadership? Schlein si è detta disponibile anche a primarie di coalizione. Quale deve essere il metodo?
«Condivido totalmente ciò che ha detto Elly. E ne apprezzo la fatica di costruire una casa comune. Naturalmente, se ci saranno primarie, penso che quest’area riformista del centro-sinistra potrà e dovrà presentare una candidatura diversa da Schlein e da Conte».
(da agenzie)
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Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
NON SONO BASTATI I GADGET ESTROSI: ACCENDINI A FORMA DI DOPPIETTA E, PER LE SIGNORE, UN UTILE SET CON FORBICINE E LIMA PER UNGHIE. AI TEMPI DELLA PANDEMIA BERLATO VENNE ETICHETTATO COME “NO VAX”
A Sergio Berlato, 66 anni, eurodeputato di FdI, paladino delle doppiette, la corsa in Regione Veneto non è riuscita
I malevoli non resistono alla facile ironia: «Il cacciatore è stato impallinato». A passare fra i meloniani, nel Vicentino, è l’ex sindaco del capoluogo berico, Francesco Rucco (9.318 voti), Berlato risulta primo dei non eletti con 8.588. Segue la fidata collaboratrice Giulia Sottoriva, cui ha cercato di tirare la volata, con 6.757 voti validi. Non sono bastati i gadget, estrosi: accendini a forma di doppietta e, per le signore, un utile set con forbicine e lima per unghie.
Berlato è un veterano che non ha mai avuto tema d’essere divisivo. In passato ha pubblicato, con tutta la serietà del caso, l’esito di un test tossicologico ad ampio spettro invitando i competitor (si era alle Europee 2024) a fare altrettanto.
Il gusto della sfida c’è. Soprattutto nei confronti di quaglie, peppole, fringuelli e pispole, Berlato è, prima di tutto, un fiero cacciatore. E il suo bacino elettorale, granitico, lo dimostra. E pazienza per le polemiche, degli anni scorsi gli annali ricordano
l’indignazione per la competizione di «tiro alla quaglia» nel Bolognese (cancellata dall’allora governatore Stefano Bonaccini).
Ora Berlato commenta così la sconfitta: «Mancò la fortuna non il valore», ricordando la battaglia di El Alamein. Eppure, con Rucco in predicato per un posto da assessore (si dice alla Sanità), per Berlato scatterebbe un posto da consigliere
C’è chi scommette che lascerebbe il posto a Sottoriva. Mettendo così a segno l’ennesima vittoria, seppur per un soffio.
(da Corriere della Sera)
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Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile
SEMBRA CHIARO CHE L’APPARATO DI POLITICA ESTERA AMERICANO E IL SUO DEEP STATE NON APPREZZINO IL RUOLO DI UN BUSINESSMAN PRIVATO, INFORMALE E POCO TRASPARENTE COME WITKOFF NEL RAPPORTO CON LA RUSSIA… L’OMBRA DI UNO SCONTRO TRA IL SEGRETARIO DI STATO USA, IL FILO-UCRAINO MARCO RUBIO E IL VICE DI TRUMP, IL PUTINIANO JD VANCE, IN VISTA DEL 2028
Come questa fuga di notizie sia avvenuta resta un mistero. Ushakov ha detto di aver
parlato più volte via WhatsApp con Witkoff – anziché tramite linee di comunicazione sicure.
Il fatto che a Bloomberg sia arrivato un audio e non la trascrizione lascia ipotizzare che “la talpa” possa essere ai vertici della catena dell’intelligence. Un Paese straniero, ad esempio, o un regolamento di conti interno agli Usa con Cia e Nsa coinvolti. Chi ha tradito Steve Witkoff? Perché qualcuno deve averlo fatto. E l’identità di quelle persone contiene alcune risposte alle domande sulle tensioni nel deep state , i livelli profondi del governo e dei suoi apparati negli Stati Uniti; forse offre anche indicazioni sulla lotta intestina che attende il partito repubblicano in vista della (presumibile) uscita di scena di Donald Trump nel 2028.
Sembra chiaro che l’apparato di politica estera americano e il suo deep state non apprezzino il ruolo di un businessman privato, informale e poco trasparente come Witkoff nel rapporto con la Russia. E la comunità dell’intelligence degli stessi Stati Uniti aveva i mezzi per mettere a segno quelle intercettazioni.
I mezzi li ha probabilmente anche l’Ucraina, ma soprattutto in
questa fase a Kiev non si ha interesse a tentare mosse che potrebbero irritare Trump e indurlo ad allontanarsi ancora di più.
Anche alcuni Paesi europei — Francia e Gran Bretagna in primo luogo — potrebbero avere le risorse per un’operazione di spionaggio tanto sofisticata. Ma finora non hanno dimostrato l’autonomia strategica sufficiente a sferrare un attacco così duro a uno stretto alleato del presidente degli Stati Uniti.
Ammesso che la fuga di notizie venga davvero da settori della stessa intelligence americana, resta da capire se esista una copertura politica. Tradizionalmente non si muovono senza. Di certo il segretario di Stato Marco Rubio è rimasto spiazzato dalle mosse russe di Witkoff e quando il «piano di pace» è uscito ha subito osservato che è in buona parte materiale di Mosca.
Di Rubio si sa che intende candidarsi alla presidenza nel 2028, probabilmente in vista di primarie durissime contro il vicepresidente JD Vance. Rubio potrebbe persino dimettersi nel 2026 per prepararsi. Lui rappresenta l’ala più istituzionale e filo-ucraina dei repubblicani, Vance quella più Maga e anti-ucraina. Con quelle intercettazioni di Witkoff — chiunque le abbia volute — la campagna per il 2028 potrebbe aver segnato il suo colpo d’avvio.
(da agenzie)
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