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LA BALLA SOVRANISTA CHE “TOLGONO I FIGLI SOLO ALLA FAMIGLIA DEL BOSCO MENTRE NON AI ROM”: GLI VIENE COMODO NON RACCONTARE LA VERITA’

Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile

POCHI GIORNI FA SONO STATI ALLONTANATI DAI GENITORI ROM DIECI BAMBINI DAL CAMPO DI VIA SALVANESCHI A MILANO

In difesa della cosiddetta “Famiglia del bosco“, la coppia anglo-australiana che viveva isolata tra i boschi di Palmoli (Abruzzo), la macchina della propaganda politica e social ha puntato il dito contro lo Stato, i giudici e i servizi sociali.
Con quale narrazione? I figli di questa famiglia sarebbero stati “strappati” solo perché i genitori hanno scelto uno stile di vita alternativo, mentre lo Stato chiuderebbe gli occhi davanti ai bambini rom che vivono in condizioni molto peggiori, senza scuola, senza vaccini, in abitazioni malridotte.
Attraverso questo confronto viene imposta l’idea di fondo del doppio standard, dove si interviene con severità con alcune famiglie e tolleranza con i rom, fatti passare come “intoccabili” sul piano giudiziario e sociale. Succede anche a loro, ma non fa notizia
Cosa bisogna sapere:
L’allontanamento dei tre figli della “Famiglia del bosco” è stato disposto dal Tribunale per i minorenni dell’Aquila dopo un percorso di accertamenti dei servizi sociali, sulla base di condizioni ritenute pregiudizievoli per i bambini, non per una generica scelta “green”.
Le stesse norme (art. 403 c.c. e provvedimenti del Tribunale per i minorenni) si applicano a tutti i minori sul territorio italiano, senza distinzione di etnia o cittadinanza.
Esistono casi documentati e recenti di minori rom allontanati dalle famiglie e inseriti in comunità, come nel campo abusivo di via Selvanesco a Milano, dove dieci bambini sono stati collocati in struttura su decisione del Tribunale.
Da anni sono attivi programmi nazionali specifici per l’inclusione e la tutela dei bambini rom, sinti e caminanti, che prevedono interventi sociali e scolastici in molte città italiane, compresa Milano.
La contrapposizione “tolgono i figli solo alla Famiglia del bosco e mai ai rom” risulta del tutto falsa e fuorviante. I casi ci sono, ma fanno meno notizia e riguardano una comunità spesso già disprezzata
Secondo un rapporto del 2013 dell’Associazione 21 luglio risulterebbe più facile che un minore rom venga sottratto e messo in adozione rispetto a uno “non rom”.
La propaganda social
I post non entrano nel merito dell’ordinanza del Tribunale, né delle procedure previste dalla legge, deviando del tutto l’attenzione in difesa della famiglia del bosco. Di fatto, usano il caso come grimaldello per sostenere che ci sarebbe una repressione selettiva contro chi adotta stili di vita “non allineati”, ma non contro i rom.
«Ci sono 16 mila bambini rom in Italia che vivono in condizioni igieniche e sanitarie a dir poco scadenti, usati dai genitori per mendicare o rubare e voi togliete i figli a quelli della casa nel bosco??? Vergognatevi!!!!» scrive in un post la pagina Facebook “Sapere è un Dovere”.
«Cari servizi sociali, non provate un po’ di vergogna? come mai non andate nei campi rom dove migliaia di bambini vivono in pessime condizioni. La legge è uguale per tutti?» scrivere in un post un altro utente, il quale utilizza una foto del Perù che non ha nulla a che fare con le comunità rom
A livello politico, sono intervenuti rappresentanti della Lega come Susanna Ceccardi («Bambini con la propria famiglia nel bosco no, nel campo rom si?! Voi cosa ne pensate?»).
Non è mancato l’intervento di Matteo Salvini, attuale vicepremier, che se la prende con lo Stato
Anche i bambini rom vengono allontanati dai genitori
I rom non sono intoccabili e anche i bambini di queste comunità vengono allontanati dalle famiglie. L’esempio più recente riguarda la decisione del Tribunale di Milano per il ricovero in comunità di dieci bambini rom, ritenendo le loro condizioni incompatibili con la tutela dei minori. La vicenda è stata raccontata anche da Open in un articolo del 2 ottobre 2025. Non si parla di un campo qualsiasi, ma di quello dove vennero rintracciati i quatto minorenni che investirono e uccisero Cecilia De Astis lo scorso 11 agosto: il campo di via Salvanesco.Ecco quanto riportato nell’articolo del 2 ottobre:
All’alba di giovedì scorso la polizia locale di Milano è intervenuta nel campo rom di via Selvanesco, al Gratosoglio, dove da tempo vivevano diverse famiglie. Oggi, in quell’appezzamento di terreno a sud della città, restano soltanto due roulotte e un furgone, oltre a tre adulti, due donne e un uomo, che sono stati denunciati per maltrattamenti nei confronti
di familiari e conviventi. Il blitz è arrivato dopo una serie di sopralluoghi condotti dal Nucleo problemi del territorio della Locale, guidato dal comandante Gianluca Mirabelli.
Un confronto con la famiglia del bosco? Anche in questo caso, le famiglie rom vennero accusate per le condizioni di vita in cui facevano vivere i minori, con la totale assenza di un’iscrizione a scuola e risultati privi di occasioni educative, sportive o culturali. Come riportato dalla Comunità di Sant’Egidio, riprendendo da Repubblica Milano, i bambini non vedono un pediatra nemmeno quando avevano la febbre e non risultano vaccinati.
Un rapporto del 2013 dell’Associazione 21 luglio, intitolato “Mia madre era rom”, denuncia quello che sembra essere una prassi istituzionale nei confronti delle comunità rom rispetto a quelle “non rom” riguardo l’adottabilità dei minori:
Dai dati della ricerca, emerge che un minore rom, rispetto a un suo coetaneo non rom, ha 60 probabilità in più di essere segnalato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni e circa 50 probabilità in più che per lui venga aperta una procedura di adottabilità. Tali numeri si traducono nel dato secondo il quale un bambino rom ha 40 probabilità in più di essere dichiarato adottabile rispetto a un bambino non ro
Attraverso il rapporto, realizzato in collaborazione con la Facoltà di Antropologia culturale dell’Università di Verona, l’Associazione 21 luglio sostiene quanto segue:
Segregando i rom su base etnica nei cosiddetti “campi nomadi”, come da anni avviene a Roma e nel Lazio, le istituzioni locali prima condannano le comunità rom a vivere in situazioni di totale degrado e all’esclusione sociale, lavorativa e abitativa. E poi sottraggono loro i propri figli per proteggerli dal rischio di vivere in quel contesto inadeguato alla fruizione dei diritti dell’infanzia che gli stessi amministratori hanno creato.
In un articolo de Il Domani, datato 19 maggio 2021, viene ripreso l’argomento, denunciando come i tribunali allontanino con più facilità i bambini a immigrati e rom.
Conclusioni
La narrazione dei campi rom utilizzata per difendere la “Famiglia del bosco” risulta fuorviante, in quanto allontanano la discussione dalle motivazioni del Tribunale dei Minori de L’Aquila e ignorano il lavoro dei servizi sociali nei confronti delle situazioni disagiate presenti negli stessi campi rom. Il doppio standard, di fatto, non è istituzionale, ma mediatico e strumentale.
(da Open)

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ANGELO BONELLI: “LA FAMIGLIA NEL BOSCO HA IDEE VERDI, MA NON SI IMPONGONO AI BIMBI”

Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile

“MIA FIGLIA ERA INTROVERSA, LA SCUOLA L’HA TRASFORMATA”… “QUEI GENITORI DEVONO CONSENTIRE AI LORO FIGLI LE STESSE POSSIBILITA’ DI VITA AVUTE DA LORO PRIMA DI CHIUDERSI NEL BOSCO”

Avevo scritto al leader dei Verdi Angelo Bonelli un messaggio per cercare di capire come mai sul caso della famiglia della
ormai celebre “casa nel bosco” di Palmoli fosse scattata a difesa dei genitori praticamente tutta la destra italiana, nel silenzio quasi unanime della sinistra. Ero incuriosito perché in fondo la scelta di vita fatta dai coniugi Nathan Trevillion e Christine Birmingham, di rifiuto del modello di società capitalistica e della sua tecnologia, mi sembrava lontanissimo dai modelli della destra, e assai più affine all’ecologismo magari più radicale della sinistra.
Bonelli mi ha richiamato ed è nato il colloquio che qui pubblico. Dove racconta di avere letto l’ordinanza con cui i magistrati del tribunale dei minorenni de L’Aquila hanno temporaneamente sospeso la potestà genitoriale dei coniugi e di avere trovato in quelle righe argomenti condivisibili più per l’esperienza fatta da padre che da uomo politico.
In sostanza: i genitori sono liberi di fare delle scelte anche in base alla loro ideologia, ma quella libertà ha un confine quando ci sono di mezzo i bambini: l’ideologia, anche una ideologia non lontana da quello in cui crede Bonelli, non può essere imposta a bambini privandoli del loro diritto di crescere, di avere vita di relazione e di avere gli strumenti critici con cui decidere per sé quando saranno grandi. Un confine labile, che però è al centro del tanto interesse suscitato dalla storia complicata di questa famiglia.
Ecco perché sono cauto su una vicenda così delicata che ha al centro bambini
«Ho letto quell’ordinanza per farmi un’idea dei fatti», premette subito Bonelli, «e sono sempre molto cauto ad affrontare argomenti di questo tipo quando ci sono di mezzo dei bambini. Da libertario ed ecologista io riconosco il diritto ad ognuno di decidere come vivere nei migliori modi possibili in linea con il proprio orientamento culturale. Però qui c’è un punto di vista che non va dimenticato, ed è quello dei bambini. Non sono loro che hanno fatto quella scelta di vita, e bisogna anche chiedersi se viene garantito il loro diritto all’istruzione e ancora di più quello alle relazioni sociali. Senza dovere andare a rileggere Mowgli e il Libro della giungla, ci sono casi di scuola di bambini usciti dopo tanti anni nella foresta con difficoltà di relazione. Ecco, io mi faccio soprattutto domande, e una fra tutte: quello stile di vita sta garantendo davvero i diritti di quei bambini?»
Quei piccoli sono sicuramente felici in famiglia, ma quando saranno grandi?
Quello che lascia dubbi a Bonelli è il rifiuto da parte dei genitori di qualsiasi opportunità sia stata loro offerta: dalla casa, a una scuola da frequentare anche per incontrare altri bambini. «Parlo da genitore, non da uomo politico», continua il leader dei Verdi, «Ho una figlia e credo che al di là di quello che io possa pensare per me, lei debba avere tutti gli strumenti per crescere e che abbia il diritto di avere anche gli strumenti critici per vivere in una società complessa, difficile e competitiva come quella di oggi. Non credo che la salvaguarderei tenendola isolata da tutti in un bosco. Questo è il punto di vista di quei genitori che però hanno fatto la loro vita, hanno girato il mondo in tanti paesi diversi, hanno vissuto anche da benestanti e poi a un certo punto della loro vita hanno deciso di comprare quella casetta nel bosco e di vivere lì con i bambini che sono nati nel frattempo. I bambini certo che oggi sono felici perché stanno lì con mamma e papà. Ma mi domando: quando saranno grandi, avranno la capacità di affrontare una società complessa come quella industrializzata e di fare le loro scelte?».
(da Open)

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GIORGIA MELONI CHIEDE DI CALENDARIZZARE IL PREMIERATO, ALLA CAMERA

Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile

DOPO LA SVEGLIA RIMEDIATA, LA DUCETTA TENTA IL DOPPIO BLITZ CON LA NUOVA LEGGE ELETTORALE E LA MODIFICA COSTITUZIONALE

Il governo, a quanto si apprende, nella conferenza dei capigruppo di Montecitorio, ha portato la richiesta di calendarizzare il premierato in Aula a gennaio. Il governo, a quanto si apprende, ha richiesto, come già fatto anche in precedenza, che il premierato rientri nella programmazione trimestrale dell’Aula della Camera. In modo che ove concluso il lavoro in commissione possa arrivare in Aula
“Gli effetti dei risultati delle regionali – il vero scossone – arrivano in Parlamento. Ieri la Lega, forte del successo in Veneto, ha bloccato la legge sul consenso nella violenza sessuale, oggi Tajani stoppa l’ipotesi del nome del premier nelle liste nella nuova legge elettorale
Ecco che allora Fratelli d’Italia si fa subito sentire, rivendica la leadership e torna a riproporre il premierato”. Lo ha detto la capogruppo del Pd a Montecitorio Chiara Braga dopo la capigruppo.
“Dopo la legge sull’autonomia, smontata dalla Corte Costituzionale, la riforma della giustizia che lo sarà presto dal referendum, ora tocca alla Meloni incassare il premio per il patto
di potere che li tiene incollati al governo anche con divergenze molto forti.
Una riforma, il premierato che metterà in pericolo l’equilibrio tra poteri dello stato previsto dalla Costituzione trasformando la democrazia in un sistema basato sull’investitura di un leader, anziché sulla rappresentanza parlamentare”, ha aggiunto. Braga ha promesso dura opposizione al provvedimento.
/da agenzie)

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L’IMMOBILIARISTA DELLA CASA BIANCA HA SCAZZATO DI BRUTTO CON JAMES MCCRERY, L’ARCHITETTO CHE STA LAVORANDO ALLA NUOVA MEGA SALA DA BALLO DELLA CASA BIANCA: A FAR NASCERE IL DISSIDIO SAREBBERO LE DIMENSIONI DEL PROGETTO

Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile

TRUMP VUOLE UNA STRUTTURA FARAONICA DA OLTRE 8MILA METRI QUADRATI, MENTRE IL POVERO MCCRERY PREFERIREBBE UN PO’ PIÙ DI DISCREZIONE, E AVREBBE RICORDATO A TRUMP LA REGOLA AUREA DELL’ARCHITETTURA: MAI COSTRUIRE UN’AGGIUNTA CHE FACCIA OMBRA ALL’EDIFICIO ORIGINARIO

Il presidente Donald Trump litiga con l’architetto da lui assunto per la nuova sala da ballo della Casa Bianca. Secondo quanto ha appreso il Washington Post, al cuore del dissidio ci sarebbero le dimensioni del progetto il cui costo dai 200 milioni iniziali sarebbe lievitato a 300 milioni di dollari.
Trump – scrive il quotidiano della capitale – lo vorrebbe in linea con l’estetica grandiosa ‘alla Mar-a-Lago’ che gli è cara mentre l’architetto James McCrery II ha invitato alla discrezione sulla scorta di una regola aurea dell’architettura: mai costruire un’aggiunta che faccia ombra all’edificio originario
La ristrutturazione, che costituisce uno dei cambiamenti più significativi nei 233 anni di storia della Casa Bianca, non è ancora stata sottoposta a una revisione pubblica formale, nè sono stati resi noti dettagli chiave sulla futura costruzione, ad esempio l’altezza prevista del nuovo edificio.
Si sa solo che la struttura è ampia oltre 8000 metri quadratospiterà oltre ai mille commensali vip, anche una serie di
uffici. Citando motivi di sicurezza nazionale la Casa Bianca ha inoltre evitato di precisare quali siano i piani per il bunker di emergenza situato in precedenza sotto la East Wing demolita per far largo al progetto
Un funzionario della Casa Bianca ha ammesso con il Washington Post che tra Trump e McCrery ci sono state divergenze, descrivendo però le conversazioni sulla ballroom come “un dialogo costruttivo” in cui “come per qualsiasi edificio, esiste un confronto tra il committente e l’architetto”.
Secondo il Washington Post, l’intenso coinvolgimento di Trump nel progetto e la sua determinazione a realizzare la propria visione nonostante le obiezioni dell’architetto, riflettono una incrollabile fiducia nel suo gusto personale e un’attenzione quasi ossessiva ai dettagli.
Nei primi dieci mesi del secondo mandato, Trump ha portato avanti una campagna per aggiornare la Casa Bianca secondo la propria estetica a base di marmi e oro senza mai chiedere il permesso a nessuno sulla scorta della stessa filosofia del ‘Chi potrebbe fermarmi?’ perfezionata in decenni di attività come imprenditore immobiliare
Mentre sul sito della ex East Wing continuano a fervere i lavori,
i piani per la ballroom non sono stati ancora presentati alla National Capital Planning Commission, il comitato di 12 membri – ora alleati di Trump – incaricato dal Congresso di vigilare progetti edilizi federali.
La prossima riunione in programma il 4 dicembre non ha la sala da ballo all’ordine del giorno, assente anche tra i punti destinati a essere esaminati nei prossimi sei mesi. La Casa Bianca ha detto al Washington post che il progetto sarà presentato alla commissione “al momento opportuno”.
(da agenzie)

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TRUMP SI COCCOLA LA SILICON VALLEY E RISCHIA DI PERDERSI IL POPOLO MAGA: LA BASE ELETTORALE TRUMPIANA DISPREZZA I GIGANTI TECNOLOGICI A CUI IL TYCOON HA SPALANCATO LE PORTE CON UN SOSTEGNO AI GIGANTESCHI PIANI D’INVESTIMENTO NEI DATA CENTER PER L’AI E DEREGULATION

Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile

IL COATTO DELLA CASA BIANCA HA DATO CARTA BIANCA AI MILIARDARI DELLE BIG TECH PERCHÉ SONO CRUCIALI NELLA COMPETIZIONE TECNOLOGICA CON LA CINA E PERCHÉ LO HANNO AIUTATO CON IL BUSINESS DELLE CRIPTOVALUTE, COL QUALE LA SUA FAMIGLIA GUADAGNA MILIARDI

Destra Maga spaccata anche sulle regole per l’intelligenza artificiale (AI) e l’uso della tecnologia. Da tempo è rivolta nel movimento che ha fin qui sostenuto Donald Trump per il tentativo del presidente di silenziare il caso Epstein dopo averlo denunciato come uno scandalo, ma anche per altro: le divisioni interne su suprematismo bianco, il sostegno a Israele e uno stile presidenziale che, tra costruzione di sontuose sale da ballo e tappeto rosso per i super ricchi, rischia di far perdere alla destra il sostegno della gente comune, i forgotten men.
Ora, però, il presidente deve vedersela con un’altra frattura nella sua coalizione, che fa meno notizia ma può avere conseguenze molto più gravi per il fronte conservatore e rischia di indebolire l’America nel confronto tecnologico e geopolitico con la Cina.
Le due fazioni
I Maga hanno sempre guardato con diffidenza o aperta ostilità i giganti tecnologici schierati con Trump. Dietro gli scontri spettacolari tra Elon Musk (quando era ancora a fianco del presidente) e Steve Bannon, ideologo sovranista e architetto della vittoria elettorale di Trump nel 2016, è cresciuto i
malessere dei tradizionalisti per le porte spalancate dal loro leader ai tycoon della Silicon Valley: sostegno a giganteschi piani d’investimento nei data center per l’AI e adesione alle loro richieste di non regolamentare il settore, smantellando anche le norme dell’era Biden.
Sicuro di poter far ingoiare ai Maga ogni cambio di rotta, Trump ha dato carta bianca ai giganti di big tech un po’ perché convinto da loro che ogni regola è un freno nella competizione tecnologica con la Cina, un po’ perché i tecnologi entrati nel suo team l’hanno aiutato a sviluppare il business delle criptovalute col quale la sua famiglia guadagna miliardi.
Il no degli Stati ross
Nel frattempo, però, molti Stati dell’Unione, decisi a limitare l’onnipotenza dei giganti tecnologici almeno sul loro territorio, hanno cominciato a introdurre regole su vari fronti: dalla protezione della salute mentale dei minori minacciata da un uso senza limiti dell’AI al tentativo di salvare posti di lavoro frenando l’automazione.
E i più decisi sono stati i grandi Stati di destra, Florida, Texas, Missouri, Utah: i conservatori sono, infatti, i più diffidenti verso la tecnologia e sono anche i maggiori sostenitori della
limitazione dei poteri federali a favore di quelli autonomi degli Stati.
La legge bocciata
A luglio Trump, spinto dalla lobby tecnologica, ha cercato neutralizzare tutte queste leggi statali con una norma nascosta nella grande legge di bilancio, il suo Big, beautiful bill: moratoria di 10 anni per l’applicazione delle leggi degli Stati sull’AI. Tentativo votato dalla Camera ma scoperto e sventato all’ultimo minuto dal Senato.
Nonostante un voto finale dei senatori piuttosto netto (99 a 1), ora Trump è tornato alla carica con un nuovo tentativo di inserire la moratoria nel Defense Bill, la legge contenente le spese militari. Il leader è uscito allo scoperto con un argomento non infondato: sarebbe caotico gestire lo sviluppo del settore industriale più strategico per il Paese con un patchwork di 50 regole diverse nei 50 Stati dell’Unione
Ma stavolta Trump è stato rimbeccato con l’accusa di non aver fatto nulla per creare regole omogenee a livello federale da personaggi di prima grandezza del partito come il governatore della Florida Ron DeSantis, e da suoi alleati storici come il senatore del Missouri Josh Hawley e perfino da una sua ex
portavoce: l’attuale governatrice dell’Arkansas Sarah Huckabee Sanders, che ha organizzato una coalizione di 20 Stati conservatori contro il provvedimento chiesto dal suo ex datore di lavoro alla Casa Bianca. Mentre Bannon ammonisce: se Trump continua così, perderemo le elezioni del 2026 e anche le presidenziali del 2028.
(da agenzie)

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“È UNO SCANDALO CAMBIARE LE REGOLE DEL GIOCO IN CORSO”: IL POLITOLOGO ROBERTO D’ALIMONTE COMMENTA CON PAROLE DURISSIME L’INTENZIONE DELLA DESTRA DI CAMBIARE LA LEGGE ELETTORALE, CON L’ABOLIZIONE DEI COLLEGI, DOPO LE BATOSTE IN PUGLIA E CAMPANIA

Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile

“FDI È CONVINTA CHE CON LE ATTUALI REGOLE NEL 2027 POTREBBERO PERDERE LE POLITICHE, VISTO CHE I SONDAGGI DICONO CHE LE DUE COALIZIONI SI EQUIVALGONO” – “IL GOVERNO VUOLE INTRODURRE UN SISTEMA PROPORZIONALE, CON UN PREMIO DI MAGGIORANZA CHE SCATTEREBBE UNA SOGLIA TRA IL 40 E IL 42% DEI VOTI. E CHE SUCCEDE SE NESSUNO LA RAGGIUNGE?”

Non s’erano ancora scrutinate le schede, e già il partito di Giorgia Meloni annunciava che è urgente cambiare la legge elettorale.
Il politologo Roberto D’Alimonte, professore di sistema politico italiano alla Luiss, non esita a definire «uno scandalo questa
scoperta voglia di cambiare le regole del gioco perché si teme di perdere la prossima partita». Detto questo, non è sbagliato, però, rimettere mano alla legge elettorale, perché quella che c’è non va bene.
Professore, ci risiamo con la girandola della legge elettorale
«È così. Durante la Prima Repubblica abbiamo votato per decenni con lo stesso sistema proporzionale. Negli ultimi venti anni siamo diventati il paese al mondo che ha cambiato più spesso il sistema elettorale. Una degenerazione».
Dice Giovanni Donzelli di FdI che occorre cambiare perché solo così si otterrà stabilità.
«Questo è vero ma è anche vero che vogliono cambiare perché sono convinti che con le attuali regole nel 2027 potrebbero perdere le elezioni. Infatti come dicono i sondaggi, le due coalizioni si equivalgono. A questo punto la vittoria della destra non è più sicura ed è anche possibile che l’attuale sistema elettorale non dia a nessuno una maggioranza in entrambe le camere».
Lei dice che si andrebbe allo stallo?
«Giorgia Meloni ha vinto le scorse elezioni solo perché ha stravinto nei collegi, ma ciò è successo perché Pd e M5s sono
andati divisi. Cosa che non mi pare si ripeterà».
E allora?
«È un problema. Anche per me la stabilità è un grande valore».
Come uscirne?
«Un’ipotesi potrebbe essere il ritorno alla legge Mattarella: 75% degli eletti con collegi uninominali, 25% con il proporzionale. L’attuale legge Rosato è una finta Mattarella, con solo un terzo di collegi uninominali e due terzi di seggi proporzionali. In questo modo, però, i collegi sono diventati troppo pochi per avere un effetto maggioritario certo e allo stesso tempo sono diventati troppo grandi per garantire un rapporto diretto tra eletti ed elettori».
Sembra che il governo lavori all’abolizione dei collegi.
«Pare di sì. Vuole introdurre un sistema proporzionale di lista, con un premio di maggioranza. Solo che la Corte costituzionale ci ha detto che occorre fissare una soglia per far scattare il premio. È probabile che sia tra il 40 e il 42% dei voti. E che succede se poi nessuno la raggiunge?
Io penso che in questo caso la soluzione migliore sia il ballottaggio tra le due coalizioni più votate. Ma so che non mi ascolteranno perché il centrodestra ha paura dei ballottaggi
Addirittura vogliono eliminarli per i sindaci. La loro soluzione pare che sarà l’assegnazione di tutti i seggi con formula proporzionale nel caso nessuno raggiunga la soglia per far scattare il premio. In pratica il ritorno al proporzionale della Prima Repubblica».
(da agenzie)

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CHE FINE HANNO FATTO LE INCHIESTE MILANESI SULLA SANTANCHE’, SUL FIGLIO DI LA RUSSA, SUL BORDELLO DELLA “GINTONERIA” AFFOLLATA DI POLITICI, IMPRENDITORI E MAGISTRATI, OPPURE SULL’OSCURA VENDITA DELLA QUOTA DI MPS DA PARTE DEL GOVERNO A CALTAGIRONE E COMPAGNI?

Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile

ORA SI AGGIUNGE IL CASO DEL PM FRANCESCO DE TOMMASI, BOCCIATO DAL CONSIGLIO GIUDIZIARIO MILANESE PER “DIFETTO DEL PREREQUISITO DELL’EQUILIBRIO” NELL’INDAGINE SUL CASO DI ALESSIA PIFFERI, GUARDA CASO DE TOMMASI È IL PM DELL’INCHIESTA SUI DOSSIERAGGI DELL’AGENZIA EQUALIZE… LA PROCURA DI MILANO, CON L’ARRIVO DELL’ARMATA BRANCA-MELONI, E’ DIVENTATA IL NUOVO ”PORTO DELLE NEBBIE”?

Da mesi siamo in trepida attesa della chiusura delle indagini dei Pm della Procura di Milano, diretta da Marcello Viola, sulla vendita del 15% di Mps da parte del Mef finita – guarda che coincidenza! – nelle mani di Caltariccone e compagni.
Ancora. Per la Santanché un rinvio tira l’altro. A circa dieci mesi dal rinvio a giudizio per i falsi in bilancio per cui l’ex amministratrice Daniela Santanchè (ministra del Turismo del governo Meloni e senatrice di Fratelli d’Italia), il processo a Milano (con altre 16 persone) rischia seriamente di finire in prescrizione.
Un rischio sollevato la scorsa estate non da Dagospia ma dai i pubblici ministeri Marina Gravina e Luigi Luzi. Sul processo per truffa aggravata all’INPS la prescrizione è sospesa: il giudice ha infatti congelato il decorso del termine almeno fino a febbraio 2026, in attesa della decisione della Consulta sul conflitto tra Senato e Procura relativo all’utilizzo di alcuni atti. In condizioni ordinarie, la prescrizione per il reato di truffa aggravata scatterebbe a metà 2027, ma la sospensione giudiziale ha
fermato il decorso.
Invece, per altri procedimenti correlati, come il falso in bilancio e il crac Visibilia, esiste il rischio che si avvicini la scadenza della prescrizione a causa dei ripetuti rinvii delle udienze.
Per il falso in bilancio, invece, la richiesta di rinvio a giudizio è stata formalizzata nel luglio 2024 e la prescrizione potrebbe scattare dopo 5 anni, quindi nel 2029, con alcune annualità già prescritte per il periodo 2016-2018.
I rinvii stanno però accelerando il rischio prescrizione e i PM hanno segnalato come, con questo ritmo, la tagliola potrebbe avvicinarsi già nei prossimi due anni se non si accelera il dibattimento.
Riguardo alla bancarotta delle società collegate, la prescrizione dipende dalla data del presunto fallimento: in assenza di atti interruttivi rilevanti, la scadenza per questi reati è di solito tra 6 e 8 anni dal fallimento, quindi per Ki Group e Bioera il rischio prescrizione potrebbe concretizzarsi tra la fine del 2026 e il 2028, tenendo conto dei rinvii e del calendario fitto delle udienze fissate fino a maggio 2026.
Intanto, del confronto Santanchè-Meloni, annunciato mesi fa dalla premier dopo il rinvio a giudizio della ministra, non si è più
avuta notizia.
La “Santa del Turismo”, sostenuta com’è da Ignazio La Russa, se ne fotte e si attovaglia con l’ex della premier, Andrea Giambruno, “Al Moro”, ristorante bene in vista nel pieno centro di Roma, a due passi da Palazzo Chigi.
Come chiesto dalla Procura di Milano, guidata dalla ”prudenza” politica di Viola, lontana anni luce dall’era di chi l’ha preceduto (sotto la lente dei pm milanesi sono finiti in oltre tre decenni Mani Pulite, Parmalat, i furbetti del quartierino, le scalate bancarie, la grande evasione fiscale, le big tech, ecc.), l’indagine per violenza sessuale nei confronti di Leonardo Apache La Russa, figlio del presidente del Senato Ignazio, e del suo amico dj Tommaso Gilardoni è finita archiviata.
I due amici di bisbocce erano stati accusati da una 22enne che, dopo una notte in discoteca, si era risvegliata nel letto di Leonardo Apache.
La presunta vittima, dopo aver incontrato l’ex compagno di liceo che le avrebbe offerto un paio di cocktail, ha riferito di un “black out” fino alla mattina dopo quando, verso mezzogiorno, si sarebbe risvegliata “confusa”, disorientata e svestita nel letto di lui, senza ricordare nulla delle ore precedenti
Benché siano stata riscontrate tracce di Ghb, nota anche come “droga dello stupro”, in un capello della ragazza, che potrebbero essere compatibili proprio con il periodo in cui sarebbero avvenute le violenze, secondo una consulenza difensiva effettuata da un esperto nominato dal legale della ragazza, l’avvocato Stefano Benvenuto, è arrivata l’archiviazione.
Secondo il gip di Milano Rossana Mongiardo, “non ci sono né elementi specifici né prove che i due giovani “si fossero avveduti (o comunque avessero percepito)” che lo stato di alterazione della giovane, “dovuto all’assunzione di alcool e stupefacenti” fosse “tale da incidere sul conseguente vizio del consenso alle prestazioni sessuali compiute”.
In piedi è rimasta solo l’accusa di revenge porn: il vispo erede di Ignazio avrebbe mandato su whatsapp un video intimo della ragazza a Tommaso Gilardoni, che l’ha inoltrato ad altre persone.
L’offerta di 25mila euro come risarcimento per il video registrato la notte tra il 18 e il 19 maggio 2023 a Milano, non basta alla pm Rosaria Stagnario e all’aggiunta Letizia Mannella per ritenersi soddisfatte senza un percorso riparativo.
Ancora più dura la reazione della presunta vittima: l’avvocato Stefano Benvenuto ha letto in aula una mail della ventiquattrenne che ha rifiutato il risarcimento perché “non soddisfacente”. Sarà la giudice Maria Beatrice Parati a decidere, nella prossima udienza fissata per il 17 dicembre, se ritenere la cifra in denaro congrua, se affiancare al denaro un percorso di giustizia riparativa che interromperebbe l’iter processuale oppure decidere se procedere lasciando ai difensori la possibilità di optare per eventuali riti alternativi.
Il 17 dicembre è attesa la sentenza per Gilardoni che ha chiesto il rito abbreviato. Per il deejay la pubblica accusa ha chiesto una condanna a due anni per la diffusione del video senza il consenso della vittima, e riguarda due distinti episodi di revenge porn.
E il chiacchieratissimo scandalo della “Gintoneria”, che coinvolgeva mezza Milano potentona, una volta nelle manine della Procura di Milano, che fine ha fatto? Per aver messo insieme “prostituzione, detenzione e spaccio di stupefacenti e autoriciclaggio”, il tenero Davide Lacerenza ha patteggiato 4 anni e 8 mesi di reclusione; con l’accordo è stata prevista anche la confisca di beni per risarcire lo Stato, tra cui bottiglie di champagne e arredamenti dei locali per un valore superiore a 900mila euro.
Massì, non fate i Savonarola, ci sta pure un ridicolo ma frizzante
risarcimento a base di Dom Perignon quando c’è di mezzo un coattone cocato che si può permettere, ospite de “La Zanzara” di Radio24, di gonfiarsi come una rana e di spedire “pizzini” ai naviganti: “Da me venivano tutti: politici, imprenditori, magistrati. sul mio telefono ho tutti i nomi coi messaggi…”.
Alle tali esplosive indagini in mano alla Procura di Milano, le cui sentenze di condanna avrebbero avuto un immediato e devastante rimbalzo nei palazzi del potere romano, ora si aggiunge il caso di Francesco De Tommasi, il pm dell’inchiesta sui dossieraggi dell’agenzia Equalize di Enrico Pazzali.
“Delicatissima”, scrive il temerario Luigi Ferrarella sul “Corrierone” diretto da Luciano Fontana (che evita di rilanciarlo dalla carta al sito e lo relega in un colonnina con titolo sfollalettori), “anche per gli emersi rapporti di Pazzali con vertici Gdf, dirigenti del palazzo di giustizia milanese e 007 di Roma”.
Infatti, De Tommasi lo troviamo protagonista anche di un nuovo capitolo dell’inchiesta della procura di Milano sugli spioni di Equalize connessi allo scandalo urbanistico milanese.
Grazie a un articolo di “Repubblica” dello scorso 13 settembre, a firma Rosario Di Raimondo, si informa: “Il pm Francesco De Tommasi ha aperto un fascicolo parallelo sul presunto furto e la manipolazione di alcune chat intercorse fra l’archistar e presidente della Triennale, Stefano Boeri, e la direttrice generale dell’istituzione culturale milanese, Carla Morogallo.
Secondo la denuncia di Boeri, quei messaggi estrapolati abusivamente potrebbero anche essere stati “manipolati e modificati”.
Come risulta anche dalla testimonianza resa, come persona offesa, dall’archistar davanti al pm Francesco De Tommasi, lo scorso gennaio”.
Per la vicenda, come anticipato da LaPresse, è indagato l’informatico vicentino Gabriele Edmondo Pegoraro, esperto di bitcoin e cybersecurity, già dipendente di società che forniscono intercettazioni per diverse Procure d’Italia, con le ipotesi di accesso abusivo a sistema informatico e cognizione, interruzione o impedimento illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche”.
(da Dagoreport)

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FRANCESCHINI: “SU SCHLEIN AVETE UN PREGIUDIZIO PERCHÉ È DONNA. IL CENTRODESTRA ANDRÀ CON MELONI E VOI VOLETE METTERE UN UOMO? L’UNICO SCONTRO POSSIBILE È DONNA-DONNA. UN UOMO CONTRO MELONI AVREBBE PROBLEMI”

Novembre 27th, 2025 Riccardo Fucile

NON E’ CHE L’EX MINISTRO QUANDO PARLA DI UNA “DONNA” SI RIFERISCE A SILVIA SALIS?

Elly Schlein è in campo. E non nasconde le proprie ambizioni: «Il candidato premier del centrosinistra?
“O si fa come la destra ed è candidato chi prende più voti, o ci sono altre modalità. Io ho già detto che sono disponibile a correre alle primarie». La leader del Pd, reduce dalla conferma del centrosinistra in Puglia e Campania, capovolge la vulgata giornalistica secondo la quale le Regionali, alla fine della festa, si sono concluse con un sostanziale pareggio. «Da quando sono segretaria abbiamo strappato alla destra la Sardegna e l’Umbria, ci sono due regioni rosse in più».
Una sottolineatura non casuale, rivolta a quanti dentro il partito ancora la criticano e cercano altrove un possibile candidato premier. «Siamo in partita, vogliamo vincere e andare al governo nel 2027», ribadisce Elly Schlein in una conferenza stampa al Nazareno all’indomani della tornata elettorale. La segretaria non
demorde.
E adesso è più difficile anche per i suoi avversari interni contrastarla.
Dario Franceschini, abile tessitore del Pd, ha cercato di spiegarlo ai suoi interlocutori dem in questi giorni: «Su Schlein avete un pregiudizio anche perché è donna. Diciamoci la verità, chi di noi, 5 anni fa, avrebbe mai immaginato Meloni a Palazzo Chigi? Nessuno, eppure è successo».
E ancora, sempre Franceschini, sempre con i dem che immaginano Conte o Manfredi come candidato premier: «Il centrodestra andrà con Meloni e voi volete mettere un uomo? L’unico scontro possibile è donna-donna. Vi rendete conto che un uomo contro Meloni avrebbe dei problemi? Se l’attaccasse passerebbe per sessista, se invece evitasse lo scontro per non beccarsi questa accusa, passerebbe come uno acquiescente». Non li ha convinti tutti, i suoi interlocutori, Franceschini, ma con qualcuno ci è riuscito.
Del resto, come tiene a sottolineare Francesco Boccia, «per la scelta della candidatura a Palazzo Chigi ci sono tante strade, ci sono le primarie e c’è la legittima aspirazione del più grande e forte partito della coalizione a esprimerla e non c’è dubbio che
da queste elezioni la leadership di Elly esca rafforzata».
(da Corriere della Sera)

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