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LA RIFORMA DEI CONDOMINI, VOLUTA DAL GOVERNO, E’ VERGOGNOSA: AGEVOLA LE IMPRESE, PROTEGGE I MOROSI E PUNISCE GLI ONESTI

Dicembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

UNO SCEMPIO VOLUTO DA QUEL CERVELLO IN FUGA DI ELISABETTA GARDINI, DI FRATELLI D’ITALIA: SE DA UN LATO SI ALLUNGANO I TEMPI PER AVVIARE I DECRETI INGIUNTIVI, DALL’ALTRO I CREDITORI POTRANNO RIVALERSI DIRETTAMENTE SUL CONTO CONDOMINIALE E, SE NECESSARIO, ANCHE SUI PROPRIETARI IN REGOLA (CHI HA SEMPRE PAGATO, VIENE INCULATO!) – NON SOLO: AUMENTANO I COSTI PER TUTTI PERCHE’ NEI CONDOMÌNI CON PIÙ DI VENTI PROPRIETARI, DOVRA’ ESSERCI UN REVISORE, VISTO CHE LA CERTIFICAZIONE DEI RENDICONTI SARÀ OBBLIGATORIA… QUESTA RIFORMA NON PROTEGGE CHI PAGA CON REGOLARITA’: TUTELA I FURBI E I MOROSI

Niente più contante per i pagamenti, amministratori con la laurea e morosi «salvati» da tutti i condòmini. Sono alcune delle novità che introdurrà la nuova riforma del condominio che arriva a tredici anni dal riordino del 2012, e che promette più ordine e trasparenza ma con il rischio di costi più salati per le famiglie. Le novità sono contenute nel disegno di legge AC 2692, sostenuto con decisione da Fratelli d’Italia e presentato ufficialmente ieri a Roma.
Il punto più controverso tra i 17 articoli del disegno di legge riguarda il nuovo equilibrio tra morosi, condòmini virtuosi e fornitori che verrà introdotto dalla nuova riforma. Se da un lato si allungano i tempi per avviare i decreti ingiuntivi, dall’altro i creditori potranno rivalersi direttamente sul conto condominiale e, se necessario, anche sui proprietari in regola. Una svolta che rafforza le garanzie per le imprese, ma rischia di aumentare i costi per tutti.
I criteri di redazione dei rendiconti diventano più stringenti, con l’introduzione di situazioni patrimoniali, riparti dettagliati e conguagli evidenziati. Nei condomìni più grandi entra in scena anche il responsabile della protezione dei dati, nominato dall’assemblea.
Verrà applicato il criterio di cassa, verrà redatta una situazione patrimoniale e uno stato di ripartizione dei costi relativi all’anno di esercizio con evidenza dei conguagli di fine gestione e di quelli precedenti, per tutti condòmini.
Sul piano operativo, una novità accolta con favore dagli amministratori è il rinnovo automatico dell’incarico annuale, salvo diversa decisione dell’assemblea. Una soluzione che supera le frequenti impasse legate al mancato raggiungimento delle maggioranze.
Accanto ai nuovi requisiti formativi nasce un elenco ufficiale presso il Mimit, al quale dovranno iscriversi amministratori e revisori condominiali.
Con la riforma saranno inoltre introdotte nuove figure. E’ il caso del revisore che diventerà centrale: nei condomìni con più di venti proprietari, la certificazione dei rendiconti sarà
obbligatoria. Si legge nel testo, che «il 35 per cento del contenzioso civile in Italia è rappresentato da controversie condominiali e, tra queste, le impugnazioni dei rendiconti e i procedimenti per la riscossione forzosa dei contributi condominiali rappresentano una parte sempre più significativa».
Sul fronte dei lavori, viene rafforzata la sicurezza delle parti comuni: verifiche affidate a società specializzate e possibilità per l’amministratore di intervenire direttamente in caso di inerzia dell’assemblea. Per la manutenzione straordinaria, infine, il fondo spese dovrà essere costituito integralmente fin dall’avvio degli interventi. Le novità sono tante. Resta ora da capire se il percorso parlamentare riuscirà a trovare un equilibrio tra l’esigenza di maggiore trasparenza e la sostenibilità economica per famiglie e professionisti. Il confronto annunciato con associazioni e categorie sarà decisivo per correggere i punti più critici.
(da La Stampa)

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IL GOVERNO VUOLE TENERE LA CONSULTAZIONE POPOLARE SULLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA GIÀ IL 1° MARZO 2026: MELONI HA FRETTA PERCHÉ NEI SONDAGGI IL “SÌ” STA PERDENDO TERRENO, PUR RIMANENDO IN TESTA

Dicembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

MA PER I COSTITUZIONALISTI NON CI SONO I TEMPI TECNICI E IL VOTO È POSSIBILE SOLO DA FINE MARZO

Il referendum costituzionale sulla riforma della giustizia voluta dal governo Meloni potrebbe tenersi domenica 1 marzo. È la data che l’esecutivo sta valutando come la più probabile, anche
se formalmente il perimetro resta quello che va dal primo al 15 marzo.
Un’ipotesi che da settimane gira a Chigi ed è stata esplicitamente evocata dal leader della Lega Matteo Salvini nel corso della cena natalizia con i gruppi parlamentari del Carroccio. «Dipende dalle procedure della Cassazione ma il primo è la data più probabile», ha detto.
Il governo vuole accelerare, anche se il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha spiegato che dovranno essere rispettati tempi tecnici che il comitato del No ritiene però siano altri: i costituzionalisti sostengono che non sia possibile arrivare alle urne prima della fine di marzo, con un voto che slitterebbe quasi inevitabilmente ad aprile.
Il governo vuole fare in fretta perché, dicono dai comitati del No, nei sondaggi il Sì, pur rimanendo in testa, sta perdendo continuamente terreno.
«Se facessero la legge elettorale e andare subito a votare sarebbe un colpo di mano, così come se accelerassero sulla riforma della giustizia. Accelerare i tempi del referendum è un tentativo osceno a cui ci opporremo in ogni modo», attacca l’ex premier Giuseppe Conte.
«Il Governo ha una enorme paura di perdere il referendum. È l’unica spiegazione che si può dare davanti alle gravi forzature che sta compiendo per votare il prima possibile, impedendo un tempo serio per una campagna elettorale di merito», attacca Walter Verini del Pd.
Proprio per prepararsi al referendum il centrodestra sta organizzando i comitati del sì. Oggi dovrebbe nascere ufficialmente il “comitato politico”. A presiederlo sarà l’ex giudice costituzionale Nicolò Zanon, mentre il ruolo di portavoce sarà affidato al giornalista Alessandro Sallusti.
Ci dovrebbero essere anche le due componenti del Csm Isabella Bertolini e Claudia Eccher, contro cui si sono scagliati i colleghi di Consiglio di Area, segnalando l’inopportunità.
(da agenzie)

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“NON MI SONO MAI FATTO COMANDARE DA UNA DONNA”: LE PAROLE SESSISTE DEL SINDACO DI TRIESTE DI FORZA ITALIA

Dicembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

TI FAREBBE BENE, MAGARI TI ENTRA UN PO’ DI BUONSENSO NEL CERVELLO

“Non mi sono mai fatto comandare da una donna, tanto meno da te!”. Lo ha gridato, nell’aula del Consiglio comunale di Trieste, il sindaco Roberto Dipiazza. Le parole sono arrivate dopo una critica della consigliera del Movimento 5 stelle Alessandra Richetti, che il sindaco stesso aveva indicato come “quell’altra” in un precedente intervento. Sono seguite polemiche, con l’opposizione che per alcuni minuti ha di fatto bloccato la seduta.
Al centro della seduta c’era uno scontro politico sul progetto per la cabinovia urbana, detta Ovovia. Un tema che scalda gli animi, anche perché in questo periodo sono in corso le riunioni per arrivare all’approvazione del bilancio. L’opposizione di centrosinistra ha criticato più volte il progetto, e anche nel centrodestra ci sono state tensioni, tanto che la risoluzione arrivata al voto ieri – che riguardava proprio i fondi per l’Ovovia, 30 milioni di euro – è stata approvata senza i voti di Forza Italia.
Nel corso della seduta-fiume (la durata complessiva sarebbe poi stata di quasi sette ore), la consigliera Richetti ha preso la parola per evidenziare i limiti del progetto, presentando una serie di foglietti divisi in due scatole, una con la scritta “Problemi” e l’altra con la scritta “Ovovia”. Circa un’ora dopo, quando il sindaco Dipiazza è intervenuto, ha provato ad attaccare l’opposizione e trovare una quadra interna. Nel suo intervento ha detto, tra le altre cose: “Parlano di cose allucinanti, quell’altra arriva con i bigliettini… Ma camminate per la città con me, i cittadini chiedono di andare avanti con la cabinovia”.
Subito dopo, Richetti ha chiesto nuovamente la parola per poter intervenire. “Io ritengo che un sindaco che si rivolge ai consiglieri qui presenti dicendo ‘quell’altra è arrivata con le scatole’, è una deligittimazione del nostro modo di fare politica. Ed è gravissimo, perché ritengo che il sindaco debba essere…”. Il suo microfono a quel punto è stato spento, mentre il presidente del Consiglio comunale Francesco Di Paola Panteca la silenziava: “Ma mi faccia la gentilezza, per piacere”.
In quel momento il sindaco Dipiazza era apparentemente impegnato al telefono, ma dopo alcuni secondi ha reagito. Lo scontro con Richetti è proseguito anche se i microfoni non erano accesi, e il primo cittadino ha gridato, alzandosi in piedi: “Non mi sono mai fatto comandare da una donna, tanto meno da te”. Nei minuti successivi l’opposizione ha protestato, mentre Dipiazza si è seduto sorridendo. Il presidente Panteca ha richiamato all’ordine Richetti e gli altri: “Vi invito a fare silenzio, vi invito a rispettare gli altri”.
Dipiazza è sindaco di Trieste da oltre vent’anni, quasi consecutivi: due mandati tra il 2001 e il 2011 e altri due attualmente in corso, iniziati nel 2016 e rinnovati nel 2021. È esponente di Forza Italia fin dal 1996. Nei cinque anni in cui non guidò la città fu eletto prima consigliere comunale, poi consigliere regionale del Friuli-Venezia Giulia. In quel periodo venne anche il breve distacco da FI, con la candidatura al Parlamento europeo nelle fila del Nuovo centrodestra. Poi tornò a Forza Italia nel 2016, con la nuova rielezione a sindaco.
Il suo nome, peraltro, è apparso anche in Parlamento: nel 2006,
quando si votava per l’elezione del presidente della Repubblica, ottenne tre voti nell’ultimo scrutinio, quello che portò al Quirinale Giorgio Napolitano; lo stesso è avvenuto nel 2022, con quattro voti.
(da Fanpage)

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IL CAMALEONTISMO NON PUÒ DURARE PER SEMPRE – QUALSIASI STRADA DECIDERÀ DI PERCORRERE GIORGIA MELONI, AL CONSIGLIO EUROPEO, RISCHIA DI TRASFORMARSI IN UN BOOMERANG PER IL SUO GOVERNO

Dicembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

SE BOCCIASSE LA PROPOSTA SULL’UTILIZZO DEGLI ASSET RUSSI CONGELATI, LA DUCETTA SI RIMANGEREBBE IN UN COLPO SOLO TRE ANNI E MEZZO DI SBIANCHETTAMENTO EUROPEISTA FILO PPE, METTENDOSI ALLA TESTA DEL GRUPPETTO DI EURO-PUZZONI FILOPUTINIANI ALLA ORBAN… SE INVECE VOTASSE A FAVORE, RISCHIEREBBE L’INCIDENTE IN PATRIA: SALVINI SI POTREBBE OPPORRE IN PARLAMENTO E SI APRIREBBE LA CRISI

Guadagnare tempo. Alla vigilia del Consiglio europeo, Giorgia Meloni si ritrova di fronte a un bivio fastidioso: rompere con Bruxelles, o creare fratture in Italia talmente pesanti da danneggiare la stabilità del suo esecutivo.
Bocciare infatti la proposta europea di utilizzare gli asset russi congelati, come minaccia di fare da giorni Palazzo Chigi, significherebbe mettersi alla testa di un gruppo di Paesi dell’area Visegrad, sovranisti e filoputiniani, rinnegando tre anni e mezzo di sostegno a Kiev: una compagnia a un passo dall’insostenibile.
Se scegliesse invece di esprimersi a favore o di astenersi sulla proposta della Commissione, rischierebbe l’incidente in patria: è infatti previsto un voto del Parlamento sul dossier degli asset. E la presidente del Consiglio, in queste ore, teme che Salvini si opponga. Rischiando di aprire una crisi politica dagli esiti imprevedibili.
Guadagnare tempo, dunque: ma come? Un’opzione praticabile, trapela, potrebbe essere quella di immaginare un breve prestito ponte per l’Ucraina. Qualche mese per sopravvivere, in attesa di capire l’evoluzione degli eventi sul campo (e al tavolo della diplomazia).
Ogni trenta giorni, secondo una stima grezza degli italiani, l’Europa dovrebbe destinare quattro miliardi a Kiev. Per Ursula von der Leyen, servirebbe qualcosa di più: 135 miliardi in 24 mesi, dunque circa 5 miliardi e mezzo. L’Italia verrebbe chiamata a pagare una quota dell’11% di questa cifra. Per qualche mese e in attesa di capire soprattutto una cosa: come finirà la trattativa gestita da Trump.
Certo, il segnale inviato dall’Europa a Volodymyr Zelensky non sarebbe dei migliori: soluzione a tempo, striminzita, timida. Ma utile a Meloni per compiacere Washington, evitando anche il bivio stretto che dovrebbe altrimenti affrontare. E comunque
meglio di una mancata decisione.
Le incognite sono numerose, in queste ore. Ad esempio: cosa accade se il Belgio accetta un compromesso? Roma sarebbe costretta a sfilarsi dalla pattuglia composta dai Paesi di Visegrad (Repubblica Ceca, Slovacchia, l’Ungheria di Viktor Orbán, più la Bulgaria), aprendo in casa un enorme problema politico alle Camere.
L’eventuale utilizzo degli asset russi, infatti, deve ottenere un via libera del Parlamento, che serve ad autorizzare le garanzie che l’Italia deve fornire al Belgio, al pari dei partner. È lo scudo contro eventuali ricorsi legali di Mosca. Anche il prestito ponte andrebbe probabilmente vagliato alle Camere, ma è evidente che sarebbe più digeribile per il Carroccio.
Meloni avvertirà anche che a suo avviso accettare l’utilizzo degli asset di Mosca esporrà l’Europa sui mercati. E di conseguenza l’Italia sul fronte dei conti pubblici: già gravata da un enorme debito nazionale, potrebbe pagare un prezzo pesante nel caso in cui l’euro subisse un danno reputazionale
(da La Repubblica)

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“LA LEALTÀ DELL’ENIGMATICA LEADER ITALIANA VIENE MESSA ALLA PROVA IN UN VERTICE CRUCIALE”

Dicembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

IL “FINANCIAL TIMES” SOTTOLINEA I DUBBI DELLE CANCELLERIE EUROPEE

“La lealtà di Meloni messa alla prova in un vertice Ue cruciale” è il titolo di un articolo che l’edizione europea del Financial Times dedica “all’enigmatica leader italiana che detiene il voto decisivo su due questioni critiche”, ovvero sull’uso degli asset russi per la sostenibilità finanziaria dell’Ucraina e il voto sull’intesa con il Mercosur.
“Gli alleati di Meloni nell’Ue sperano che lei rimanga tale anche nel vertice ad alto rischio di oggi”, scrive il quotidiano finanziario, sottolineando che da “quando è entrata in carica nell’ottobre 2022, le capitali dell’Ue hanno nutrito il timore che Meloni potesse rompere il consenso pro-europeo del blocco su questioni chiave”.
Nonostante “il suo storico euroscetticismo, le vecchie amicizie con il leader ungherese Viktor Orbán e i partiti filo-russi della sua coalizione, Meloni è sempre tornata a una linea filoeuropea nei momenti critici, dimostrandosi una delle più fedeli sostenitrici di Zelensky”, si legge ancora.
“Abbiamo davanti a noi una settimana decisiva che potrebbe davvero determinare l’importanza dell’Ue come attore internazionale”, ha affermato un alto funzionario tedesco citato dal Financial Times.
“L’Italia è piuttosto cruciale in questo senso”. Per il quotidiano finanziario le scelte di Meloni nei prossimi giorni “potrebbero ridefinire le sue future relazioni con gli alleati europei, proprio mentre la premier italiana ha cercato di sfruttare la sua posizione globale per rafforzare la sua immagine in patria”.
In definitiva, conclude, “la valutazione più importante di Meloni sarà probabilmente quella di valutare come le sue scelte influenzeranno la sua posizione sulla scena internazionale e come questo sarà percepito dagli elettori italiani”.

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LA CORTE D’APPELLO DI MILANO CONFERMA LE 13 CONDANNE A QUATTRO MESI PER I MILITANTI DI ESTREMA DESTRA CHE, DURANTE IL CORTEO IN MEMORIA DI SERGIO RAMELLI, IL 29 APRILE 2018, MANIFESTARONO FACENDO SALUTI ROMANI

Dicembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

È STATA ACCOLTA LA RICHIESTA DELLA PROCURA CHE HA SPIEGATO CHE “QUESTI CORTEI CON CENTINAIA DI PERSONE, SCHIERATE COME FORMAZIONI PARAMILITARI, NON SONO COMMEMORATIVE, MA RAPPRESENTANO UN PERICOLO PER L’ORDINAMENTO COSTITUZIONALE”

La Corte d’Appello di Milano ha confermato 13 condanne a 4 mesi per militanti di estrema destra per manifestazione fascista per i saluti romani, il 29 aprile 2018, al corteo che si tiene ogni anno in memoria di Sergio Ramelli, esponente del Fronte della Gioventù ucciso da Avanguardia Operaia nel ’75.
Accolta la richiesta della sostituta pg Olimpia Bossi, che, sulla base della sentenza della Cassazione a Sezioni unite del 2024, ha spiegato che “queste manifestazioni con centinaia di persone, schierate come formazioni paramilitari, non sono meramente commemorative, ma rappresentano un pericolo per l’ordinamento costituzionale”.
(da agenzie)

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INCHIESTA DEL SETTIMANALE “DER SPIEGEL”, L’ORGANIZZAZIONE GIOVANILE DI AFD È MOLTO PIÙ RADICALE DI QUANTO DICHIARATO

Dicembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

SONO STATE INDIVIDUATE ALMENO QUATTRO PERSONE CHE HANNO CONTATTI CON IL PARTITO NEONAZISTA “DIE HEIMAT”, TRA QUESTI UN AUTORE DI FUMETTI DI ESTREMA DESTRA

L’organizzazione giovanile di Alternative fuer Deutschland (Afd), Generazione Germania, costituita da poche settimane, è molto più radicale di quanto inizialmente immaginato: è quanto risulta da un’inchiesta del settimanale tedesco Der Spiegel. Che ha confrontato le foto dei delegati con quelle di manifestazioni di
estrema destra e neonaziste e ha parlato con esperti del settore e autorità di sicurezza.
Sono state individuate almeno quattro persone che hanno contatti con il partito neonazista “Die Heimat”, tra questi un autore di fumetti di estrema destra. In uno di questi ha presentato il noto negazionista dell’Olocausto David Irving come “rinomato storico con una predilezione per i segreti oscuri della seconda guerra mondiale”.
Alla fondazione della giovanile era presente anche Soencke Scharff, iscritto ad Afd della Sassonia e in passato funzionario del piccolo partito neonazista “Der III. Weg”.
(da agenzie)

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TUTTO QUELLO CHE NON TORNA NEL DISCORSO DELLA MELONI SU POVERTA’ E PRESSIONE FISCALE

Dicembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

NUMERI FUORVIANTI E INTERPRETAZIONI SBAGLIATE

“Visto che siamo nel Parlamento della Repubblica, le cose o si dicono come stanno, o si studiano se non si sanno”. Lo ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, alla Camera, scaldandosi mentre i parlamentari dell’opposizione contestavano una parte del suo intervento. Quella frase, ironicamente, si applica molto bene proprio al discorso della premier. Che da una parte ha rilanciato ancora una volta delle informazioni sbagliate sulla pressione fiscale, mentre dall’altra ha usato numeri parecchio fuorvianti per parlare della povertà in Italia.
Cosa ha detto Meloni sulla povertà in Italia
“Nel 2024 l’Istat certifica la povertà assoluta all’8,4%”, ha iniziato Meloni correttamente. “Ma quando noi ci siamo insediati era sostanzialmente in linea”, ha aggiunto. Anche in questo caso, ha ragione: l’8,3% degli italiani era in povertà assoluta nel 2022, l’anno in cui il centrodestra vinse le elezioni. Il dato salì poi all’8,4% nel 2023. Certo, ci sarebbe da chiedersi se per il governo sia un risultato positivo non essere riuscito a far
scendere questa percentuale.
Ma al di là di questo, è subito dopo che la presidente del Consiglio ha fatto partire l’attacco: “Dov’è che c’è stato invece il balzo della povertà assoluta? Tra il 2021 e il 2022. Nel 2021 era al 7,7%, nel 2022 era arrivata all’8,3%. Se noi stiamo moltiplicando la povertà, non mi pare che andasse meglio quando c’erano altri al governo”.
Come probabilmente tutti ricordano, gli anni tra il 2020 e il 2022 sono stati duramente segnati dalla pandemia da Covid-19. Negozi e fabbriche chiuse, dipendenti a casa, servizi più difficili da ottenere. L’Italia, come l’Europa e il resto del mondo, ha subito perdite economiche enormi (se ci si vuole concentrare solo sull’aspetto economico). Non è un caso che spesso, quando si parla di statistiche, si scelga di ignorare il periodo del Covid e di fare, piuttosto, confronti con il 2019.
Una preoccupazione che evidentemente non ha toccato Meloni. Quando qualcuno dai banchi dell’opposizione ha gridato per ricordarle che c’era una pandemia in corso, ha sminuito: “Ci sono sempre un sacco di giustificazioni. Anche adesso abbiamo due guerre e una situazione molto complessa, e molte meno risorse da gestire”. Anzi, ha insistito: “I governi del Covid sono anche quelli che hanno avuto risorse che nessun altro governo ha potuto utilizzare”.
Cosa dicono davvero i numeri sulla povertà assoluta
I numeri sulla povertà, però, vanno messi nel giusto contesto. A differenza di quanto ha fatto la presidente del Consiglio.
Solo il mese scorso, un altro rapporto dell’Istat ha sottolineato che, dal 2014 al 2024, la povertà assoluta è sempre aumentata in Italia. L’unica eccezione si è registrata nel 2019, e sempre secondo l’analisi dell’Istituto di statistica è stato principalmente per effetto del reddito di cittadinanza. Misura che il governo Meloni si è affrettato a cancellare appena entrato in carica, con la sua prima legge di bilancio.
Insomma, la presidente del Consiglio per criticare l’opposizione avrebbe potuto impostare il discorso sulle tendenze dell’ultimo decennio. Quando, però, spesso sono stati in maggioranza anche i suoi attuali alleati, Lega e Forza Italia.
Invece, la premier ha scelto di concentrarsi sull’aumento della povertà legato alla pandemia. Ovvero proprio sugli anni in cui, paradossalmente, era in atto l’unica misura che risulta aver fermato temporaneamente l’impoverimento delle famiglie italiane.
Il discorso che non regge sulla cassa integrazione
Meloni, peraltro, ha riproposto lo stesso ragionamento quando ha parlato delle ore di cassa integrazione: “Nel 2024 sono state 429 milioni, nel 2022 erano 594 milioni”. Anche qui, non sorprenderà sapere che la verità è che c’è stato un picco durante la pandemia, e poi si è andati gradualmente a scendere. Cosa che la presidente del Consiglio ha ignorato del tutto.
Nel 2020 ci furono oltre tre miliardi di ore di cassa integrazione autorizzate. Il numero calò a circa 2,8 miliardi l’anno dopo, poi ai 594 milioni citati da Meloni nel 2022.
Com’era la situazione prima del Covid? Molto migliore. Circa 226 milioni di ore autorizzate nel 2018, circa 276 milioni nel
2019. Ma questo, a Meloni, non è interessato. Probabilmente perché non le avrebbe permesso di attaccare l’opposizione.
Infine, Meloni è tornata su uno dei suoi cavalli di battaglia che sono stati più volte smentiti. Ovvero, l’idea che la pressione fiscale sia salita semplicemente perché è cresciuta l’occupazione. “Sul presunto aumento della pressione fiscale…”, ha iniziato: vale la pena di sottolineare che non è un aumento presunto, ma vero e proprio.
“La pressione fiscale sale perché sale il gettito fiscale, certo, ma il gettito fiscale non sale solamente nel caso in cui aumentano le tasse sui lavoratori e sulle famiglie. Le ragioni per cui il gettito fiscale aumenta sono molte, tra cui per esempio il fatto che oggi lavora un milione di persone in più che pagano le tasse, e il record della lotta all’evasione fiscale”. Un discorso che la leader di Fratelli d’Italia ha riproposto più volte nell’ultimo anno, e che resta del tutto sbagliato.
Il motivo è che la pressione fiscale misura quante tasse lo Stato incassa, in rapporto al Pil. Se le tasse incassate crescono, la pressione sale; se il Pil cresce, la pressione scende. E quando una persona diventa occupata non inizia solo a pagare le tasse, ma anche a produrre: fa un lavoro, riceve uno stipendio. Questo fa salire il Pil. Se si trattasse solo dell’occupazione, quindi, la pressione fiscale non aumenterebbe così tanto.
(da Fanpage)

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SORPRESA DAL BILANCIO DEL SENATO: LA RUSSA CHIUDE UN OCCHIO SUGLI ASSENTEISTI

Dicembre 18th, 2025 Riccardo Fucile

A TUTTI I SENATORI E’ STATA PAGATA LA DIARIA MENSILE DA 3.500 EURO NETTI

C’è perfino un piccolo giallo, perché secondo i conti interni sono stati pagati 1.750 euro più del dovuto. Mai fatta una trattenuta secondo quanto prevede il regolamento. Eppure la sola senatrice sempre presente risulta la leghista Erika Stefani
Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, per i Senatori fa Babbo Natale, e non solo in questi giorni: ogni giorno dell’anno. Con lo spirito delle feste con cui tutto si dimentica ha perdonato i colleghi che ogni tanto marcano visita in aula o nelle giunte e nelle commissioni, non trattenendo nemmeno un euro a nessuno di loro della diaria (3.500 euro al mese netti) per rimborsare le spese di soggiorno a Roma, come invece prevederebbe il regolamento di cui il presidente è garante. Ma La Russa ha accettato anche la più strampalata giustificazione dell’ultimo dei senatori, e ha condonato a tutti per un anno le multe che avrebbe dovuto erogare. La sorpresa viene dai conti ufficiali interni dell’assemblea di palazzo Madama.
L’aula del Senato
I conti del 2024 rendono certo il perdono/condono sulle assenze di tutti i senatori
Il 16 dicembre, infatti, in consiglio di presidenza del Senato, è
stato approvato il consuntivo del bilancio interno del 2024 e il bilancio di previsione per il 2025, con un discreto ritardo sui tempi di marcia, tanto è che lo stesso La Russa ha dovuto autorizzare con suo decreto l’esercizio provvisorio per l’anno in corso. Ma la sorpresa sulla diaria viene proprio dai conti consuntivi per il 2024, quelli che certificano quanto è stato pagato davvero a tutti i senatori nei 12 mesi. A quella voce è stata infatti registrata una spesa di 8.611.750 euro, perfino un pizzico superiore al dovuto. Perché i calcoli si fanno in fretta. A Palazzo Madama siedono 200 senatori e 5 senatori a vita. Se per 12 mesi a tutti e 205 i senatori fosse sempre stata pagata intera senza trattenute e multe la diaria di 3.500 euro il costo finale sarebbe di 8.610.000 euro. C’è quindi un misterioso pagamento extra di 1.750 euro, ma soprattutto c’è la certezza che a ognuno siano sempre state pagate le assenze dalle votazioni in aula e in commissione.
(da agenzie)

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