IN PRIMAVERA SCADONO I VERTICI DELLE GRANDI PARTECIPATE PUBBLICHE CHE DOVRANNO GARANTIRE FEDELTA’ E POTERE VERO NEI TRE ANNI A VENIRE: MELONI, MANTOVANO E IL KINGMAKER FAZZOLARI GIÀ PRONTI PER LA CONFERMA PER MOLTI AD E LA SOSTITUZIONE DI QUASI TUTTI I PRESIDENTI
A LEONARDO, SE CINGOLANI RESTA, PONTECORVO SALTA (ARRIVA IL GENERALE FIGLIUOLO?)… ALL’ENI DESCALZI È DESTINATO AL QUINTO MANDATO. IN BILICO ZAFARANA, “INGUAIATO” DAL CASO STRIANO, AL CUI POSTO MIRANO ALTRI DUE GENERALI DELLA FINANZA (L’EX CAPO DELL’AISE, LUCIANO CARTA, E L’USCENTE ANDREA DE GENNARO), A CUI SI AGGIUNGE LA GRANDE DISOCCUPATA ELISABETTA BELLONI –IN ENEL CATTANEO SAREBBE BLINDATO, MENTRE SCARONI SI TROVA ORFANO DI SPONSOR – CONFERMA PER L’AD DI POSTE, DEL FANTE (NEL CASO DI UN SUO IMPROBABILE TRASLOCO A GENERALI, GIUSEPPE LASCO PRENDEREBBE IL SUO POSTO) – IN APRILE SCADONO ANCHE I VERTICI DI MPS. ALLA PRESIDENZA SBARCA IL PREDESTINATO GRILLI MENTRE L’AD LOVAGLIO CON BUONE PROBABILITÀ NON VERRÀ RICONFERMATO. CALTAGIRONE E GIORGETTI STANNO CERCANDO UN PROFILO DIVERSO: I TRE NOMI CHE SI FANNO SONO L’EX AD MORELLI, DEL FANTE OGGI A POSTE E MICILLO DI INTESA
La scadenza dei vertici delle grandi partecipate pubbliche è tra cinque, sei mesi, ma a Roma e Milano nei salotti economici e politici non si parla d’altro già da settimane.
Quelle della primavera 2026 sono nomine decisive, perché saranno le ultime che farà il governo Meloni prima del voto del 2027: piazzare amministratori delegati, consiglieri e presidenti capaci (e fedeli) in Eni, Enel, Leonardo, Poste, Terna e Snam garantirà potere vero nei tre anni a venire, anche in caso – per ora remoto – di sconfitta elettorale alle politiche.
L’intreccio di manager e civil servant, poi, incrocerà con ogni probabilità la coda del risiko bancario appena terminato: in aprile scadono anche i vertici di Monte dei paschi di Siena, la banca controllata dalla famiglia Del Vecchio, Francesco Gaetano Caltagirone e (a meno del 5 per cento) dal Mef.
A Domani risulta che Luigi Lovaglio, l’ad che ha guidato la scalata vittoriosa a Mediobanca, con buone probabilità non verrà riconfermato. Caltagirone e Giancarlo Giorgetti stanno cercando un profilo diverso – i tre nomi che si fanno sono l’ex ad Marco Morelli, Matteo Del Fante oggi a Poste e Mauro Micillo di Intesa – che dovrà poi trattare la possibile uscita anticipata di Philippe Donnet da Generali.
Pontecorvo a rischio
I decisori saranno le sorelle Meloni, Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano per FdI, Matteo Salvini e Giorgetti per la Lega, Antonio Tajani e la famiglia Berlusconi per Forza Italia, e la linea è semplice: conferma per molti amministratori delegati, sostituzione di quasi tutti i presidenti. Al colosso della difesa e degli armamenti Leonardo, l’ad Roberto Cingolani verrà confermato.
Non solo perché la patrimonializzazione è decollata (causa guerre), e pure nell’ultimo semestre sono in crescita tutti i
fondamentali (ordini, ricavi Ebitda), ma perché Cingolani si è conquistato, oltre la stima assoluta di Meloni (che l’ha voluto lì due anni e mezzo fa), anche quella del ministro della Difesa, Guido Crosetto, che in precedenza gli avrebbe preferito Lorenzo Mariani, eterno delfino che difficilmente riuscirà a breve a fare il salto.
Situazione diversa si profila per il presidente Stefano Pontecorvo, dato in uscita. FdI non ha apprezzato il recente attivismo verso aspirazioni politiche per altri partiti. Crosetto è rimasto infastidito da alcune sue presunte interlocuzioni con esponenti di Forza Italia (in primis l’eurodeputato Fulvio Martusciello) per ottenere un seggio in parlamento alle prossime politiche. Lui nega il fatto, ma la sua permanenza è assai improbabile.
Cercasi presidente
All’Eni Claudio Descalzi è destinato a un quinto e storico mandato al comando del colosso energetico. Il rapporto con il governo è solidissimo. Nessuno ha intenzione di spostarlo da una casella ritenuta centrale per l’economia nazionale e la geopolitica. Non tutti, però, remano a suo favore: contro l’ad di Eni da più di un anno è partita una guerriglia a base di disinformazione.
Era stata fatta circolare la voce (falsa) di gravi problemi di salute, per indebolire una sua nuova candidatura. Descalzi non ha presentato esposti in procura (alcuni amici gli avevano invece suggerito di farlo), ma investigazioni incrociate avrebbero individuato le manine che hanno propalato nelle stanze dei bottoni la fake news: «Soggetti – dicono fonti accreditate Domani – che ne vorrebbero prendere il posto. Meloni sa che è tutto falso».
In Eni è invece in bilico il presidente Giuseppa Zafarana, ex generale della Guardia di Finanza. Suo malgrado è finito da tempo nel tritacarne giudiziario e mediatico del caso-Striano. Il procuratore antimafia, Giovanni Melillo, con una nota al pm Raffaele Cantone (che ha coordinato le indagini in cui sono indagati anche tre cronisti di questo giornale) ha tirato in ballo l’ex comandante e il generale, Umberto Sirico, ricordando un pranzo a tre in cui gli fu sponsorizzato l’allora luogotenente della Dna, Striano.
Una lettera che ha scatenato i dubbi e i complottismi della maggioranza contro Zafarana (mai ovviamente indagato, ma Salvini lo vede comunque come fumo negli occhi) e che segnerà – se la procura di Roma non dovesse presto chiarire ogni aspetto della vicenda – la fine della sua esperienza in Eni.
In molti sanno che la ricca poltrona (stipendio da circa 700mila euro l’anno) si libererà presto. A preparare la propria candidatura è un altro generale della finanza, Luciano Carta, ex direttore dell’Aise ed ex presidente di Leonardo, dove ha però fatto un solo mandato.
La sua stella è caduta in disgrazia per i cattivi rapporti con Crosetto, né lo ha aiutato la scelta, del maggio 2023, di essere presentato da Vivendi come consigliere in Tim. Inaccettabile per i sovranisti che l’ex capo dei servizi italiani potesse lavorare con i francesi.
Negli ultimi mesi, dicono a Domani, Carta ha riallacciando i contatti con Fazzolari e ancora di più con Mantovano, che ha
voce in capitolo sulle nomine riguardanti equilibri di sicurezza e geopolitici. La sua promozione resta tra le più improbabili.
Qualcuno aveva pensato a Giovanni Caravelli, direttore dell’Aise, ma la sua scadenza è ancora lontana. Mantovano e Meloni, poi, non intendono privarsi del suo expertise anzitempo.
Dunque, sono due i nomi in pole per l’Eni. In primis, il capo della Gdf Andrea De Gennaro, che scade dal suo incarico proprio nella primavera dell’anno prossimo, e che ha puntato da qualche mese sull’Eni ritenendo quasi impossibile la proroga di un anno. Altro nome è quello di Elisabetta Belloni, grand commis con un curriculum ad hoc per il Cane a sei zampe.
Ma arriva da un annus horribilis. Prima le dimissioni dalla direzione del Dis, per l’incrinatura dei rapporti con Palazzo Chigi, poi la breve parentesi al fianco della presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen: resta ancora un mistero il motivo dell’addio-lampo come consulente a Bruxelles.
Tuttavia, c’è chi valuta Belloni come una soluzione plausibile alla presidenza di Leonardo, anche se la sua vicinanza con Mario Draghi, in questa fase non in buoni rapporti con Meloni&co., ne rende difficile il “recupero” in qualsiasi partecipata.
Tra energia e banche Anche in Enel il presidente dovrebbe cambiare. Paolo Scaroni non dovrebbe essere confermato. I dante causa della sua candidatura sono stati, nel 2023, Silvio Berlusconi e Gianni Letta.
Oggi il Cavaliere non c’è più, difficilmente Letta e Tajani riusciranno a imporlo di nuovo. Ma FI ha fatto sapere che un presidente tocca al partito: nella spartizione non vuole prendere le briciole. A Enel (o Poste) infatti sta pensando Nicola Maione,
presidente di Mps espressione della Lega: non dovesse rimanere a Rocca Salimbeni, difficilmente Salvini – dopo l’operazione Mediobanca – lo lascerebbe appiedato. Anzi. Per lui è prevista una promozione.
A differenza di Scaroni, il ceo di Enel Flavio Cattaneo è in una botte di ferro. Arrivato con la targa di salviniano, Meloni e Giorgetti stanno apprezzando il lavoro sul ridimensionamento del debito monstre dell’azienda elettrica. Solo che Cattaneo, stimatissimo da Caltagirone, è in lizza per la sedia di Donnet in Generali.
Insieme ad altri due manager di peso come Fabrizio Palermo di Acea (anche lui amico di Caltagirone, che l’ha sponsorizzato con il sindaco di Roma ,Roberto Gualtieri) e, di nuovo, Del Fante. Solo in caso di salto in Generali, dunque, Cattaneo lascerà Enel. Un salto per cui tifa anche Stefano Donnarumma, ad di Fs che non è in scadenza, ma che punta già in primavera a muoversi o a Enel o in Leonardo, quest’ultima ambizione realizzabile solo con un mezzo miracolo.
I postini suonano due volte
Anche a Terna non sono previsti cambiamenti al timone: Giuseppina Di Foggia, nel 2023 scelta personalmente da Meloni e “bollinata” da Giorgetti, potrebbe spostarsi solo per un incarico prestigioso come contropartita: qualcuno sostiene che lei – che viene da Nokia –sogni la poltrona di ad di Tim, su cui oggi è seduto Pietro Labriola.
Il manager ha però salvato l’azienda da un quasi fallimento e portato a dama l’operazione della rete, sembra saldo al timone
almeno fino alla scadenza del 2027: i nuovi azionisti di
maggioranza di Poste, guidata dall’ad Del Fante e dal direttore generale Giuseppe Lasco, non hanno intenzione di privarsene.
La coppia guida Poste da nove anni: con buone probabilità verrà riconfermata anche nel 2026 per un quarto mandato. Il governo vuole che i due rilancino la compagnia appena scalata.
Solo se Del Fante andasse in Mps o Generali i due si dividerebbero. A quel punto potrebbe essere proprio Lasco, ex finanziere, a diventare il nuovo ad. Anche perché, come ha già detto a Palazzo Chigi, non accetterebbe di fare il secondo a nessuno.
(da “Domani”)
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