IL NARCOSTATO PREMIATO CON I SOLDI DEGLI ITALIANI: NUOVO INCONTRO RAMA-MELONI
IL FLOP DEI CENTRI PER MIGRANTI… GRATTERI SU TIRANA: “I CLAN INFILTRANO LE ISTITUZIONI”
Dopo l’accordo siglato tra Italia e Albania, dal valore di quasi un miliardo di euro, per la
gestione dei migranti, il presidente albanese Edi Rama torna a Roma per incontrare Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio aveva promesso, con tono perentorio, che i centri per migranti costruiti in terra albanese «funzioneranno», ma quel modello è fallimentare.
Non c’è solo la questione dell’efficacia, sulla quale Domani può svelare nuove anomalie tra agenti rimpatriati e alloggi
inadeguati, ma anche un tema in buona parte sottaciuto, quello relativo alle scorribande criminali in quel paese. Cammina sotto traccia una domanda, a chi abbiamo dato 100 milioni di euro di soldi pubblici (destinati alla sorveglianza esterna)? Con quale paese abbiamo sottoscritto un accordo da quasi un miliardo di euro (si prevede una spesa minima di 650 milioni di euro), in cinque anni?
Gli oppositori del governo Rama, osservatori internazionali, una parte della destra italiana, hanno definito nel recente passato l’Albania un narcostato. Questa definizione è un’esagerazione? «No, tutt’altro. I gruppi albanesi hanno iniziato a trafficare in marijuana per passare successivamente all’eroina, grazie ai rapporti con la mafia turca, e infine alla cocaina, di cui sono diventati broker internazionali.
I proventi di queste attività hanno dato ulteriore potere economico e politico ai gruppi albanesi che hanno molte affinità con la ‘ndrangheta, dal familismo ai rigidi codici comportamentali, basati sulla besa, il senso dell’onore e della parola data, dalla capacità di infiltrazione nel tessuto economico-finanziario al condizionamento del settore politico-amministrativo». A dirlo è il procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, intervistato da chi scrive per raccontare l’egemonia internazionale della mafia albanese.
Il silenzio
Parole pronunciate da un esperto magistrato in prima linea contro il crimine che aumentano gli interrogativi sull’esigenza di
sottoscrivere un protocollo con un paese extra-Ue, che non ha una normativa adeguata di contrasto al crimine organizzato e, ancor di più, non ha una legislazione in grado di colpire l’accumulazione illecita di patrimoni economici e finanziari. Una vicenda ancora più grave se si considera quanto rivelato da Domani in merito a un incontro accertato dalla Dia tra un cartello criminale ed esponenti imprecisati del governo Rama. Era il 2019. Una vicenda, sulla quale Rama ha scelto il silenzio, che ha sollevato un polverone politico e mediatico in Albania, ma oscurata in Italia.
La presidente del Consiglio si spertica in parole contro la mafia poi sceglie interlocutori internazionali, le cui politiche nel fronteggiare riciclaggio, corruzione e infiltrazioni sono giudicate «non all’avanguardia», dice ancora Gratteri.
A Villa Pamphili ci sarà l’incontro tra Rama e Meloni, è prevista la firma di un accordo strategico globale che comprende settori quali energia, salute, ambiente, difesa, istruzione, innovazione, migrazione e sviluppo economico. Fotografie di rito, parole di elogio reciproco anche per nascondere la fallimentare campagna d’Albania. Un anno fa aprivano i centri per migranti, quasi sempre vuoti, fiaccati dal diritto internazionale e resi così enormi monumenti allo spreco. In realtà in un caso il baraccone albanese ha funzionato benissimo. È il caso dell’agente rimpatriato.
L’unico rimpatrio? L’agente
Nel progetto fallimentare messo in piedi dal governo italiano dall’altra parte dell’Adriatico, infatti, è stato previsto anche un
carcere da 20 posti. Una struttura che si trova all’interno del complesso più grande che include il centro di trattenimento dei richiedenti asilo e il centro per i rimpatri. Destinato a chi, tra i migranti, avrebbe commesso reati nell’area considerata sotto la giurisdizione italiana.
Attualmente è presidiato da 15 agenti della polizia penitenziaria, un terzo rispetto al contingente originario che era stato distaccato in Albania. Ma che colpa ha l’agente rimpatriato? Sospettato di aver fotografato i cani randagi che si raccoglievano, sfamati dai poliziotti, nei pressi del carcere vuoto. Così, dopo un procedimento disciplinare chiusosi con l’archiviazione, l’agente è stato rispedito a casa. Insomma il rimpatrio funziona che chi è sospettato di interloquire con sindacati. Ma c’è anche altro. Rispondendo a una sollecitazione arrivata al dipartimento della polizia penitenziaria dalla Uil, si scopre una carenza strutturale. Le camere degli agenti dovrebbero essere per una sola persona altrimenti non sono a norma rispetto alle previsioni dell’accordo nazionale quadro. E, invece, cosa accade?
«Le camere dedicate al personale, pari a 30 metri quadrati, ospitano al momento massimo due unità; ciascuna stanza, munita di impianto di climatizzazione, ed il relativo bagno sono dotati degli arredi previsti dall’allegato A dell’Accordo Quadro, si ritiene opportuno evidenziare che nessuna lamentela è stata registrata da parte del personale», scrive Rita Russo, oggi direttore del personale, e prima provveditore nel Piemonte, dove il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove
Proprio Russo si occupava di quella regione quando questo giornale pose la questione del caposcorta di Delmastro, in particolare le ragioni della scelta e della selezione nonostante l’età avanzata. «Non voglio assolutamente parlare», rispose. Silenzio anche quando le chiedemmo della tramontata ispezione interna. Dopo quell’esperienza è volata a Roma a dirigere il personale nel dipartimento del Delmastro gestisce ogni nomina. E ora risponde sugli alloggi inadeguati rassicurando tutti: «Nessuno si lamenta». Anche perché se si lamentano, li rimpatriano.
(da agenzie)
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