ACHILLE OCCHETTO, ULTIMO SEGRETARIO DEL PCI E PADRE NOBILE DELLA SINISTRA: “C’È ANCORA UN COLPEVOLE RITARDO NEL PRESENTARE UNA PROPOSTA UNITARIA DI GOVERNO. SE CONTINUIAMO A SCANNARCI TRA DEMOCRATICI SARÀ IMPOSSIBILE VINCERE”
SULLA PATRIMONIALE: “NON SI DOVREBBE AVERE UN APPROCCIO IDEOLOGICO. SEMMAI OCCORRE CHIARIRE COSA FARE DEL POTERE MONOPOLISTICO E AUTORITARIO DELLE BIG TECH”
Ce l’ha con gli scettici, Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci e padre nobile della sinistra. I disfattisti che non aiutano la costruzione dell’alternativa.
A che punto è la notte del campo largo, Occhetto? Lei la vede l’alternativa a questo governo?
«Io comincio a intravedere nella società un’articolata e sempre più forte avversione alle politiche economiche e sociali del governo. E mi sembra che le varie sinistre, anche quelle più moderate, siano in campo e lottino, sia pure tra molte difficoltà. Per questo non concordo con il diffondersi di un generico scetticismo che fornisce solo vaghe allusioni e illusioni politiciste»
Quindi pensa che il centrosinistra sia pronto a battere la destra?
«C’è ancora un colpevole ritardo nel presentare, hic et nunc, una proposta unitaria di governo e nell’assumere davanti al Paese un esplicito impegno a correre insieme alle prossime elezioni nazionali. E ciò perché non si è ancora capita la gravità di un frangente storico che sta minando i valori fondamentali. Ci sono momenti inderogabili in cui la fantasia politica può aiutare i
diversi a trovare le ragioni di uno sforzo comune, volto a salvare la democrazia».
Il governo Meloni sta mettendo in discussione la democrazia?
«Alcuni dei principi costituzionali, a partire dall’equilibrio fra i poteri dello Stato, sono sotto attacco. Per cui il mio consiglio è: si apra subito il cantiere del programma per concordare i punti su cui impegnarsi in modo unitario, e quelli su cui invece mantenere sensibilità proprie.
Avendo ben chiare due cose: un programma di governo non può contenere tutte le aspirazioni di ciascuna forza politica. E deve definire le priorità. L’anello da afferrare saldamente è il tema della centralità del lavoro, collegato alla redistribuzione della ricchezza, per abbracciare in un unico destino i miserabili e i dimenticati, assieme al lavoro materiale e intellettuale sempre più povero, al ceto medio declassato, al mondo produttivo e delle imprese».
Ergo, la testardamente unitaria Elly Schlein è sulla strada giusta?
«Credo che l’unità dovrebbe essere ambizione comune a tutte le forze del progresso militante. Da più parti si sottovalutano i rischi crescenti che stiamo correndo su scala europea e mondiale. Il Pd dovrebbe far comprendere a tutti che in gioco non è l’alternativa di sinistra, ma un’ampia “alleanza democratica” a tutela dello Stato di diritto».
L’asse Pd-Avs ha rilanciato la patrimoniale stile Mamdani. Ma così non si spaventano gli elettori?
«Io credo che sulla patrimoniale non si dovrebbe avere un approccio ideologico e mettere subito mano alla pistola.
Sappiamo che esiste anche in Paesi conservatori. Semmai occorrerebbe chiarire cosa vogliamo fare del potere monopolistico e autoritario delle Big Tech, dei grandi profitti investiti nelle rendite e se del bilancio statale devono continuare a farsi carico principalmente i lavoratori e il ceto medio. Poi la si chiami come si vuole».
Nell’area moderata che guarda al Pd si agitano in tanti: chi dovrebbe guidarla? Sala, Ruffini, Onorato?
«Non intendo entrare nel carosello del toto-nomi, non mi sembra serio. Tuttavia concordo — come dicevo — sulla necessità di una “vasta alleanza”, sociale e politica, i cui confini non sono definibili da alcuna aprioristica esclusione o inclusione, bensì dal programma. Né rintracciabili nella ricerca infantile e salvifica del capo».
Nello schema del “tutti dentro”, Giuseppe Conte non rischia di diventare il Bertinotti di Schlein?
«Questa è una domanda che dileggia al contempo Conte, Bertinotti e Schlein, pertanto mi diverte, ma non rispondo».
A chi tocca la leadership della coalizione di centrosinistra?
«La difficoltà sta nel fatto che non si sa quale metodo adottare. La destra ha un leader riconosciuto, anche se con riluttanza da Salvini, perché ha stabilito che è il capo del partito più votato. La sinistra non l’ha ancora accettato. Ma così non se ne esce. Dovrebbero diventare tutti maggiorenni.
Avere lo spirito dei federatori. Per me, se si opta per il leader di uno dei partiti in lizza, il modello non può che essere quello del tutto razionale della destra. Quindi, si riuniscano al più presto e,
se non concordano sul metodo, allora decidano di concordare su un altro candidato. Se non sono d’accordo nemmeno su questo, si torna al modello della destra. C’è un’altra soluzione? Sarei felice di conoscerla. Insistere coi ballon d’essai mi sembra ridicolo. Una pacchia per gli avversari!».
C’è chi dice che servirebbe un outsider. A lei Silvia Salis piace?
«Certo, è molto capace e ha un grande istinto politico. Ma, a domanda, ha già spiegato che intende fare il sindaco di Genova. E non ho motivo di credere che la sua fosse una risposta diplomatica».
Se la sente di scommettere sulla vittoria progressista alle Politiche?
«Sì se diventiamo tutti più responsabili; se invece continuiamo a scannarci tra democratici sarà impossibile. Spero che lo spirito dei federatori illumini quella che io non chiamo campo largo, ma ampia alleanza democratica».
(da agenzie)
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