SE L’ULTIMO GIGANTE BIANCO SI PIEGA ALLA CRISI CLIMATICA
IL DESTINO DI QUESTI GIGANTI E’ IRREVERSIBILE, ORMAI ANCHE IL PERITO MORENO SI RITIRA
El Calafate (Patagonia), novembre 2025. Una comoda passerella di metallo permette
da qualche anno di arrivare proprio in faccia al fronte glaciale del Perito Moreno, uno dei ghiacciai più famosi del mondo, non solo per le sue cospicue dimensioni, ma soprattutto perché negli ultimi secoli era rimasto più o meno stabile o, addirittura, risultava in avanzamento. In un contesto naturale che vede i ghiacciai di tutto il mondo arretrare sotto i colpi della crisi climatica, il Perito Moreno, figlio dello Hielo Patagonico Sur, con i suoi 260 chilometri quadrati e i 30 km di lunghezza era un’eccezione, che gli valeva il ruolo di testimone per i negazionisti del riscaldamento globale: ma quale arretramento, non lo vedete che, invece, il Perito Moreno avanza?
La passeggiata davanti al ghiacciaio avviene in una cornice particolare: puoi scorgere prima il fronte attraverso le bacche
rosse del bosco antistante e accoglierne infine l’ampiezza, quasi frontalmente, alla fine del percorso. A causa della densità e della composizione, il ghiaccio assume tinte blu-azzurre intense e le mantiene anche nei frammenti che vanno alla deriva sul lago Argentino. Ogni tanto forti schiocchi e colpi veri e propri raccontano meglio di molte immagini come il ghiacciaio si stia muovendo. Ai colpi può seguire l’apertura di fratture e il distacco di piccoli iceberg che si allontaneranno progressivamente. Così che, a distanza di qualche chilometro, sarà il contrasto fra l’azzurro del ghiaccio, il colore lattescente delle acque di fusione ricche di particelle minerali e il verde della prateria l’attrazione cromatica ineludibile di un territorio sconfinato.
Mi fermo a osservare il fronte: una sessantina di metri di spessore che finiscono in una cuspide che divide in due bracci lo specchio d’acqua antistante. Improvvisamente un altro colpo sordo e l’affondamento di un pezzo di ghiaccio fra spruzzi e polvere, poi il riemergere di un parallelepipedo ialino che dondola, si assesta e poi si arrende al distacco.
Francisco Pascasio Moreno, nominato Perito perché esperto in questioni territoriali, era stato chiamato a dirimere problematiche di confine con il Cile nel 1896. Insieme all’omologo «perito» cileno (Diego Barros Arana) doveva decidere l’esatto andamento del confine nazionale sulla Cordigliera andina lungo la linea degli spartiacque più alti. Esistevano già studi corposi a riguardo, ma Moreno decise di battere palmo a palmo il territorio per
verificare la soluzione più giusta.
La sua metodologia ebbe successo soprattutto per gli argentini e venne così salutato come un eroe nazionale, attribuendo il suo nome al ghiacciaio che, peraltro, egli non riuscì mai neanche a visitare. Nel 1903 venne ricompensato con una enorme dazione di terre in Patagonia, ma Francisco Moreno non volle possederle, decidendo di donarle per costituire il primo parco nazionale argentino e battendosi per la conservazione e la tutela dell’ambiente naturale patagonico fino alla sua morte nel 1919.
Del ghiacciaio Perito Moreno erano famose due caratteristiche, l’avanzamento costante e la drammatica rottura del fronte. Quest’ultima consisteva in un fenomeno apparentemente ciclico che avveniva ogni 4-5 anni: la penisola di Magellano, che divide in due il braccio d’acqua al fronte del ghiacciaio, si salda temporaneamente con la terraferma antistante per via del movimento dei ghiacci. La diga regge per qualche anno, ma viene improvvisamente rotta dalla pressione dell’acqua del braccio settentrionale che si riversa in quello meridionale, nel frattempo abbassatosi di livello attraverso i suoi emissari.
Per quanto riguarda l’avanzamento, secondo alcuni studiosi il fenomeno derivava dalla “cattura” di parte della neve che avrebbe alimentato altri ghiacciai vicini, secondo altri soprattutto da una specie di «cuscino» di acqua di fusione costantemente presente alla base della lingua glaciale che avrebbe conferito una maggiore mobilità al ghiacciaio nel suo complesso
Giova ricordare che un ghiacciaio è un elemento geomorfologico
dinamico della crosta terrestre che registra fedelmente ogni variazione di temperature dell’atmosfera e degli oceani. I ghiacciai si muovono scorrendo sulla superficie e raspando materiali rocciosi di ogni tipo, che possono essere spostati al fronte quando avanza, o lasciati indietro quando il ghiacciaio si ritira.
Quando fa più caldo il ghiacciaio si frattura sempre più vistosamente e il fronte si rompe dando luogo al fenomeno dei frammenti alla deriva che chiamiamo iceberg, un termine che non ha corrispettivo italiano (dove gli iceberg non sono noti), ma che in lingua argentina si chiamano tempanos (sostantivo coniato proprio in Patagonia, dove erano conosciuti fino dal tempo degli spagnoli).
Da qualche anno anche il Perito Moreno si è arreso alla crisi climatica. Almeno dal 2007, quando alcuni ricercatori hanno misurato una perdita di circa 15 metri di spessore ai margini della lingua glaciale principale: il ghiacciaio che avanzava si era bloccato. Nel 2019 è stato rilevato che il contatto della base glaciale con il suo fondo roccioso si era perso e che il ritiro stava accelerando. Nel 2024 nuovi rilievi radar e satellitari mettono in luce una media di ritiro di 5,5 metri/anno fra il 2019 e il 2024, contro gli 0,34 metri fra il 2000 e il 2019. Si è infine scoperto che una dorsale subglaciale potrebbe essere stata alla base dell’anomalo comportamento del Perito Moreno, cioè della sua precedente stabilità rispetto agli altri ghiacciai del mondo. Questa stessa dorsale, oggi di fronte a una profondità di acqua
maggiore, potrebbe essere un elemento di ulteriore accelerazione dei processi di fusione attuali. Anche il Perito Moreno arretra.
Con un battello adattato mi faccio strada fra gli iceberg dei ghiacciai patagonici, navigando su acque profonde fino a 150 metri e con temperature di circa 5°C. Rimango affascinato dal colore azzurro profondo dei piccoli iceberg e riesco a distinguere il rumore dei processi di fusione in atto: uno sgocciolamento continuo che misura il tempo inesorabile della loro scomparsa. Ci vorrà per fortuna ancora del tempo, ma il destino di questi giganti custodi del nostro clima è segnato e irreversibile, almeno alla scala dei tempi dell’uomo. E ci ricorda che i ghiacciai più piccoli sono già da anni sul viale del declino: qualche decennio ancora e quelli alpini saranno perduti.
Con i ghiacciai svanisce la capacità di resistere al riscaldamento climatico e la riserva più rilevante di acqua dolce che ci sia al mondo. Ma si perde anche una bellezza irripetibile, un ritmo armonico, un’ispirazione interiore che facciamo appena in tempo a consegnare alla memoria di chi ci ha prestato il pianeta e non immaginava certo di riaverlo indietro senza questi protagonisti all’apparenza imperturbabili.
Mario Tozzi
(da lastampa.it)
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