A BRUXELLES NON BASTERÀ UNA ‘CARTUCCELLA’
SERVONO IMPEGNI VINCOLANTI PER EVITARE LA PROCEDURA DI INFRAZIONE
Non basterà una ‘cartuccella’ da Roma per placare gli Stati dell’Unione europea sulla procedura per debito eccessivo suggerita dalla Commissione Ue per l’Italia.
Alla vigilia di un consiglio europeo incentrato sulle nomine per i vertici delle istituzioni europee nella nuova legislatura, a Bruxelles non trapelano segnali di clemenza per il Belpaese.
Il premier Giuseppe Conte arriverà domani con una prima risposta del Governo italiano, probabilmente avrà un bilaterale con Emmanuel Macron e altri leader (appuntamenti ancora non fissati in agenda) a caccia di alleanze per alleggerire la ‘condanna’ dell’Italia.
Ma al momento, da quello che trapela, la storia è sempre quella: solo un atto vincolante (la manovra correttiva che il governo Conte esclude) può evitare la procedura.
Certo Conte vuole usare tutte le armi che ha per “evitare la procedura”. All’Eurosummit che si riunisce venerdì dopo il consiglio europeo, il capo del governo esprimerà tutti i dubbi italiani sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Esm).
Della serie: così come è stata impostata, la ratifica di questo trattato non passa in Parlamento, dove oggi la maggioranza M5s-Lega ha approvato una risoluzione molto critica delle conclusioni raggiunte sull’argomento dall’Eurogruppo del 13 giugno a Lussemburgo.
Il rischio è che con questa riforma l’Italia non possa accedere al fondo salva-Stati, perchè per farlo dovrebbe dimostrare la sostenibilità del debito e di rispettare tutti i parametri di Maastricht.
In realtà , come viene spiegato da fonti europee, l’Italia non è l’unico paese europeo con forti criticità sulla questione. Lo sono tutti i paesi con un debito alto. Ed è proprio su questo che Conte vuole far leva alla ricerca di consensi per evitare la procedura, anche se in realtà trattasi di un dossier separato dalla riforma dell’Esm.
La procedura potrebbe scattare già all’Ecofin del 9 luglio. A partire dalla prossima settimana, la Commissione si occuperà di scriverne i dettagli da sottoporre prima al Comitato economico e finanziario, l’organismo che raccoglie i direttori del Tesoro degli Stati membri, e poi al consiglio dei ministri economici.
Non si mette bene. A Bruxelles vogliono garanzie che i risparmi del 2019 — per minore spesa effettiva sulle due misure bandiera: quota cento e reddito di cittadinanza — non vengano investiti nel 2020. Altrimenti saremmo punto, a capo.
Oggi Jean Claude Juncker, presidente uscente della Commissione europea, è tornato sull’argomento a Sintra, in Portogallo, intervenendo al Forum della Bce 2019. Le regole Ue di bilancio, “per quanto complesse”, devono essere “rispettate da tutti”, dice.
Certo, Juncker ricorda un precedente non proprio felice della storia europea. Vale a dire quando nel 2003 “Germania e Francia non rispettarono le regole” sulla soglia del deficit al 3% del Pil e però riuscirono a evitare la procedura perchè esercitarono “pressione sul Consiglio europeo” che quindi “decise di non adottare i rimedi formali di correzione proposti dalla Commissione. La Commissione decise di portare il Consiglio in Corte ed entrambi, sia la Commissione che il Consiglio, persero in parte: una storia molto europea”.
Ma non è un precedente che possa tornare comodo all’Italia, visti i rapporti di forza in campo. Roma è isolata a livello politico e non ha il peso della Francia e della Germania, ca va sans dire.
Certo, può contare su un eventuale approccio più morbido di paesi come la Spagna, la Germania, interessati a raggiungere un accordo ed evitare una procedura che potrebbe scatenare instabilità nell’eurozona.
Ma al momento anche questi paesi sono in attesa di una risposta vincolante. E i tempi non sono ancora maturi. Prima, i leader devono sbrogliare la matassa ‘nomine’, ancora decisamente aggrovigliata. Un completo caos, in cui la Lega cerca di inserirsi per far passare l’idea che l’Ue dovrà accettare un commissario leghista, con portafoglio “economico”, ha insistito anche Conte oggi citando il dossier pure al pranzo al Quirinale in preparazione del consiglio europeo.
“Se non si raggiunge un accordo sulle nomine in questo consiglio europeo, piombiamo nel caos, perchè anche all’Europarlamento non c’è una maggioranza per l’elezione del presidente…”, dice una fonte europea. Si corre contro il tempo. L’idea del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk è di raggiungere un’intesa al massimo entro venerdì mattina, facendo notte giovedì.
La giornata di domani andrà via in colloqui incrociati e serrati, i leader cominceranno a parlare dei ‘top jobs’ a cena e la discussione potrebbe appunto andare avanti tutta la notte. Perchè l’indicazione di Angela Merkel è di raggiungere un’intesa prima che a Strasburgo si voti il presidente dell’Europarlamento, incarico che di solito viene deciso nella cornice delle altre nomine: presidente della Commissione e del Consiglio Ue, Alto rappresentante per la Politica estera e governatore della Bce.
Se così non fosse, il Parlamento deciderebbe il suo presidente ‘in autonomia’, con esiti difficili da prevedere (in quarta votazione basta la maggioranza semplice tra i primi due candidati della terza votazione, un ballottaggio insomma).
Ecco, sulle nomine è ancora buio ma tutti i leader vogliono anticipare il Parlamento, decidere nella riunione di domani e dopodomani perchè convocare un vertice straordinario il 30 giugno è impossibile (i leader tornano solo a sera dal G20 di Osaka). Complicato convocarlo il primo luglio.
Alla vigilia il quadro è confuso e niente è escluso. Il candidato dei Popolari Manfred Weber che sperava nella presidenza della Commissione viene dato per fuori corsa, sia da fonti Liberali che da fonti Ppe. Eppure
Weber le ha provate tutte. Ha soffiato anche sulle divisioni dei Liberali, facendo un endorsement al liberale belga Guy Verhofstadt alla presidenza dell’Europarlamento. Verhofstadt è già in rotta con i suoi nuovi colleghi di gruppo, gli eletti di ‘En marche’ di Macron, e vuole assolutamente diventare presidente dell’Eurocamera.
Contro Weber, oltre a Macron, sono schierati i socialisti, che non si accontentano dell’Alto rappresentante per la politica estera, il posto ‘offerto’ al loro candidato Frans Timmermans.
Mentre i Verdi potrebbero anche sostenere Weber in cambio della presidenza dell’Europarlamento alla loro leader tedesca Ska Keller. Magari — ipotesi che circola – metà della legislatura a Verhofstadt, metà a Keller, come è successo nella legislatura 2014-2019: prima il socialista Martin Schulz e poi il Popolare Antonio Tajani.
Ma non ci sono punti fermi in questa storia, ancora no.
Per la presidenza della Commissione circola anche il nome del liberale olandese Mark Rutte. Macron ha sempre in testa il nome di Angela Merkel, mentre per la presidenza del Consiglio, il presidente francese penserebbe al belga Charles Michel, per poi ottenere la presidenza della Bce: assegnata ai francesi Francois Villeroy de Galhau, governatore della Banca di Francia, oppure a Benoit Coeure, già membro del board esecutivo della Bce.
In questo caos Matteo Salvini tenta di inserirsi per aprire la strada a un commissario leghista. Ogni paese europeo dovrà indicarne uno. Nel governo italiano per ora è passata la linea che il commissario sarà espresso dalla Lega, partito più forte in maggioranza con il 34 per cento incassato alle europee.
Il punto è che dovrà passare anche a Bruxelles e non è per niente scontato. Il primo step dipende dal presidente della Commissione: è lui che decide la squadra. Poi si tratta di passare il test del Parlamento. Insomma, strada ancora lunga e complicata. Soprattutto alla luce del fatto che l’Italia punta a un “portafoglio economico”, quindi di peso. Al Commercio: questo è il sogno leghista.
Ma prima c’è da evitare la procedura. “Lo vuole tutto il governo”, assicura Conte. Anche su questo, è ancora buio.
(da “Huffingtonpost”)
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