AQUILA SEI ANNI DOPO E’ UNA CITTA’ FANTASMA
LA RICOSTRUZIONE NON SI E’ VISTA, TRA FONDI BLOCCATI E INCHIESTE
Sei anni fa. Dalle 3:32 del 6 aprile la vita a l’Aquila è rimasta sospesa tra il dolore del lutto (309 morti e 1500 feriti) e l’incertezza del futuro, senza più il calore dei luoghi conosciuti, delle mura della propria casa, dei percorsi quotidiani.
60mila sfollati e 10 miliardi di danni. Il cuore della città ferito a morte, solo una cinquantina di persone che sono tornate ad abitarlo.
Una manciata di fortunati che hanno visto le loro abitazioni in palazzi rinascimentali e medievali risorgere dalle macerie grazie alla Sovrintendenza.
Una ricostruzione partita in ritardo di anni – fondi bloccati, burocrazia lumaca – che ha privilegiato le periferie, poche strade del centro, quelle intorno a corso Vittorio Emanuele II, la via dello «struscio», creando così un confine di diseguaglianza e di scontento.
I bambini senza città
Bambini cresciuti senza conoscere la loro città , e la vita di prima, quella normale, quando si andava a piedi in centro e ci si vedeva in piazza o alla villa.
Mentre adesso ci si sposta in auto e il luogo di aggregazione sono diventati i centri commerciali. Tranne che per i ragazzi che hanno fatto delle strade diroccate un luogo di movida.
Ed è strano vedere una città fantasma tranne qualche bar, locali per aperitivi, birrerie, concentrate vicino a piazza Regina Margherita.
Qui due tra i pochissimi palazzi restaurati, palazzo Cappa e palazzo Paone dove abitano solo 3 persone.
Ha riaperto la pasticceria Manieri, la pasta all’uovo di via Garibaldi e poco distante la macelleria. Nulla più.
«Ci sono le persone anziane che sono volute rimanere qui che non possono fare la spesa d’inverno se non facendo una scarpinata ai supermercati nella città bassa», dice Tullio Manieri.
«E l’amministrazione non fa niente per far tornare in centro almeno i servizi essenziali alla sopravvivenza come una bottega di alimentari».
Non è una città per anziani. Ma neanche per i bambini convinti che «casa» siano le New Town, in cui sono costretti a vivere dalla nascita.
19 quartieri dormitorio voluti da Berlusconi e Bertolaso, annunciati dal salotto di Porta a Porta la sera stessa di quel maledetto 6 aprile, che cadono a pezzi.
I complessi antisismici
E che, ammette il sindaco, potrebbero anche dover essere abbattute se la manutenzione risultasse antieconomica.
Le hanno chiamate “Case” (Complessi antisismici sostenibili ecocompatibili) ma non hanno nulla che ricordi il calore e la sicurezza di quella parola.
Sedicimila aquilani sfollati devono fare i conti tutti i giorni con balconi inagibili (nel settembre 2014 è crollato un balcone a Cese di Preturo, e da allora sono sotto sequestro 800 balconi in cinque insediamenti dell’Aquilano).
Ma anche con infiltrazioni negli appartamenti e nei garage, allagamenti, pavimenti che si scollano, fogne che si intasano.
Sono costate quasi un miliardo di euro. Per il crollo di Cese adesso c’è un’inchiesta aperta, per difetti di costruzione e fornitura di materiali scadenti, con 39 indagati.
Ma c’è anche l’inchiesta sugli isolatori sismici delle Case, installati sotto le piastre delle New Town e che durante alcune prove di laboratorio in California si sono spezzate durante un terremoto simulato.
Poi ci sono i “Map” (Moduli abitativi provvisori), altra sigla sinistra, le casette di legno delle frazioni e dei Comuni. Ma anche li non se la passano bene.
Oggi ancora 6 mila bambini sono nei “Musp”, i Moduli ad uso scolastico provvisorio nati nel settembre del 2009 per il ritorno sui banchi.
Le scuole provvisorie
Nessun istituto è stato ancora ricostruito, nonostante i soldi per farlo, 44 milioni, sono nelle casse comunali da metà del 2013.
L’Aquila piange. Lacrime che si specchiano nelle risate di imprenditori sciacalli che contavano i soldi possibili prima che fossero contati i morti.
Nelle risate della mafia che ha gettato sul territori una rete insidiosa su cui adesso vigila un gruppo di lavoro della Procura ispirato al modello della direzione nazionale antimafia.
Maria Corbi
(da “La Stampa”)
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