ARRESTATO PER CORRUZIONE IL SINDACO DI VILLA SAN GIOVANNI INSIEME AD A.D. E PRESIDENTE DEL SERVIZIO TRAGHETTI
IL PRIMO CITTADINO E’ FRATELLO DEL SENATORE DI FORZA ITALIA MARCO… L’INDAGINE SULL’UTILIZZO DEI PIAZZALI AGLI IMBARCHI
Appalti pubblici aggiustati, permessi telecomandati, autorizzazioni disegnate su misura per favorire sempre e solo la holding internazionale padrona del traghettamento tra Reggio Calabria e Messina.
È una vera e propria bufera quella che ha travolto l’amministrazione di Villa San Giovanni e la Caronte&Tourist, società che da decenni monopolizza o quasi l’attraversamento dello Stretto di Messina e i collegamenti con le isole minori.
Nel giro di poche ore, agli arresti disposti dalla procura di Reggio Calabria, guidata da Giovanni Bombardieri, sono finiti il sindaco di Villa San Giovanni, Giovanni Siclari, di Forza Italia, (domiciliari) fratello del senatore Marco Siclari; il presidente della Caronte, Nino Repaci (domiciliari); l’amministratore delegato Calogero Famiani (domiciliari); un vigile urbano, Vincenzo Bertuca (domiciliari); l’imprenditore Gaetano Bevacqua (domiciliari).
Stessa misura per una serie di professionisti, come gli architetti Tindara Orsina e Antonio Artino, più gli ingegneri Alessandro Taverriti e Marco Morabito, figlio del capo dell’Urbanistica e “re” di carte, permessi e autorizzazioni, Francesco Morabito, ingegnere anche lui, e il suo braccio destro, il geometra Giancarlo Trunfio dell’Ufficio Tecnico del Comune, entrambi attestati dai carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria e finiti in carcere.
Le contestazioni sono a vario titolo corruzione, truffa aggravata, turbativa d’asta, falso in atto pubblico e peculato. Per il solo Ingegnere Francesco Morabito invece, l’accusa è anche di concorso esterno in associazione mafiosa. O almeno così l’hanno formulata i magistrati della procura di Reggio Calabria, sebbene il giudice per le indagini preliminari non abbia ravvisato sufficienti indizi al riguardo, limitandosi a contestare l’aggravante mafiosa in relazione ad una turbativa d’asta. “Ma stiamo valutando di fare appello” assicura il procuratore capo, Giovanni Bombardieri
La prudenza del gip in ogni caso non ridimensiona il “quadro desolante” — così lo hanno definito gli inquirenti — emerso dall’indagine, tanto meno il ruolo centrale dell’Ingegnere.
Proprio da Morabito, finito nell’orbita degli investigatori per non aver ottemperato ad un ordine di demolizione che avrebbe pregiudicato uomini del clan Bertuca, è partita l’indagine che ha scoperchiato il giro di mazzette e accordi all’interno dell’amministrazione.
Ma anche grazie alle rivelazioni del pentito Vincenzo Cristiano, ex picciotto dei clan di Villa e profondo conoscitore delle dinamiche criminali, i magistrati hanno scoperto che Morabito aveva un ruolo preciso. Era lui — sostengono – l’uomo del clan Bertuca, espressione territoriale della più nota famiglia di ‘ndrangheta dei Tegano, all’interno dell’amministrazione.
Per loro, Morabito si era attivato in occasione delle ultime elezioni provinciali per raccogliere voti per i candidati graditi ai clan e in qualità di reale dominus dell’Urbanistica, non ha mai dimenticato di affidare alle ditte dei clan appalti e lavori o di prodigarsi per risolvere problemi burocratici in Comune.
In cambio, le famiglie mafiose di Villa San Giovanni hanno sempre offerto “protezione”, così come la possibilità di utilizzare i metodi intimidatori per imporre le proprie regole, dentro e fuori dal Comune.
Un vero e proprio “metodo Morabito” per inquirenti e investigatori. Amministrando a proprio piacimento permessi, autorizzazioni e appalti, negoziando per ogni singolo atto amministrativo un beneficio personale per sè o per il suo braccio destro Trunfio, o ancora per il “team” di professionisti che lo aiutavano nelle manovre, l’Ingegnere incassava danari e favori.
Da cene a sconti, da incarichi per il figlio neolaureato Giovanni (finito ai domiciliari) ad assunzioni, da denaro a abbonamenti stagionali negli stabilimenti balneari, Morabito incassava di tutto. E al contempo accresceva il proprio potere politico e la capacità di influenzare le scelte della locale Amministrazione
Per tutti gli altri indagati invece, non ci sono accuse di mafia. Ma le contestazioni sono ugualmente pesantissime.
Al centro dell’indagine, secondo le prime indiscrezioni, la gestione dei piazzali necessari al servizio traghettamento, che Caronte avrebbe sempre gestito a proprio piacimento.
Su quello spazio, in realtà di proprietà di Anas, la holding del mare ha realizzato una serie di lavori — dalle nuove biglietterie alla sistemazione del sistema telepass, più cordoli e marciapiede per regolare le code — prima ancora di avere uno straccio di permesso.
Probabilmente, perchè erano sicuri di poter ottenere le pezze necessarie per mettere le carte a posto grazie ad una trattativa, del tutto illecita e privata, fra Repaci e Morabito, registrata dagli investigatori.
“Si stanno facendo… stanno quantificando un poco per non chiedere troppo” dice Morabito al telefono con Repaci, alludendo secondo gli investigatori alla mazzetta da chiedere alla società . E per nulla sconvolto, il presidente della holding si limita a commentare “Ehm va bè… non ti allargare”. Alla fine, il compenso pattuito è l’assunzione del figlio del geometra Trunfio, braccio destro dell’Ingegnere all’Ufficio Tecnico e anche lui arrestato. “Le intercettazioni sono davvero allarmanti – ha sottolineato al riguardo Bombardieri – e consentono di delineare un quadro di convenienze, di ‘do ut des’, tra Morabito e il suo vice, Giancarlo Trunfio, da una parte, e la società di navigazione dall’altra”. .
Secondo quanto filtra, i manager della Caronte finiti sotto inchiesta hanno anche promesso di prebende e utilità agli amministratori comunali, che in cambio hanno messo il Comune al servizio della società .
Ad “agganciare” il sindaco Siclari, sarebbe stato il presidente della holding in persona, Repaci, che ha “convinto” il primo cittadino ad affidare alla holding un’area — il cosiddetto piazzale Agip – sulla quale la sua società aveva progettato la realizzazione di alcuni lavori.
Dalla società Siclari – che a favore di quella concessione ha combattuto come un leone, ostacolando qualsiasi iniziativa dei consiglieri di minoranza che chiedevano verifiche sulla legalità dell’operazione — ha strappato non solo la promessa di una donazione di 8mila euro da Caronte, ma anche un’arma per disinnescare l’opposizione: l’assunzione in Caronte di Fabio Creazzo, figlio di una consigliera di minoranza, Angela Vilardi.
Le operazioni sono partite nella prima serata di ieri. Siclari, il primo cittadino di Villa San Giovanni, è stato sorpreso mentre ancora era in Comune, impegnato nei lavori di una delle commissioni consiliari. “Sindaco può seguirci un momento?” gli hanno intimato carabinieri, appena entrati in aula.
Un po’ stupiti, i consiglieri hanno proseguito con la discussione e lo stesso hanno fatto quando Siclari, rientrato rapidamente in aula, ha salutato tutti accennando ad un “impegno improrogabile” ed è andato via veloce, seguito dai carabinieri.
In realtà al primo cittadino erano stati appena notificati gli arresti domiciliari per corruzione e abuso d’ufficio, mentre nelle stesse ore gli investigatori bussavano a casa dei dipendenti comunali e del patron di Caronte, Repaci.
Per Villa San Giovanni è una bufera senza precedenti, ma anche per la holding del mare l’inchiesta della procura reggina potrebbe essere una grana complicata da gestire. Sebbene l’amministrazione già in passato sia finita al centro di inchieste giudiziarie, che hanno messo in luce persino i fin troppo cordiali rapporti fra politici e clan, è la prima volta che nell’occhio del ciclone ci finisce insieme alla holding del traghettamento. Una presenza fisicamente, economicamente e politicamente ingombrante, che per decenni ha più o meno silenziosamente condizionato l’amministrazione cittadina
Con base a Villa San Giovanni da più di cinquant’anni, la Caronte, originariamente della sola famiglia Matacena, è stata lambita ma mai travolta da inchieste, non ultima quella che ha coinvolto l’ex parlamentare di Forza Italia oggi latitante a Dubai, Amedeo Matacena, uscito dall’azienda di famiglia prima che la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa come referente politico del clan Rosmini.
Trasformata nella Caronte&Tourist dopo la fusione del 2003 con la storica rivale siciliana Tourist Ferry Boat della famiglia Franza, la holding è diventata uno dei principali attori del trasporto marittimo in Italia, con un fatturato superiore ai 200milioni l’anno.
Unica alternativa all’ormai ridotto all’osso servizio di traghettamento offerto da Rfi sulla tratta fra Villa San Giovanni e Messina, Caronte&Tourist controlla anche i collegamenti con tutte le isole minori siciliane (Eolie, Pelagie, Egadi) e Porto Empedocle.
In più, da tempo ha inaugurato la tratta Messina-Salerno. Secondo i dati ufficiali, sulle sue navi viaggiano ogni anno almeno 5milioni di passeggeri. Un volume d’affari assicurato grazie a rotte gestite quasi in regime di monopolio, ma anche – si suggerisce in ambienti investigativi – una straordinaria leva di contrattazione con la politica.
(da “La Repubblica”)
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