BOLIVAR E’ VIVO E LOTTA IN BRASILE
GLI ULTIMI SUPERDAZI CONTRO IL GOVERNO LULA SONO L’ENNESIMO ASSALTO DELL’OCCIDENTE CONTRO I LEADER SOCIALISTI IN SUDAMERICA
Donald Trump ha appioppato al Brasile di Ignazio Lula da Silva, l’ex sindacalista tornato al potere dopo anni di assenza per un’accusa di corruzione, risultata poi infondata, un superdazio, del 50%, di gran lunga il più pesante di quelli che The Donald sta disseminando in giro per il mondo.
Lula è colpevole, agli occhi del tycoon, di aver mandato sotto processo il suo predecessore Jair Bolsonaro. Bolsonaro aveva la responsabilità di stare deforestizzando la foresta pluviale amazzonica, favorendo, coprendo e trafficando con loro, i cercatori d’oro, i cosiddetti garimpeiros. Ora, la foresta
amazzonica restituisce il 20% dell’ossigeno mondiale. Secondo altre stime (ah gli statistici non riescono mai a dare risposte univoche, lo vediamo anche in Italia su quasi ogni argomento, dal PIL all’aumento o alla diminuzione dei lavoratori attivi) è solo il 6%, comunque sia è certo che la foresta pluviale amazzonica è il più importante polmone del mondo. Copre non solo il Brasile ma altri Stati sudamericani, Perù, Colombia, Ecuador, Guyana, Suriname, Guyana francese, Bolivia, Venezuela dove c’è un distretto chiamato appunto “Amazzonia” che dà il nome all’intero subcontinente.
La questione della foresta amazzonica non riguarda quindi solo i Paesi che copre, ma il mondo intero.
Ma agli occhi degli yankee il Brasile di Lula e il Venezuela prima di Chavez e oggi di Maduro sono colpevoli di seguire la linea di pensiero del “socialismo bolivariano” cioè di Simon Bolivar, il Libertador, che a metà dell’Ottocento aveva immaginato di riunire vari Paesi sudamericani (la “Grande Columbia”) all’insegna, appunto, del socialismo.
Lula, appena tornato al potere, oltre a tagliare le unghie ai garimpeiros ha preso altre decisioni importanti, come quella di
istituire un ministero per gli indigeni guidato da una donna. Perché la questione della foresta riguarda anche la biodiversità, umana, animale, vegetale.
Ma il socialismo non gode dei favori della cosiddetta comunità internazionale e dei media reggicoda. Si preferisce di gran lunga l’iperliberismo del presidente dell’Argentina Javier Milei, che ha dichiarato letteralmente che “il socialismo è un cancro mondiale”. E Giorgia Meloni, quando è stata da quelle parti per non mi ricordo più quale convegno, a Lula ha riservato una fredda stretta di mano per poi volare subito da Milei che l’ha ricambiata con un costoso dono che non si sa in quali tasche sia finito. Del resto ce lo dice il linguaggio. Quando si parla di Maduro lo si definisce immancabilmente come “il dittatore Maduro”. Gli Stati Uniti qualche anno fa hanno tentato un colpo di Stato in Venezuela guidato, forse lo ricorderete, dal “giovane e bell’ingegnere”, così lo si definiva, Juan Guaidó. In qualsiasi Paese del mondo, anche superdemocratico, chi ha tentato un colpo di Stato finisce in galera. Nella democraticissima Spagna sette indipendentisti catalani sono stati sbattuti immediatamente in gattabuia, mentre il loro leader Carles Puigdemont è tuttora in
esilio. Constatato che Guaidó non aveva nessun seguito, costui, rimasto a piede libero, se ne è fuggito in Nicaragua nelle braccia del dittatore Daniel Ortega.
Ma con il Venezuela gli americani hanno seguito anche altri metodi, i soliti: l’hanno coperto di sanzioni economiche per incoraggiare la rivolta della popolazione. È ciò che hanno fatto, e stanno facendo, anche con l’Iran khomeinista.
Insomma il socialismo deve essere espunto dal mondo. Ora lo si sta facendo con il Brasile di Lula e il Venezuela di Maduro (e di Chavez prima di lui, che aveva un grandissimo seguito popolare). In passato con la Serbia di Slobodan Milosevic, il solo Paese rimasto socialista in Europa, nel 1999, quindi prima dell’11 settembre, che è stato pretesto per gli americani di ogni sorta di violazione del diritto internazionale. Milosevic, pur firmatario della “pace di Dayton”, è stato spedito davanti al Tribunale internazionale dell’Aia per crimini di guerra. Il processo cominciò con grandi strombazzamenti ma poiché Milosevic, avvocato, aveva buone carte per difendersi, il processo finì nel nulla. O meglio: finì con una dubbia morte per infarto dello stesso Milosevic che aveva poco più di
sessant’anni.
Insomma, trionfa l’ipercapitalismo alla Milei o, per salire qualche gradino, alla Trump. Sono capitalisti alcuni Paesi che si dicono comunisti come la Cina di Xi o la Russia di Putin. Capitalismo di Stato, ma pur sempre capitalismo. Resiste la Cuba degli eredi di Fidel. Mi hanno indignato alcuni articoli di giornali italiani che definiscono Cuba “un universo concentrazionario”. Si dimentica cosa c’era prima del castrismo. Quel Paese era nelle mani del dittatore Battista che aveva fatto dell’isola un resort (tipo quello che Netanyahu e Trump vogliono creare a Gaza) per i piaceri dei ricchi americani che andavano a Cuba non solo per praticare il gioco d’azzardo ma per fare i loro sporchi affari. Del resto a Cuba, anch’essa sanzionata mille volte, pur tra mille difficoltà la sanità e l’istruzione sono gratuite. E la loro generosità i cubani la dimostrarono durante il Covid inviando in Italia una cinquantina di medici, spie naturalmente per i quotidiani italiani. Certo non c’è più Che Guevara che lasciò Cuba proprio perché il castrismo stava virando in una dittatura. E il medico argentino Che Guevara, dopo essere andato a combattere in un Paese non suo, Cuba appunto, tentò di
ripetersi andando a combattere in un altro Paese non suo, la Bolivia, un’impresa disperata in cui ci lascerà la pelle. Ma gli eroi romantici alla Guevara non esistono più.
Ci sono sì, Putin, Milei, e altri sporcaccioni che dominano il mondo. Ma noi che fummo anarchici e socialisti libertari in gioventù, e lo rimaniamo, diciamo “hasta la vista, hasta siempre, comandante Che Guevara”
Massimo Fini
(da il Fatto Quotidiano)
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