Giugno 10th, 2021 Riccardo Fucile
DA 14 GIORNI DECINE DI NAVI FERME IN RADA A YANTIAN, GRAVI RITARDI NELLE CONSEGNE, PREZZI ALLE STELLE
La foto, rubata da un marinaio, mostra decine di navi – in arrivo da tutto il mondo – da giorni in sosta davanti al porto di Yantian, nella Cina meridionale. Si erano dirette allo Yantian International Container Terminal, centro di smistamento delle merci tra i più avanzati del Paese, per fare il pieno di container. Ma le operazioni sono bloccate, causa coronavirus.
Casi di positività al Covid si registrano a Shenzhen, dove si trovano i porti strategici di Yantian e di Shekou, e a Guangzhou, dove c’è il porto di Nansha. Non sono molti, ma la severità dei cinesi nei controlli è ormai nota.
Tamponi sono in corso a tappeto anche tra il personale del porto di Yantian, dove pure c’è qualche positivo. Il contagio da variante Delta, molto insidioso, sta allarmando le autorità sanitarie.
L’attività portuale risente molto del problema. Con effetto domino, il blocco del porto di Yantian si è presto riverberato sugli scali cinesi satelliti. Ma l’intero sistema mondiale delle consegne comincia a risentire della crisi cinese. Al punto che la situazione sembra più grave rispetto a quella di Suez a marzo 2021, quando il traffico fu bloccato dall’avaria alla portacontainer Ever Given.
Camion automatici senza pilota caricano i container a Yantian
In un messaggio via LinkedIn, il danese Lars Jensen, esperto di trasporto marittimo, sostiene che i container fermi nei porti della Cina meridionale (tra cui Yantian) hanno già superato quelli del Canale di Suez dopo l’incidente alla nave Ever Given. In 14 giorni di crisi cinese, non hanno viaggiato circa 357.000 teu (il teu è l’unità di misura del trasporto dei container). La Ever Given fermò 55.000 teu al giorno, per solo sei giorni.
E le cose minacciano di peggiorare. Scrive il Corriere Marittimo che la compagnia di trasporto danese Maersk ha fermato 40 sue imbarcazioni già dirette a Yantian, dirottandole verso porti agibili, con ritardi ulteriori nelle consegne. E la stessa strategia viene messa in campo ormai dai trasportatori giapponesi della Ocean Network Express e dalla OOCL, compagnia di Hong Kong.
In questo scenario, il costo del trasporto marittimo sta volando alle stelle. La domanda, quella è forte perché tanti Paesi vivono una ripresa economica dopo l’uragano Covid, a partire dagli Stati Uniti. Nello stesso tempo, molti porti continuano a lavorare a basso regime, anche perché colpiti periodicamente da quarantene. Nel gioco tra domanda (alta) e offerta (bassa), a farne le spese sono i prezzi del trasporto, sempre più proibitivi.
(da agenzie)
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Giugno 10th, 2021 Riccardo Fucile
LA SINDACA: “CI STRINGIAMO ATTORNO ALLA FAMIGLIA”… UN’ALTRA DONNA DI 36 ANNI E’ RICOVERATA IN RIANIMAZIONE
È morta Camilla Canepa, la diciottenne di Sestri Levante ricoverata domenica al S.Martino di Genova dopo una trombosi al seno cavernoso e operata per la rimozione del trombo e ridurre la pressione intracranica. Era stata vaccinata con il vaccino di AstraZeneca il 25 maggio nell’open day per gli over 18.
“Purtroppo, poche ore fa, Sestri Levante è stata colpita da un lutto che mai avremmo voluto vivere – dice la sindaca di Sestri Valentina Ghio-. L’amministrazione comunale e tutta la città si stringono intorno alla famiglia della ragazza scomparsa oggi. In questo momento di dolore esprimo tutto il mio affetto e la mia vicinanza ai familiari di Camilla”.
La giovane era stata ricoverata al San Martino il 5 giugno per una trombosi dopo avere ricevuto il vaccino AstraZeneca il 25 maggio
È quanto vogliono verificare il pubblico ministero Stefano Puppo e l’aggiunto Francesco Pinto che hanno aperto un fascicolo senza ipotesi di reato sulla vicenda: il reato ipotizzabile sarebbe quello di lesioni colpose procedibile però solo a querela di parte. I magistrati hanno chiesto alla direzione sanitaria tutta la documentazione relativa all’iter vaccinale, ma anche a quanto successo dal primo accesso al pronto soccorso, passando per le dimissioni, e il secondo ricovero.
La ragazza aveva ricevuto il vaccino il 25 maggio nel corso di un Open Day. Il 3 giugno era andata una prima volta in pronto soccorso con cefalea e fotofobia. Quella volta però all’ospedale di Lavagna.
Secondo quanto dichiarato dai vertici ospedalieri, era stata sottoposta a Tac cerebrale ed esame neurologico, entrambi negativi, ed era stata dimessa con raccomandazione di ripetere gli esami del sangue dopo 15 giorni.
Il 5 giugno, però, è tornata in pronto soccorso con deficit motori. Questa volta però all’ospedale regionale di secondo livello, appunto al San Martino di Genova. Sottoposta a Tac cerebrale “ con esito emorragico”, era stata trasferita nel reparto di Neurochirurgia dove era stata sottoposta a due interventi chirurgici.
In Procura sono quattro i fascicoli aperti per persone morte dopo la vaccinazione. Il primo caso riguarda l’insegnante di 32 anni Francesca Tuscano a cui era stato inoculato Astra-Zeneca.
Intanto, l’altro ieri al San Martino è stata ricoverata una donna savonese di 34 anni che: mentre si trovava al lavoro nel Tigullio, ha avvertito un forte mal di testa e si è recata autonomamente al pronto soccorso del Policlinico. Dai primi esami effettuati, è emerso un livello basso di piastrine nel sangue. La donna ha riferito di essere stata vaccinata ad Alassio il 27 maggio scorso con la prima dose di AstraZeneca. Secondo quanto riferito dagli specialisti del San Martino, anche questa paziente è stata operata ed ora è in rianimazione.
(da La Repubblica)
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Giugno 10th, 2021 Riccardo Fucile
CREATA IN FRETTA E FURIA, CANCELLATA PER TROPPI ERRORI
Toni agiografici, voci prive di riferimenti e fonti esterne, violazione di copyright e, infine, la cancellazione. L’epopea della pagina Wikipedia della candidata vicesindaca a Roma Simonetta Matone
Che i nomi di Enrico Michetti e di Simonetta Matone circolassero da tempo nelle liste dei papabili candidati per il centrodestra nella corsa al Campidoglio romano è un dato di fatto. È però vero che, escludendo gli addetti ai lavori, si tratta di due nomi che fuori dal Gra (e forse anche all’interno) dicono ben poco. Tant’è che ieri, dopo l’annuncio della candidatura in ticket si è verificata la corsa a scoprire chi fossero.
Insomma, chi sono Michetti e Matone? Qual è il loro curriculum? Quali sono le loro pregresse esperienze? Che ruolo ricoprono nel centrodestra? Domande più che legittime per un potenziale elettore, ma anche per chi guarda alle elezioni del prossimo autunno come semplice curioso spettatore.
E dove si vanno a cercare queste informazioni? Sulla stampa nazionale e locale, certo. Ma anche su Wikipedia, per esempio.
Michetti, al momento, non ha una pagina a lui dedicata. Diversa invece l’epopea wikipediana della voce dedicata alla magistrata e candidata vicesindaca di Roma, Simonetta Matone.
Una voce enciclopedica che, nel corso delle ultime ore, è stata protagonista di una tragicomica vicenda nella sua compilazione. Già, perché subito dopo l’annuncio dell’accordo in «piena sintonia» raggiunto dal centrodestra sui due candidati, la pagina della sostituto procuratore generale della corte d’Appello di Roma è stata continuamente e posticciamente oggetto di modifiche.
I problemi della pagina di Wikipedia di Simonetta Matone
Bisogna tener a mente che la compilazione di una voce su Wikipedia richiede il rispetto didascalico delle regole della piattaforma, l’inserimento di fonti, dati e di collegamenti esterni a sostegno di quanto riportato nel testo. E richiede tassativamente che i contenuti non vengano copia-incollati da altre pubblicazioni. Insomma, un lavoro certosino e di cura. Cosa che non è accaduta sulla pagina di Simonetta Matone. Tant’è che la voce a lei titolata è stata inizialmente segnalata per ben tre violazioni delle norme.
La prima: sul tema del «diritto» la pagina risultava «orfana, ovvero priva di collegamenti in entrata da altre voci».
La seconda, simile alla prima: «Questa voce o sezione sull’argomento magistrati non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti».
E infine l’ultima, che va a violare uno dei capisaldi dell’enciclopedia digitale più usata al mondo: «La neutralità di questa voce o sezione sull’argomento politica è stata messa in dubbio». Il motivo? La «voce curriculare presentava toni agiografici».
Certamente il curriculum della magistrata romana è di tutto rispetto, ma le modalità con cui è stato riportato non erano idonee per una voce enciclopedica, che deve essere il più neutrale e meno autoreferenziale possibile.
Nella biografia wikipediana di Matone, solo per citare l’incipit, si poteva infatti leggere: «Laureata in giurisprudenza alla Sapienza di Roma nel 1976, dal 1979 al 1980 è vicedirettore del carcere presso Le murate a Firenze. Dal 1981 al 1982 è giudice presso il tribunale di Lecco e dal 1983 al 1986 è magistrato di sorveglianza Roma.
Fin dall’inizio della sua attività lavorativa, per lei la parola “giustizia lenta” non esiste: troppe persone aspettano, troppe cause, fascicoli che non possono rimanere chiusi in armadi per anni. Ha 26 anni, è scrupolosa e scioglie nell’ambito civile centinaia di riserve ereditate dei suoi predecessori. Tutti ricordano il suo lavoro svolto con attenzione, porta in Camera di Consiglio numerosi processi civili pendenti da anni ricevendo l’encomio del Consiglio dell’ordine».
Dai toni usati, secondo le linee guida di Wikipedia, la biografia di Simonetta Matone risultava essere più simile a una narrazione agiografica che una voce enciclopedica.
E se per tutto il pomeriggio e nella serata di ieri la voce è stata continuamente modificata e rimpinguata di informazioni non propriamente in linea con le regole dell’enciclopedia, stamattina la pagina di Matone risultava esser stata rimossa.
Perché? Perché oltre alle 3 contestazioni precedenti, il testo violava anche il copyright di pubblicazioni esterne, l’una di Sardegna Reporter, l’altra dell’Enciclopedia delle Donne. Insomma, servirà tempo e cura per la prossima campagna elettorale e per presentarsi agli elettori e alle elettrici.
Anche su Wikipedia, se proprio si vuole.
(da agenzie)
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Giugno 10th, 2021 Riccardo Fucile
PESA LA VARIANTE DELTA
I casi Covid nel Regno Unito hanno registrato un’impennata nella giornata di ieri, quando sono stati registrati 7.540 nuovi contagi: il massimo dal 26 febbraio scorso.
Sul nuovo aumento dei contagi sembra pesare la diffusione della variante Delta (finora nota come “indiana”) che si sta espandendo molto rapidamente nel Paese.
Nell’ultima settimana il rimbalzo dei casi di positività al Covid nel Paese ha toccato il 90 per cento in più. Restano limitati invece i casi gravi: sono solo 6 i decessi registrati tra l’8 e il 9 giugno, mentre il numero di ricoverati è di poco più di mille in tutti i reparti nazionali, ed è in aumento contenuto.
Il governo Johnson, preoccupato dalla possibilità di essere costretto a rinviare di un paio di settimane la prossima tappa di uscita dal lockdown fissata per il 21 giugno, ha immediatamente allargato la platea dei richiami.
Nel Regno Unito sono 28,5 milioni le persone che hanno completato il ciclo vaccinale, mentre 40,7 milioni di persone hanno avuto almeno una dose. L’Office for National Statistics ritiene che circa otto persone su 10 nel Paese abbiano anticorpi contro il coronavirus, perché guarite dal virus o perché vaccinate.
Il direttore del Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’ospedale San Raffaele di Milano Massimo Clementi all’Adnkronos Salute ha dichiarato: “La morale di quel che sta accadendo in Gran Bretagna è che una dose di vaccino non basta: ce ne vogliono due, il ciclo completo, per avere il massimo di protezione. La maggioranza dei soggetti infettati sono persone che hanno ricevuto solo la prima dose. C’è qualche contagiato anche con 2 dosi, ma pochi” e “l’Inghilterra aveva fatto una bandiera della scelta di vaccinare tanto con una dose”.
Con una variante di Sars-CoV-2 più problematica dal punto di vista della maggiore trasmissibilità, “come quella Delta” arrivata dall’India, “avere un’immunità più bassa, conferita da una sola dose, non è sufficiente”, spiega Clementi. “E in Gran Bretagna hanno ancora un buon numero di persone vaccinate con una dose, anche se stanno continuando la campagna d’immunizzazione anche loro in maniera estensiva e massiccia”.
(da agenzie)
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Giugno 10th, 2021 Riccardo Fucile
SEMBRA LA FILOSOFIA DELLO SMALTIMENTO DEI FONDI DI MAGAZZINO CHE NESSUNO VUOLE
Il foglio illustrativo sul vaccino AstraZeneca reso disponibile da AIFA il 2 giugno contiene un’avvertenza chiara anche per i non addetti ai lavori: “Coaguli di sangue molto rari, spesso in siti insoliti (ad es. cervello, intestino, fegato, milza), in associazione a bassi livelli di piastrine nel sangue, in alcuni casi accompagnati da sanguinamento, sono stati osservati dopo la vaccinazione con Vaxzevria […] La maggior parte di questi casi si è verificata nelle prime tre settimane successive alla vaccinazione e si è verificata principalmente in donne sotto i 60 anni di età. In alcuni casi questa condizione ha provocato morte”.
Una scoperta di queste ultime settimane? Assolutamente no. Già dal 25 marzo (quasi con le stesse parole) si poteva leggere il riferimento a questa “osservazione” nel foglio illustrativo.
Per questo mi sembrava perfino troppo timida la scelta di “consigliare” l’uso di AstraZeneca/Vaxzevria solo al di sopra di una certa soglia di età (nella circolare del Ministero della Salute del 7 aprile era “raccomandato un suo uso preferenziale nelle persone di età superiore ai 60 anni”).
E per questo, nel momento in cui alcune regioni, a partire dalla mia, cominciavano a lanciare open day e open week per la somministrazione proprio di questo vaccino ai più giovani, avevo criticato l’iniziativa: la possibilità di vaccinarsi prima, a condizione che si accettasse AstraZeneca/Vaxzevria, mi sembrava e mi sembra un incentivo discutibile.
Quel che era già stato osservato si è ripetuto. In rarissimi casi, per fortuna. Ma si è ripetuto. In Toscana e in Liguria ci sono giovani donne che lottano per la vita.
Ci sono due cose che mi sorprendono.
La prima è il moltiplicarsi di pareri di esperti che, adesso, invitano a procedere con cautela e a sospendere la somministrazione di questo vaccino ai giovani. Come ho ricordato, è almeno dal mese di marzo che la comunità scientifica sa di questi rarissimi casi.
Non è accaduto niente di diverso da ciò che, purtroppo, era lecito attendersi. E allora questi esperti ci dovrebbero spiegare non ciò che già sapevamo, ma perché non abbiano fatto sentire la loro voce – forte, chiara e magari univoca in modo da poter risultare più efficace – prima di open day e open week. Non per rallentare la campagna di vaccinazione. Ma per massimizzare per tutti il rapporto rischi/benefici.
E vengo così al secondo punto che credo non si possa tacere.
Si è deciso di incentivare i giovani ad accettare AstraZeneca/Vaxzevria (il vaccino che io ho fatto e che, a scanso di equivoci, considero un buon vaccino, anche se avrei preferito Pfizer o Moderna) anche perché non si è riusciti (e non si riesce) a vaccinare alcuni milioni di persone per i quali questa era la soluzione raccomandata e appropriata dal punto di vista della salute pubblica, in una situazione nella quale era necessario vaccinare il maggior numero possibile di persone nel più breve tempo possibile e non si voleva rinunciare, come hanno fatto altri paesi, al vaccino che implica questo rischio, che è insieme piccolissimo (i casi, come dice AIFA, sono “molto rari”) e grave (per le possibili conseguenze).
Perché? La spiegazione è semplice: è stata data priorità al principio in base al quale, soprattutto in questo ambito e con limitatissime eccezioni, nessuno deve essere costretto a fare ciò che non vuole. E infatti non ci si stanca di ripetere che i giovani in fila per AstraZeneca/Vaxzevria si sono presentati liberamente. Consapevoli di quel piccolissimo rischio.
Quanto è accaduto non è una imprevedibile fatalità. La Repubblica chiede il rispetto dei doveri di solidarietà (e il vaccino lo è durante una pandemia), ma non lo impone.
E così, mentre si cerca sempre solo di convincere gli ultrasessantenni, si propone ai giovani di correre (liberamente) il rischio di diventare uno di quei casi rarissimi dei quali da tempo si conosce l’esistenza.
Sarebbe più corretto, se si ritiene che la minaccia della pandemia non sia tanto grande da costringere a mettere in questione il principio della non obbligatorietà (e io ho qualche dubbio), rinunciare comunque all’uso di questo vaccino nella fascia di età per la quale non è “raccomandato”. E questo è quello che probabilmente accadrà.
Ma allora sarebbe stato giusto farlo dal primo momento. Impegnandosi a incentivare i più anziani e non i più giovani a fare ciò che è giusto per il bene di tutti oltre che di se stessi. Anche quando non ci convince fino in fondo o può comportare un piccolo rischio.
Ha ragione il presidente Mattarella: la pandemia ci ricorda che ognuno di noi ha bisogno degli altri. Forse è anche questo un modo per dimostrare che abbiamo capito la lezione.
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2021 Riccardo Fucile
LA SPUNTA LA MELONI NELLA SCELTA DEL CANDIDATO PER LA CAPITALE
La Capitale c’est moi. Alla fine sul tavolo del centrodestra non ci sono i sondaggi da comparare, le sudate carte, i titoli: “La parola della Meloni è stata prevalente”, riassume uno dei partecipanti al vertice.
“I nomi andavano bene entrambi. E la Matone è stata disponibile al ticket”. E’ ufficiale: il candidato sindaco di Roma sarà Enrico Michetti, avvocato, fondatore della Gazzetta Amministrativa, e soprattutto voce di Radio Radio, popolare emittente capitolina, in cui mescola colte citazioni di Seneca a pillole sulla pubblica amministrazione, poesie composte da lui a omaggi alle Forze Armate.
Soprannominato “Michetti chi?” dai detrattori, amato dai tassisti, mentre un comunicato della coalizione sanciva la scelta e il telefonino ribolliva, il candidato già ringraziava in diretta radiofonica “l’affetto della città e degli ascoltatori”.
Gaffes, dubbi dal sapore negazionista sul covid, una certa vaghezza curriculare: tutto trascorso. “Cessiamo ogni forma di odio, stringiamo le mani a tutti. Farò una campagna elettorale civilissima, parlerò solo di programmi”.
Ci sono “valanghe di messaggi”. Michetti si commuove: “E’ una scelta inaspettata, forse è emblema di pulizia e voglia di fare. Sono un civico, mi ritrovo nell’adesione ai valori della patria. Mi metto a disposizione della città”. “Per ridare orgoglio, efficienza, lavoro, futuro e decoro a Roma. Se Sgarbi farà l’assessore alla Cultura abbiamo un tridente, Michetti, Matone, Sgarbi”, ha detto il segretario della Lega Matteo Salvini per ritagliarsi un ruolo da protagonista.
Finisce – o per certi versi comincia – così. Dopo Fini e Alemanno, in campo c’è Michetti. Non chiamatelo populista, è pop. E’ la prima volta che a “scegliere” il candidato è una radio. A sceglierlo davvero, però, è stata la leader di FdI. Glielo ha presentato Trancassini dopo che “il prof” ha tenuto un corso di diritto per i parlamentari FdI, lo ha annusato, apprezzato, fatto valutare al suo inner circle, quasi imposto agli alleati: “E’ il nostro Mister Wolf”. Ex ante, un paragone che appare ardito.
Come, dal lato avverso, quello di chi le rimprovera un’infatuazione, quasi un capriccio, come se avesse la testa alle Regionali più che al Campidoglio. Spingendosi all’evocazione metaforica del cavallo prediletto di Caligola, che – leggenda narra – l’imperatore avrebbe sognato console preferendolo a più titolati bipedi. Posso, dunque voglio.
Comunque la si legga, una giornatona per Meloni. Incassa il suo nome per Roma, la presidenza del Copasir che finalmente si sblocca (senza i voti della Lega: non un’intesa, ma una resa) e un sondaggio della Ghisleri che vede FdI al19,8 piazzandosi seconda dopo il Carroccio al 21.5%. E’ lei che a fine vertice si ferma a ragguagliare i giornalisti: “Siamo compatti e determinati. Sul Copasir? Spero che la Lega torni presto a collaborare”. Salvini, nel frattempo, si dedica a un post sul turismo accessibile alle persone con disabilità.
L’ennesimo round a destra si chiude con fumata bicolore. Bianca per Roma, dove il magistrato minorile Simonetta Matone sarà candidata “prosindaco”, e Torino (dove in realtà l’imprenditore Paolo Damilano è stato ufficializzato, ma si era deciso da tempo), nera per Milano.
Sotto la Madonnina, Salvini ha un nome civico che mantiene ancora coperto: uscirà in settimana, altrimenti resta favorito Maurizio Lupi. Mentre al capogruppo azzurro Occhiuto manca solo l’ufficialità per correre in Calabria.
Michetti invece è già partito. Chi lo ha incontrato a tu per tu lo racconta diverso dal “tribuno della plebe” che incarna. Furbo, empatico, accattivante: “Un democristianone”. Altro che “destra-centro”.
Ricordando che Mattarella lo ha nominato cavaliere al merito su proposta dell’allora premier Gentiloni. L’autostima non gli fa difetto: “Ho inventato una rubrica, si chiama La Pulce e il Prof” rallegrò gli ascoltatori anni fa. Adesso è il turno della “grande avventura per restituire alla Città Eterna il ruolo di Caput Mundi”.
Partenza con understatement: “Dobbiamo dare una spolverata a questa città e riportarla agli antichi fasti, al tempo dei Cesari e dei grandi papi. Farla tornare città della scienza e della cultura. Ognuno si deve sentire come San Paolo quando disse ’io sono cittadino di Roma”.
(da Huffingtonpost)
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Giugno 9th, 2021 Riccardo Fucile
LAMENTANO SCARSA MANUTENZIONE MA POI VOGLIONO BLOCCARE I LAVORI… L’ETERNO DERBY SICUREZZA/ECONOMIA
Alle quattro del pomeriggio le agenzie danno notizia della soddisfazione, mista a irritazione, del sindaco di Rapallo Carlo Bagnasco: gli operai di Autostrade sono finalmente intervenuti per ripristinare il viadotto dell’A12 da dove, poco più di 24 ore prima, si era staccata una piastra di metallo.
Il primo cittadino rivendica le sue “numerose ed esasperate richieste” e bolla come “incomprensibile” il fatto che si intervenga “solamente a posteriori”.
Mezz’ora dopo le agenzie riportano una notizia che arriva sempre dalla Liguria: i sindaci della Regione, dei quali fa parte anche il primo cittadino di Rapallo, chiedono la sospensione immediata di tutti i cantieri aperti sulle autostrade e si dicono pronti a sequele di ordinanze per bloccarli se la loro volontà sarà disattesa.
Forse è sfuggito, però, che i cantieri servono a mettere in sicurezza le gallerie. E a non intervenire “solamente a posteriori”, per dirla con le parole del sindaco.
Sempre i sindaci liguri dicono che i cantieri vanno bloccati per scongiurare “il default di un’economia in lenta ripartenza” e che le chiusure dovute ai lavori, anche quelle programmate, mettono in difficoltà un territorio desideroso di accogliere i turisti che vogliono visitare “le meraviglie e assaporare le eccellenze enogastronomiche di cui è felicemente pregna la Regione, da Ponente a Levante”.
Sono le ragioni, legittime, dell’economia. Forse, però, gli stessi sindaci hanno dimenticato che i nove cantieri attivi questa settimana in Liguria fanno parte di quella manutenzione straordinaria chiesta a gran voce, e altrettanto legittimamente, il 30 dicembre 2019, quando crollò la volta della galleria Bertè sulla A26.
Ancora i primi cittadini dicono che se le manutenzioni sono necessarie per la sicurezza dei viaggiatori, allora “qualcuno si deve assumere la responsabilità di certificarne l’indispensabilità”.
Qui quello che non si ricorda è che il ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture ha da tempo programmato i cantieri e l’ha fatto perché sono indispensabili per prevenire crolli e incidenti.
A meno che – ma questo dovrebbero certificarlo i sindaci – qualcuno al Governo abbia deciso di autorizzare lavori che non servono. Nel caso ci troveremmo di fronte a un inedito e davvero incomprensibile atto di autolesionismo: ci sono poche situazioni che creano problemi di consenso politico come le file sulle autostrade degli italiani che impiegano ore per arrivare in Liguria.
In ogni caso i sindaci sono determinati e, come si diceva, pronti a bloccare i cantieri con le loro ordinanze. Sarà una dimenticanza, ma è utile ricordare che potranno farlo per i cantieri sulla via Aurelia, di competenza dell’Anas, ma non su quella gestita da Autostrade per l’Italia, che risponde al ministero dei Trasporti.
Chi può bloccare i cantieri in questo caso è solo il ministero. Lo stesso ministero che dice che quei cantieri devono andare avanti spediti.
Ogni settimana si riunisce un tavolo tecnico. A questo tavolo siedono i rappresentanti del ministero, quelli di Autostrade, ancora quelli della Regione Liguria e della prefettura di Genova.
E da circa un mese tutti concordano (il ministero un po’ controvoglia) che i cantieri in Liguria si chiudono durante il week end. Alle due di pomeriggio di venerdì si fermano i lavori, si smonta tutto e si apre al traffico fino a lunedì pomeriggio.
Poi si rimonta tutto e i lavori riprendono fino al venerdì successivo. Una soluzione di buon senso per permettere un fine settimana senza disagi. I sindaci chiedono però la chiusura dei cantieri fino a novembre, tutti i giorni. Così, però, significa che la manutenzione viene rimandata di sei mesi.
Infine un piccolo ripasso sui cantieri attivi. Entrare dentro è forse il modo migliore per “certificarne l’indispensabilità”, per dirla con le parole dei sindaci.
Partiamo dal numero delle gallerie perché tante gallerie significa, a livello statistico e potenziale, che i rischi di cedimento o di incidenti sono maggiori rispetto a un territorio con poche gallerie.
La Liguria ha più del 50% delle gallerie italiane: 285 sulle 587 presenti sull’intera rete nazionale gestita da Autostrade. Sono 1/4 di quelle di tutta Europa.
E passiamo ai lavori. Autostrade ha completato i controlli di primo livello in tutte le 285 gallerie. Sono quello di tipo visivo, fatte dal tecnico con il supporto di georadar e laserscanner. Il tecnico va dentro la galleria, sale su una piattaforma, e picca sulla volta per vedere se c’è acqua o se si sono formati dei vuoti. Questi primi controlli permettono di fare interventi immediati e urgenti con il calcestruzzo o installando reti di protezione.
Quello che è in corso ora nelle gallerie della Liguria è il controllo di secondo livello: si fanno i cosiddetti carotaggi per avere una sorta di tac più affidabile dello stato di salute del tunnel.
A sollecitare questo tipo di intervento, più di una volta, è stato il ministero dei Trasporti, a ulteriore conferma che la certificazione dell’indispensabilità già c’è. Forse basterebbe solo il crollo del ponte Morandi a ricordare quanto la manutenzione è centrale. Però anche questo, forse, è sfuggito ai sindaci.
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2021 Riccardo Fucile
LO SCOOP DEL SITO STATUNITENSE PROPLUBICA: NOTI MILIARDARI PAGANO DALLO ZERO AL TRE PER CENTO DI IRPEF
I 25 uomini più ricchi d’America (e del mondo) pagano poche o nessuna tassa sul reddito: Jeff Bezos (Amazon), Mark Zuckerberg (Facebook, Instagram, Whatsapp), Elon Musk (Tesla), Bill Gates (Microsoft), Michael Bloomberg, Rupert Murdoch, George Soros, Warren Buffett e gli altri hanno versato 13 miliardi di irpef federale nel 2014-2018 su un reddito complessivo di 400 miliardi.
La loro aliquota, quindi, è poco più del 3%.
Ma grazie a una sapiente e legale elusione fiscale, alcuni ricchissimi sono addirittura scesi a zero. Come Musk, la seconda persona più ricca del mondo, che nel 2018 non ha pagato neanche un cent. Buffett ha versato lo 0,1% sui 24 miliardi di crescita della propria ricchezza dei cinque anni esaminati: 23 milioni.
L’aliquota di Bezos è stata dell′1%, quella di Bloomberg dell′1,3%, per tre anni Soros è riuscito a stare a zero.
Com’è possibile? L’aliquota massima dell’imposta sui redditi negli Usa è del 37%. La famiglia media americana paga il 14% di tasse federali su un reddito di 70mila dollari. Ma i miliardari dichiarano una minima frazione di reddito annuo rispetto al patrimonio (soprattutto azioni) che non può essere tassato finché non è liquidato.
E, soprattutto, beneficiano di miliardi in deduzioni: scaricano praticamente tutte le spese, dagli aerei privati ai palazzi e ville, fino alle fondazioni di beneficienza e ai finanziamenti per i musei.
Nel 2011, per esempio, la ricchezza di Bezos aumentò di 18 miliardi, ma lui dichiarò un bilancio in rosso, denunciando perdite sugli investimenti. Così riuscì a ottenere perfino 4mila dollari in assegni familiari per i figli.
È evidente che il sistema non può continuare così. Il presidente Biden annuncia una riforma delle leggi fiscali. Ma il sito ProPublica è pessimista: “Non serve aumentare le aliquote massime, se non si disbosca la giungla delle detrazioni e dei trust ai Caraibi”.
Da tempo si sapeva delle astronomiche diseguaglianze che piagano gli Stati Uniti degli ultimi decenni. In confronto ai miliardari di oggi, i Rockefeller, Carnegie e Vanderbilt un secolo fa erano dei poveracci. Nel 2011 Buffett chiese a Obama di pagare più tasse: “Ho guadagnato tre miliardi, mi avete chiesto solo sette milioni”.
Ma solo ora, con i documenti dell’Irs (Internal Revenue Service, la nostra Agenzia delle entrate) pubblicati da ProPublica in barba alla privacy dei ricchissimi, ci sono cifre sconvolgenti a sostanziare denunce generiche.
Particolarmente fastidiosa risulta la pretesa dei Paperoni di spacciarsi pure per filantropi. Il velo sollevato sulla fondazione Gates dal divorzio fra Bill e Melinda comincia a rivelare aspetti deplorevoli.
A New York e nelle altre metropoli americane si è sviluppata una vera e propria industria dei “charity gala”, le feste di fundraising per le buone cause più disparate con cui i ricchi si lavano la coscienza. E con cui aumentano le deduzioni fiscali per guadagnare ancora di più.
Secondo Forbes nei sedici mesi dell’epidemia Covid, mentre centinaia di migliaia di americani morivano e milioni perdevano il lavoro, i miliardari Usa hanno accumulato altri 1.200 miliardi di guadagni. Inconcepibile, per un impero nato 245 anni fa e cresciuto grazie a due parole: libertà, ma anche eguaglianza.
(da agenzie)
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Giugno 9th, 2021 Riccardo Fucile
PER 94 KM UN COSTO DI OLTRE 12 MILIARDI, TRE VOLTE IL PONTE DI MESSINA PER LA VANAGLORIA DI ZAIA
Una Superstrada di circa 94 km rischia di costare allo Stato 12 miliardi e 108 milioni di euro. Tre volte il costo del Ponte di Messina.
È la cifra che la Regione Veneto, spalmata in 39 “scomode” rate, dovrà corrispondere al concessionario. Il calcolo non è nostro. È della Corte dei Conti e risale a qualche mese fa. Il fatto nuovo è che il ministro dei Parlamento Federico D’Incà ora ha posto ufficialmente la questione.
«La sostenibilità finanziaria del progetto potrebbe essere messa in difficoltà dai mancati incassi derivanti dai pedaggi che la Regione dovrebbe incassare. Non ci siamo».
Stiamo parlando della Pedemontana, costata 2 miliardi 258 milioni, 935 alle casse pubbliche e 1.344 ai privati. Un’idrovora che aspira denaro, completata per ora solo al 70%. Se si pensa che il Ponte sullo Stretto, di cui si parla da mezzo secolo, costerebbe circa 4 miliardi di euro si capirà perché le preoccupazioni suffragate dai calcoli e dalle stime dei tecnici possono trovare una sponda a Palazzo Chigi
Lo scetticismo e i dubbi accompagnano l’opera sin da quando fu inserita nel piano regionale dei trasporti della Regione Veneto, anno domini 1990. Per brevità salteremo gli altri passaggi: revoche, sequestri modifiche al progetto preliminare, fino al bando di project-financing del 2006 e all’aggiudicazione della gara nel 2009.
Per accelerare le operazioni l’anno seguente fu addirittura dichiarato lo stato di emergenza nel settore del traffico e della mobilità dei comuni di Treviso e Vicenza ma era ormai chiaro che il livello dell’acqua si stava alzando e si rischiava un secondo Mose.
Non per le inchieste o per le mazzette ma per i tempi biblici e i rilievi circa l’utilità dell’opera – un fiore all’occhiello per i leghisti – destinata ad alleggerire dal traffico un territorio simile ad una metropoli diffusa.
«Studiammo all’epoca – ricorda Laura Puppato ex senatrice Pd e ex sindaca del comune di Montebelluna – che il 76% del traffico riguardava un raggio di percorrenza inferiore ai 30 km. Da qui la domanda era proprio indispensabile? L’ultima volta che ho percorso la Superstrada, venerdì scorso, negli ultimi 30 km ho incontrato solo tre moto, un furgone e due auto. Si è sbagliato tutto quello che era possibile sbagliare. Neanche da ubriachi si poteva firmare un accordo così».
La questione si trascina da anni. La difficoltà per il concessionario privato a far fronte al closing finanziario (reperimento di finanziamenti) a seguito della decisione di Cdp e Bei di non partecipare al finanziamento.
Decisione maturata sulla base di uno studio di traffico commissionato ad hoc. Le stime, infatti, sono ampiamente inferiori a quelle poste a base della convenzione e, conseguentemente, i presidi contrattuali che imponevano alla Regione il riequilibrio del piano economico e finanziario sarebbero stati, sotto questo profilo, troppo onerosi per la Regione.
Nel 2017, terminata la gestione commissariale con subentro della competenza gestionale della Regione, con la stipula del Tac (Terzo atto convenzionale) ed alla luce delle nuove clausole contrattuali, si è però osservato che avendo fortemente inciso sulle modalità di remunerazione del concessionario (e della Regione che a sua volta avrebbe incassato interamente il pedaggio) restava comunque un eccesso di remunerazione del concessionario, il quale, a fronte di un costo dell’opera inferiore a 3 miliardi avrebbe avuto diritto ad incassare, nell’arco dei 39 anni, da parte della Regione Veneto, un canone di disponibilità pari ad oltre 12 miliardi!
IL CONTRATTO CAPESTRO. L’INCOGNITA DEI PEDAGGI
In termini teorici, il nuovo schema contrattuale, secondo il quale il canone di pedaggio è oggi da incassare dalla Regione è in contraddizione con la ratio originaria della finanza di progetto (project financing) non essendo a sua volta il concessionario privato assoggettato al rischio di mercato (e percependo quest’ultimo in modo certo il cosiddetto canone di disponibilità). In pratica, il concessionario ci guadagna senza rischio d’impresa.
Per contro, gli esborsi monetari a carico della Regione nel corso dei 39 anni di gestione non sono suscettibili di stima certa, poiché la precisa determinazione è rimessa alla formula dell’accordo. Che comprende, ad esempio, il tasso d’inflazione annuo ma soprattutto gli introiti a favore della Regione derivanti dai pedaggi.
Ci sono poi altri fattori che conferiscono instabilità ed incertezza alle stime di traffico: le previsioni dei tempi di realizzazione delle interconnessioni con le autostrade A4, A31 e A27. La piena funzionalità della “Pedemontana Veneta” presuppone la interconnessione diretta con le autostrade. Si dà il caso, però, che la realizzazione dell’interconnessione faccia prevedere ritardi nella esecuzione dei lavori, il cui completamento è allo stato degli atti indicato nel mese di giugno 2023.
VELOCITÀ MASSIMA 110KM/H
Il difetto d’interconnessione con l’A4 e/o il disallineamento dei tempi di realizzazione del raccordo rispetto all’entrata in esercizio della Superstrada giustifica la previsione della diminuzione delle stime di traffico. Da computare, secondo uno studio commissionato dalla Regione nel 2019, nella misura del 13%. E non è finita: la modifica della velocità di percorrenza da 110 km/h a 130 km/h non è stata ancora conseguita dalla Regione. Non risulta ancora definita la richiesta di riclassificazione infrastrutturale, essendo oggi prevista ancora una velocità di percorrenza di 110 km/h. Altro elemento che contribuisce a ridurre gli utenti. Di questo passo sarà molto improbabile che l’ultima tratta venga completata dal consorzio SIS, formato per il 51% dall’italiana Fininc e per il 49% dalla spagnola Sacyr .
Che fare, dunque? Il nastro non si può riavvolgere. È stato tagliato a colpi di inaugurazioni un pezzo alla volta, l’ultimo per il tratto Bassano-Montebelluna.
E quasi sempre dalla stessa persona, il governatore veneto Luca Zaia. Finché le critiche arrivavano dall’opposizione e dai comuni amministrati dal centrosinistra, pazienza. È il gioco delle parti.
Ma i dubbi arrivano ora da Palazzo Chigi e hanno la sostanza di un dossier completo di annotazioni, volumi di traffico, tariffe. Il pedaggio per la tratta già in funzione è di 0,16,420 euro km per le auto e di circa 0,30 euro per i veicoli pesanti. Troppi. «Ma i conti si pareggiano – ricorda D’Incà – solo se circolano 27 mila veicoli al giorno».
Senza una rivalutazione dei profili di economicità e di congruità, correlati all’aggiornamento delle situazioni di fatto, andare avanti in questo modo sarà come guidare un’auto nella notte a fari spenti. È questo che vogliono i veneti?
(da Quotidiano del Sud)
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