Novembre 20th, 2011 Riccardo Fucile
COSA SI ASPETTA A RESTITUIRE I LOCALI AL COMPLESSO MONUMENTALE?… SE CALDEROLI VUOLE OPPORSI, INVECE DI INCENDIARE FALDONI PATACCA A ROMA, SI DIA FUOCO PER PROTESTA NEI GIARDINI ANTISTANTI LA VILLA, COSI’ ENTRERA’ NELLLA STORIA DELLA PADAGNA DEL MAGNA MAGNA E LE SUE CENERI SARANNO SPARSE NEL PO
L’ultimo segnale di vita risale a più di un mese fa, ma il sindaco leghista di Monza, Marco Mariani, non ci sta a dare per morti i ministeri aperti la scorsa estate in Villa Reale.
Da giorni i vertici del Carroccio sono scesi in trincea per difendere l’operazione e il borgomastro non è stato da meno lanciando un invito a Mario Monti, neo presidente del Consiglio: «Rispetti i principi del decentramento e non li chiuda».
Il futuro di quei cento metri quadrati attorno ai quali fra luglio e settembre si è scatenata una polemica culminata in uno scontro istituzionale fra il Presidente della Repubblica Napolitano e l’ex premier Berlusconi è nelle mani di Palazzo Chigi.
Dalla scossa estate a oggi la disponibilità di quelle tre stanze, prive fra l’altro di toilette, è passata dal Consorzio per la gestione della Villa al ministero dei Beni Culturali e da questo alla presidenza del Consiglio, che poi la «girò» ai ministeri senza portafoglio per le Riforme e per la Semplificazione normativa, di cui erano titolari Bossi e Calderoli (poi si sono aggiunti l’Economia e il Turismo).
Dunque, chi dovrà decidere cosa farne è Monti.
E a lui il borgomastro si è rivolto, convinto fino in fondo della necessità di mantenere vivo il progetto per favorire la ripresa dell’economia del territorio. «La Lombardia è una delle regioni più sviluppate dell’Europa – aggiunge – e la Brianza ha una concentrazione tale di imprese che chiudere i ministeri non avrebbe senso».
L’obiettivo della Lega era di avvicinare le istituzioni ai cittadini e alle imprese.
I numeri, tuttavia, dicono che in due mesi e mezzo di vita gli uffici decentrati sono finiti sotto i riflettori una mezza dozzina di volte, principalmente per accogliere manifestazioni di protesta o per ospitare riunioni della Lega.
Di imprenditori e cittadini, fuori dalla porta in attesa di parlare con Calderoli o Bossi, non se ne sono mai visti.
Sia Confindustria che Camera di commercio si sono sempre dimostrate molto tiepide e il centro-sinistra non ha mai perso l’occasione per sottolineare come alla fine venissero trattati alla stregua di sedi di partito.
Adesso, sul loro destino pesa la dichiarazione di incostituzionalità fatta dal capo dello Stato la scorsa estate (violazione dell’articolo 114, quello che sancisce Roma capitale) e una sentenza del Tribunale di Roma che li ha chiusi a doppia mandata per comportamento antisindacale della presidenza del consiglio: nessun dipendente di Palazzo Chigi può essere trasferito a Monza per il semplice motivo che il personale non è stato avvisato dell’istituzione dell’ufficio decentrato.
Inoltre, il neo premier Monti non solo ha cancellato il ministero alle Riforme di Bossi, che avrebbe dovuto rappresentare lo snodo centrale verso il federalismo, ma ha dato vita al nuovo dicastero alla Coesione territoriale, considerato come un vero e proprio affronto alla Lega.
I «lumbard», però, non hanno intenzione di arretrare e l’ex ministro Calderoli è arrivato a minacciare l’autodeterminazione se da Roma non dovessero arrivare segnali favorevoli al mantenimento in vita dei ministeri del Nord.
La presa di posizione ha subito provocato la reazione del Pd. «Al nostro territorio e al nostro paese non servono provocazioni ma responsabilità – replica Gigi Ponti, segretario provinciale del Pd -. Ai cittadini non interessano l’autodeterminazione, i parlamenti del Nord, la difesa di fantomatici uffici ministeriali che hanno suscitato l’interesse solo di chi li ha aperti».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia. «La Villa è un bene troppo importante per svilirlo con funzioni senza senso – conclude Di Simine. Mi auguro che quei cento metri quadrati vengano reintegrati al più presto nel complesso monumentale che deve essere valorizzato con iniziative culturali di prestigio».
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Novembre 16th, 2011 Riccardo Fucile
MONTI HA FINALMENTE ELIMINATO LA MARCHETTA LEGHISTA, MANGIATOIA PER LE TRUPPE PADAGNE… ORA CI SARA’ UN MINISTERO ALLA COESIONE TERRITORIALE COME IN TUTTI I PAESI CIVILI
Scompare con il nuovo governo di Mario Monti il ministero più caro a Umberto Bossi, il
ministero del Federalismo, sostituito con un più ecumenico dicastero per la Coesione territoriale.
Un scelta annunciata da parte di Mario Monti («Cerco la coesione tra nord e sud» aveva dichiarato nei giorni scorsi) e quasi scontato con il passaggio della Lega all’opposizione.
«Se il buongiorno si vede dal mattino allora è notte fonda e sarò felice di votare contro la fiducia al prossimo esecutivo», ha commentato il coordinatore delle segreterie nazionali della Lega Nord, Roberto Calderoli.
«Nulla da eccepire sulla qualità e sul livello delle singole persone nominate ma il riscontrare la nascita di un ministero per la coesione territoriale significa aver creato il ministero del centralismo- ha aggiunto Calderoli – ovvero che ancora una volta il Nord verrà spremuto per garantire a qualcuno di continuare a mangiare a sbafo”.
Fa sorridere che sia proprio lui, campione del mangiare a sbafo da anni con un ministero patacca, quello della Semplificazione del nulla, che solo Berlusconi poteva creare per assicurare uno stipendio a lui e alle decine di dipendenti al seguito, a parlare di roditori.
Il povero (si fa per dire) marito della signora Gancia evidentemente si intende più di spumantini che di spremute, visto che ci stanno pensando gli elettori a spremere i voti leghisti (dal 13% all’ 8% in pochi mesi) mentre lui continua a farneticare di “centralismo” e “federalismo” come se il problema non fosse invece tra “corretta e non corretta amministrazione”.
Il suo federalismo patacca sta solo producendo aumenti delle tasse locali, altro che soluzione miracolistica.
L’ex ministro dimentica persino che un dicastero simile esisteva già nel governo Berlusconi: Raffaele Fitto infatti era a capo del ministero per gli Affari regionali e la coesione territoriale. La denominazione della seconda parte è identica.
Forse lo stare lontani dal potere e dalle banche sta già determinando una crisi di astinenza in via Bellerio e Calderoli era sprovvisto di metadone.
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Settembre 28th, 2011 Riccardo Fucile
INSORGONO SINDACI E GOVERNATORI: “COLPA DELLA MANOVRA”… NEL MIRINO I COMUNI DI GENOVA, BOLOGNA E MILANO, LA PROVINCIA DI ROMA, LE REGIONI SICILIA, EMILIA, LIGURIA… PESANO I TAGLI E LA MANCANZA DI CERTEZZE SULLE ENTRATE DEL FEDERALISMO
Dopo il giudizio negativo espresso sul debito pubblico dell’Italia e su sette delle sue banche ora è il momento degli enti locali.
La mannaia di Standard and Poor’s questa volta si è abbattuta su Comuni, Province e Regioni.
Undici enti, ieri sbalzati un gradino più sotto di quello sul quale fino ad ora poggiavano.
La loro affidabilità creditizia, secondo l’agenzia, è passata da A+ ad A; il loro outlook (le previsioni sul futuro) è considerato negativo.
Si tratta delle Province di Roma e Mantova, delle Regioni Sicilia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Umbria e Marche e dei Comuni di Genova, Bologna e Milano.
Anche per la città di Torino è stato rivisto – da stabile a negativo – l’outlook, ma per i debiti a lungo termine è stata riconfermata la A.
Rating di lungo termine in discesa e outlook negativo riconfermato pure sui bond emessi dall’Umbria (con scadenza 2017, 2018 e 2019), dalle Marche (scadenza 2018) e per i titoli della Sicilia con scadenza 2016
In molti casi sembrerebbe trattarsi di enti «insospettabili», considerabili finanziariamente più solidi rispetto a molti altri.
Ma il ragionamento che fanno le agenzie di rating si può riassumere nel detto «chi meglio sta più rischia».
In un quadro come quello attuale – visto il Paese sotto schiaffo – sono infatti considerati più in pericolo gli enti locali che fino ad oggi avevano avuto i giudizi migliori.
La lettura è legata a due motivi: il primo è che le agenzie – anche se non c’è una legge scritta – ritengono che Comuni, Regioni, Province non possano avere «voti» più alti rispetto a quelli che loro stesse hanno assegnato al debito pubblico dello Stato cui appartengono.
Il secondo è che – visti i nuovi tagli inseriti in manovra e la mancanza di certezza sulle entrate del federalismo – la dipendenza degli enti dai trasferimenti dello Stato aumenta.
Per chi stava messo male la situazione cambia poco, ma per gli altri l’allarme un tempo lontano ora si fa sentire.
Il fatto è che il declassamento delle emissioni obbligazionarie degli enti potrebbe tradursi in un aumento della spesa per interessi.
Conseguenza molto sgradita e, a detta di tutti gli enti, dovuta a esclusivamente a cause «estranee» alla loro gestione.
«Purtroppo paghiamo la situazione del paese» ha commentato Claudio Burlando, presidente della Liguria, riassumendo lo stato d’animo di tutti i sindaci e presidenti coinvolti.
L’abbassamento del rating, in realtà , non è un fulmine arrivato a ciel sereno.
Solo pochi giorni fa Moody’s, l’altra delle tre agenzie (c’è anche Fitch) che dettano legge sui giudizi di affidabilità , aveva avvertito che le manovre estive del governo «appesantivano ulteriormente» i conti di Comuni, Regioni e Province considerati «già allo stremo».
I 7 miliardi di budget tagliati fra 2011 e 2012 e l’anticipo al 2013 per il pareggio di bilancio non potevano che rendere le cose ancora più difficili, quindi – aveva lasciato intendere l’agenzia americana – un ritocco verso il basso era più che probabile.
Ma il declassamento ora renderà ancora più tesi i rapporti fra enti e Stato centrale. Osvaldo Napoli, presidente facente funzioni dell’Anci, avverte: l’abbassamento del rating avrà come inevitabile corollario l’aumento delle tasse che i cittadini saranno chiamati a pagare per gli interessi sul debito dei Comuni.
«Un aumento che non è imputabile in alcun modo agli amministratori locali – precisa Napoli – bensì a scelte prese a livello nazionale».
Bruno Tabacci, assessore al Bilancio di Milano precisa che «non ci dovrebbero essere conseguenze per i mutui già in contratto», ma che ci sarà un maggiore peso per le casse del comune nel caso se ne sottoscrivessero di nuovi.
«Visto però che anche le banche italiane sono state di recente declassate, il differenziale non muta».
Luisa Grion
(da “La Repubblica“)
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Agosto 24th, 2011 Riccardo Fucile
NEL 2006 SI DECISE DI RIDURRE LE OSPEDALIZZAZIONI A 160 OGNI 1000 ABITANTI…MA PER COMPENSARE I MANCATI INTROITI DELLE CLINICHE PRIVATE LA REGIONE HA FISSATO DEI BONUS CHE DI FATTO GARANTISCONO GLI STESSI INTROITI LAVORANDO MENO
Duecento milioni in 4 anni: tanto ha pagato il Veneto alle cliniche private convenzionate per fare meno ricoveri.
Nel 2006 si stabilisce che le ospedalizzazioni devono scendere a 160 ogni mille abitanti.
E così con una delibera – assessore alla Sanità l’attuale sindaco di Verona Tosi – si prevedono bonus per chi rispetta l’impegno.
Duecento milioni di euro: a tanto ammonta la cifra pagata dalla regione Veneto in 4 anni alle cliniche private convenzionate per essere riuscite a fare meno ricoveri ospedalieri.
Non si tratta di un errore, ma del risultato di tre delibere regionali votate tra il 2006 e 2010.
Nel 2006 infatti il Patto per la Salute tra Stato e Regioni stabilisce che il numero di ricoveri ospedalieri deve scendere a 160 ogni mille abitanti, in modo da far diminuire il debito sanitario. Cosa che ovviamente sarebbe venuta ad incidere sugli introiti delle cliniche private convenzionate, pagate fino a quel momento dalla Regione sulla base del numero dei ricoveri fatti.
Ma con la prima delibera 4449 approvata il 28 dicembre 2006 dalla giunta di centrodestra, con Flavio Tosi (attuale sindaco di Verona) assessore regionale alla sanità e presieduta in quell’occasione dall’allora vicepresidente del Veneto Luca Zaia, la regione ridefinisce i tetti di spesa per il triennio 2007-2009 anche per le strutture private accreditate.
Così, per ciascun erogatore privato pre-accreditato che rispetta il tetto dei ricoveri, viene previsto un incremento finanziario, una sorta di ‘bonus’, calcolato sul valore del budget annuale regionale, che è dell’8% per il 2007.
A questa cifra si aggiunge per il 2008 un altro incremento finanziario del 3,17%, arrivando così all’11,17%; del 3,23% per il 2009 (dunque il 14,4% in totale), e un altro 1,5% nel 2010, arrivando al 15,9%.
E, come si può apprendere dal Libro bianco della sanità veneta, nonostante il minor numero di ricoveri ospedalieri, le cifre stanziate dalla regione per l’assistenza ospedaliera fornita dai privati convenzionati non hanno mai smesso di crescere, passando da 526 milioni nel 2006, a 547 milioni nel 2007, 557 nel 2008 e 578 nel 2009.
“Calcolando l’incremento finanziario sulla base dei budget annuali — spiega Guglielmo Brusco, vicepresidente della provincia di Rovigo, che da anni è impegnato a denunciare questi sprechi nella sanità veneta — non è azzardato pensare che le strutture private convenzionate abbiano ricevuto 35 milioni circa di euro nel 2007, 45 nel 2008, 50 nel 2009 e 66 nel 2010, per un totale complessivo di circa 200 milioni di euro. Tutto alla sola condizione di fare meno ricoveri, e cioè lavorare di lavorare meno”.
Insomma, un trattamento di tutto favore, secondo Brusco, che non ha certo giovato alle casse del Veneto, che negli anni non solo ha assegnato sempre più risorse alle aziende del Servizio Sanitario Regionale (4,3 miliardi di euro nel 2000 contro i 7,7 miliardi del 2009), ma anche visto crescere il costo dell’assistenza ospedaliera, passata da 3,6 miliardi di euro nel 2006 a 3,8 miliardi di euro nel 2009 (+5,9%), nonostante i minori ricoveri.
Forse anche perchè, come rileva il Libro bianco, a contenere il tasso di ricoveri e tagliare i posti letto sono state soprattutto le strutture ospedaliere pubbliche, mentre nelle strutture private accreditate i dati sono rimasti sostanzialmente stabili.
Senza contare che chi non raggiunge il budget di ospedalizzazione riceve un altro ‘aiutino’: l’eventuale quota di introiti «mancante» sarà garantita l’anno successivo sul versante visite ambulatoriali.
Interpellato sull’argomento, l’assessore veneto alla Sanità , Luca Coletto, ci ha tenuto subito a chiarire che con la delibera n.312 votata a marzo 2011, “è stato eliminato il meccanismo dell’incremento finanziario. Da quest’anno si è deciso un taglio secco di 30 milioni di euro, e di assegnare un incremento finanziario provvisorio del 5% sul fatturato, che verrà poi riassorbito al momento della ridefinizione delle nuove tariffe dei Drg (i Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi, il sistema di classificazione usato come base per il finanziamento delle aziende ospedaliere), cosa che probabilmente avverrà da settembre. In tempi come questi è doveroso risparmiare e investire di più sul pubblico”.
Belle parole, ma prive di fondamento, secondo Brusco.
“Con questa delibera — conclude — diminuiscono i ‘regali’ ai privati, che però mantengono sempre un incremento finanziario elevato, giustificato in parte per pagare l’inflazione del 2009 e 2010, coperta già dalle precedenti delibere e quindi pagata due volte. Da anni continuo a denunciare senza successo questi sprechi, ma io non mollo e spero che a settembre la Corte dei Conti regionale avvi delle indagini e che ci si renda conto di quante risorse pubbliche sono state regalate ai privati quando potevano essere impiegate per migliorare l’assistenza sanitaria pubblica”.
Adele Lapertosa
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 21st, 2011 Riccardo Fucile
LA NORMALIZZAZIONE DELLA LEGA SI E’ COMPLETATA E IL DECLINO DEL PDL HA COLPITO ANCHE IL CARROCCIO…MA BOSSI POTRA’ ESSERE MESSO DA PARTE SENZA CHE LA LEGA IMPLODA?
Il passsaggio di Bossi in Cadore, per festeggiare il compleanno dell’amico Tremonti, insieme a
Calderoli, è durato poco.
Qualche giorno appena.
Per l’incalzare della crisi, ma soprattutto, per paura dei fischi, delle proteste e dei contestatori. Così, niente interviste e niente conferenze stampa.
Una nemesi: il contestatore contestato. Il portavoce della Protesta protestato.
A casa propria (visto che il bellunese è culla del leghismo).
Un tempo, invece, Bossi era costantemente (in) seguito da una comunità di giornalisti “specializzati”. Soprattutto d’estate, in attesa di una provocazione quotidiana, che desse un po’ di colore politico a una stagione altrimenti incolore.
E Bossi non deludeva mai.
Sparava (verbalmente) contro l’Italia, i “vescovoni” e il Papa polacco.
Contro Berlusconi, le destre e le sinistre – romane.
Da qualche anno, però, nessuna sorpresa e meno giornalisti, a Ponte di Legno come in Cadore.
La Lega non riserva più sorprese. Si è normalizzata.
Tutti i politici, d’altronde, si sono un po’ “leghizzati”. Le sparano grosse per ottenere spazio sui media. Sul modello del Senatur.
Poi, soprattutto, il declino del berlusconismo ha “colpito” anche la Lega.
Che, come il Pdl e Forza Italia, è un “partito personale”. Quantomeno: altamente “personalizzato”.
“Impersonato” dalla “persona” di Umberto Bossi, fin dai primi anni Novanta. Quando il Senatùr, dopo aver riunito le diverse leghe regionaliste intorno al nucleo lombardo e dopo aver “epurato” tutti gli altri leader concorrenti, è divenuto il solo, indiscusso Capo della Lega. Unico riferimento strategico e simbolico. Unica bandiera.
Più della stessa Padania (che egli, d’altronde, incarna).
Oggi, quella parabola pare essersi consumata.
Nonostante che la Lega, negli ultimi anni, abbia riconquistato il peso elettorale di un tempo. Nonostante che, da dieci anni stia al governo, quasi ininterrottamente.
E sia divenuta il “partito forte” della maggioranza. Eppure, da qualche tempo, pare finita in un cono d’ombra. Insieme al Capo. Per diverse ragioni.
a) La crisi di consenso della maggioranza, messa in luce dalle amministrative e dal referendum degli scorsi mesi, alimentata dalla bufera dei mercati.
b) Le difficoltà provocate dalle manovre finanziarie del governo, ultima quella discussa in queste settimane.
Hanno alimentato l’insoddisfazione popolare, ma, soprattutto, hanno costretto la Lega a giocare un ruolo sgradito e innaturale. A indossare una sola maschera.
Quella del “partito di governo”. Che chiede sacrifici. Impone tasse.
Senza contropartite, perchè parlare di federalismo mentre si tagliano le risorse agli enti locali, anzi: mentre si tagliano migliaia di enti locali, è quantomeno ardito.
c) E poi c’è il problema di Bossi, la Persona intorno a cui ruota il partito Personale leghista. Non è più quello di un tempo.
La malattia l’ha segnato profondamente.
Anche se i segni del male e della sofferenza, esibiti apertamente e senza timidezza, hanno, per certi versi, rafforzato il carisma del Capo.
Non solo tra i suoi “fedeli”. Oggi, però, la debolezza del corpo appare sempre più un limite. All’esterno, perchè Bossi insiste ad atteggiarsi come un tempo. Come se nulla fosse cambiato. La stessa canotta d’antan. E poi gli sfottò, le pernacchie, il dito levato.
Come se fosse lo stesso degli anni Ottanta e Novanta. Ma non lo è più.
Così, però, rischia di apparire patetico.
Il peggio che possa capitare a un Barbaro orgoglioso come lui.
d) Inoltre, su di lui pesano i segni, più che i sospetti, dell’omologazione ai vizi della politica politicante.
L’impressione di essere sensibile ai (e condizionato dai) consigli di un circolo esclusivo e ristretto di dirigenti (e di parenti). Per non parlare del “familismo”, visto che il suo portavoce pare essere divenuto il figlio Renzo.
e) La sua debolezza “personale”, però, sembra riflettersi anche all’interno del partito. Attraversato da tensioni centrifughe.
Fra territori e leader, che corrono e si rincorrono, ciascuno per proprio conto.
Talora, contro gli altri. Mentre cresce l’insoddisfazione degli elettori e degli stessi militanti, espressa in modo aperto all’adunata di Pontida dello scorso giugno.
Eppure è difficile, quasi impossibile, che Bossi possa venir messo da parte.
Nessuno ne ha la forza, nel partito.
E se lo stesso Bossi decidesse di uscire di scena, per propria decisione, difficilmente la Lega gli potrebbe sopravvivere, così com’è ora.
Perchè l’unica bandiera, l’unico mito fondativo, l’unico legame biografico: resta lui.
Senza di lui, tutte le mille differenze locali e personali che oggi, faticosamente, coabitano nella Lega, rischiano di esplodere.
Ostaggio di se stesso e del proprio passato, il Capo non è mai sembrato tanto solo.
Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica”)
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Agosto 19th, 2011 Riccardo Fucile
HOTEL BLINDATO A CALALZO, BOSSI CONTESTATO, LA GENTE PADANA GLI GRIDA “CIALTRONE”….IL SENATUR COSTRETTO A NASCONDERSI PER VEDERE TREMONTI
Dopo due giorni di insulti e proteste, il leader del Carroccio decide di lasciare il Cadore.
“Brutto, brutto, brutto: andiamo via”, si sfoga con pochi intimi all’interno di un hotel Ferrovia blindato.
Il clima è talmente pesante che la cena per il 64esimo compleanno di Tremonti è spostato all’ultimo secondo nella baita a Lorenzago del ministro dell’economia
Umberto Bossi nella notte decide di lasciare l’hotel Ferrovia di Calalzo di Cadore per timore di altre proteste.
Ci sono voluti due giorni di contestazioni dell’ormai ex popolo leghista bellunese e decine di insulti dei passanti, per far comprendere al leader del Carroccio che la base ha superato il limite di sopportazione.
Tornare indietro ora è difficile.
Da contadino della politica quale è, Bossi ha compreso che non più salvarsi dal Titanic: affonderà insieme a Silvio Berlusconi.
Mercoledì sera ha dovuto cancellare il comizio in piazza per timore delle proteste leghiste, capitanate dal presidente della Provincia di Belluno che si è presentato con la bandiera dell’ente listata a lutto.
Ieri ha ricevuto insulti dalle auto che passavano davanti all’albergo. Si è nascosto per tutto il giorno all’interno insieme a Roberto Calderoli.
E i dieci minuti che è uscito per accogliere l’amico Giulio Tremonti, i tre sono stati costretti a farsi circondare da una decina di uomini della scorta.
Prigionieri a casa loro.
Tanto che ieri sera la tradizionale festa di compleanno del ministro dell’economia all’hotel Ferrovia è stata trasferita all’ultimo minuto (nella speranza di depistare proteste e giornalisti) nella baita di Tremonti a Lorenzago. La stessa baita dove i quattro saggi del centrodestra stilarono il federalismo che fu poi bocciato dagli elettori con il referendum.
La baita è raggiungibile solo attraversando un cancello ovviamente ieri notte sigillato e sotto stretta sorveglianza.
Nascosti nella loro terra, in fuga dagli ex elettori che per venti anni hanno regalato alla Lega la sensazione di potere e immortalità che adesso comincia a franare.
Alberto da Giussano non può fare nulla, l’inesistente padania comincia a essere ridimensionata agli occhi di Bossi.
Le proteste fanno male. Anche ieri per tutto il giorno è stato un continuo susseguirsi di manifestazioni e contestazioni davanti all’albergo.
Dal sindaco Pdl del Comune di Calalzo al presidente provinciale di Confcommercio, dagli ex leghisti e autonomisti, al Pd ai cittadini.
Qui era impensabile fino a pochi mesi fa che qualcuno potesse criticare il Capo. All’hotel Ferrovia di Gino Mondin era un continuo pellegrinaggio di complimenti, mani da stringere, baci e foto ricordo tutti sorridenti col ministro leghista di turno. Dalle macchine che passavano davanti all’albergo è sempre stato un “viva Bossi, viva la Lega”.
Da due giorni invece la strada è piena di contestatori e manifestanti.
E dalle auto il conducente più delicato gli ha gridato contro “cialtrone”.
Il livello di sopportazione è ampiamente superato, ma la realtà non ha ancora preso forma nella mente del Carroccio. Il nervosismo è palpabile.
A un giornalista della Rai regionale che lo segue imperterrito persino all’inaugurazione di una piccolissima centrale elettrica, Bossi si mostra molto infastidito. “Vaffanculo, siete anche qui”.
Così, dopo essersi nascosto per tre giorni, Bossi sceglie di scappare.
Lo fa di notte. Mentre cenava nella baita, poco dopo le una di questa mattina, i sei uomini della scorta del leader leghista hanno pagato il conto dell’albergo (che era prenotato per Bossi fino a venerdì), fatto le valigie, caricato le macchine.
Poi sono andati a prelevare il Capo e lo hanno portato lontano dalle contestazioni. Presumibilmente a Gemonio, a casa sua. Dove almeno una bandiera della Lega rimarrà alta: quella che ha nel suo giardino.
Calderoli è invece rimasto a dormire in albergo perchè G., il figlio della compagna Gianna Gancia (presidente della Provincia di Cuneo) ha undici anni ed era stanco. Partiranno all’alba, ha fatto sapere il ministro per la semplificazione.
Quando i giornalisti presumibilmente dormono e, soprattutto, i contestatori non saranno tornati qui davanti.
A ripercorrere gli eventi di questi tre giorni appare evidente come la Lega deve fare i conti con una inaspettata realtà : non ha più il polso del territorio.
La base è stanca, non ne può più di leggi ad personam, nuove tasse.
Da mesi gli elettori del Carroccio chiedono a Bossi di staccare la spina al governo e lasciare Berlusconi.
La base lo ha chiesto talmente ad alta voce attraverso i canali consueti, che il Carroccio invece di dialogare con i malpancisti, ha preferisco censurarli chiudendo persino gli interventi liberi a Radio Padania.
Ora è troppo tardi. Berlusconi non si può più scaricare.
Ed è lo stesso Senatùr ad averlo compreso. “Silvio ha vinto grazie a noi e ora noi perdiamo grazie a lui”, si è confidato in uno sprazzo di spietata lucidità .
Il gioco è finito. Le proteste fanno male.
Meglio tornare a casa, durante la notte.
Al buio, di soppiatto, senza farsi vedere da nessuno.
Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Agosto 18th, 2011 Riccardo Fucile
ALTRO CHE TASSAZIONE BIS SUI CAPITALI ILLECITI RIENTRATI, SI VA VERSO UN NUOVO CONDONO… UNA MANOVRA CHE RIVELA TUTTE LE CONTRADDIZIONI E GLI INTERESSI DELLA CASTA
Dicono che che una nuova tassa sui capitali scudati sarebbe “suscettibile di obiezioni sotto il profilo costituzionale” e di “difficile realizzazione pratica”.
Così, secondo indiscrezioni filtrate stamane, il governo si appresta a soffocare nella culla l’idea di far pagare i furbi, invece dei contribuenti leali.
Sarebbe stata una rivoluzione, invece si torna al vecchio, con una nuova edizione del provvedimento tremontiano già varato nel 2009-2010 e nel 2002-2003, questa volta con un’aliquota maggiore del 5% applicato l’ultima volta.
La doccia gelata arriva dopo un paio di giornate in segno nettamente contrario, durante le quali la proposta di un nuovo prelievo sui capitali rientrati aveva fatto breccia anche nella maggioranza di centrodestra senza che emergessero ostacoli tecnici e giuridici insormontabili.
Certo, imporre una nuova tassa a chi due anni fa aveva “patteggiato” con il fisco un’imposta leggera sarebbe una forzatura.
Giustificata, però, dal momento di emergenza e da alcuni provvedimenti drastici già adottati dal governo nella manovra bis, come il congelamento della liquidazione dei dipendenti pubblici, il contributo di solidarietà , la Robin Hood Tax.
Se si parlasse di incostituzionalità in termini stringenti, probabilmente lo sarebbero di più i provvedimenti che riguardano i prelievi solo a certe fasce di reddito dichiarato e il congelamento per due anni della liquidazione maturata.
Vediamo di far parlare i dati.
Servivano 21 miliardi subito e il governo ha pensato di trovarli così: 8,5 di tagli ai ministeri, 10,5 di tagli a regioni ed enti locali, 1 miliardo dalle rendite tassate al 20%, 1 miliardo dai contributi sui redditi oltre i 90.000 euro.
In pratica su 21 miliardi ben 19 provengono da ministeri ed enti locali, il che tradotto dal politichese vuol dire un aumento delle tasse locali, in nome del federalismo patacca con cui i leghisti stanno rincoglionendo da due anni molti italiani.
Oppure niente tasse locali ma nemmeno più servizi, così si fermano metro, bus. ospedali, asili e compagnia cantando.
Non solo, ma serviranno altri 27 miliardi a breve e allora dove si troveranno?
Tagli alla assistenza, alle detrazioni familiari, alle pensioni di invalidtà , di reversibilità , alla sanità per raccattare 8 miliardi.
Sul resto è buio.
Si parla giustamente di “macelleria sociale” perchè alla fine il cittadino sarà massacrato dalle tasse locali, oltre al contributo di solidarietà che dovrà pagare il cittadino che denuncia oltre 90.000 euro di reddito.
Ma anche qua siamo all’assurdo: su 100 miliardi scudati e rientrati, lo Stato dagli evasori miliardari ha incassato solo il 5%, quando in altri Paesi europei si è applicata un’aliquota del 30-40%.
Si sarebbero incassati a suo tempo altri 25-35 miliardi in più e la manovra odierna non avrebbe quasi avuto ragione di esistere.
Aggiungiamo un dato conosciuto a pochi: in Italia abbiano 24.000 consiglieri di amministrazione in 7.000 enti statali censiti, tutti posti riservati a politici trombati e manutengoli vari: costo annuale 7 miliardi.
Bastava una legge che eliminasse questa corte dei miracolati o imponesse loro di prestare servizio gratuito ed ecco altri 7 miliardi a disposizione.
Due provvedimenti talmenti logici che avrebbero potuto essere portati a termine da tempo e oggi avremmo già dai 32 ai 42 miliardi in cassa e non saremmo costretti a fare gli accattoni per racimolare le briciole tra chi ha magari ha un reale bisogno di assistenza.
Per non parlare dei 120 miliardi di evasione fiscale annua, dei 60 miliardi dei costi della corruzione in italia, dei 170 miliardi che lo Stato destina a spese improduttive, ovvero beni e servizi che si potrebbero tagliare di almeno un 10%.
Invece sono ancora a parlare di aumentare l’Iva di un punto, così poi decollano i prezzi, o a pensare a come fregarsi per due anni la liquidazione maturata.
O alle uscite da lazzaretto di Bossi che promette “vi raddoppierò lo stipendio mettendovi in busta paga la liquidazione”: peccato che il tutto si risolverebbe con un misero aumento del 7% sullo stipendio mensile, altro che raddoppio.
O quando annuncia battaglia “le pensioni non si toccano”: infatti sono sempre le stesse, mentre i beni di consumo e di prima necessità crescono, ma lui ha piazzato il figlio in Regione a 12.000 euro al mese, sai che gliene frega.
D’altronde quando a presentare alla stampa una manovra delicata e di questo impegno vedi sedersi accanto al premier italiano tale Calderoli, ti rendi plasticamente conto a che punto di degrado sia arrivato il nostro Paese.
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Luglio 5th, 2011 Riccardo Fucile
GLI EFFETTI DEL TAGLIO DA 10 MILIARDI PREVISTO DALLA MANOVRA….I CITTADINI DEL NORD VEDRANNO SPARIRE LE ESENZIONI…..AL SUD ALIQUOTE MASSIME E MENO SERVIZI
Piccoli e grandi Enti locali sono pronti a scendere in piazza.
La manovra così com’è rischia di strangolare i bilanci di Regioni, Comuni e Province che subiranno un taglio pesante pari a 9,6 miliardi.
Le possibili contromisure sono già sul tavolo di sindaci e governatori.
A partire dal prossimo anno è previsto un inasprimento delle addizionali, sono allo studio aumenti per tassa rifiuti, Ipt e Rc auto, i ticket saranno più salati, i servizi sociali verranno ridotti ai minimi termini e il turismo sopporterà l’introduzione della tassa di soggiorno.
Piemonte. La Regione non ha margini di manovra. Dal 2008 l’addizionale Irpef è ai massimi. A Torino la situazione è complessa: non è possibile aumentare l’addizionale visto che l’aliquota è già allo 0,4%. L’unico balzello che la giunta potrà approvare sarà la tassa di soggiorno in una forbice tra 0,50 e 2 euro. «Ma non sarà sufficiente», dice l’assessore al Bilancio del Comune, Gianguido Passoni, «dobbiamo già fare i conti con 74 milioni in meno». Il Comune sarà poi costretto a tagliare servizi: gli orari degli sportelli, l’organizzazione degli asili.
Lombardia. La Regione fa pagare ai cittadini un’addizionale Irpef al minimo (lo 0,9%). Diverso il caso di Milano dove questo balzello non è mai stato introdotto. Il sindaco Pisapia, però, accusa la precedente giunta di aver nascosto un buco nei conti da 180 milioni e critica pesantemente la manovra: per questo l’addizionale rischia di essere introdotta.
Liguria. Potrebbe saltare l’esenzione Irpef per i redditi tra i 20 ed i 30 mila euro. «Questo ci consentirà di recuperare 36 milioni di gettito» spiega l’assessore regionale alle Risorse finanziarie Pippo Rossetti. La Spezia, Savona e Imperia hanno già aumentato del 3,5% la Rc auto. Il costo della manovra in cifre per la Regione Liguria? «Nel 2011 il governo ci ha tolto 154 milioni di capacità di spesa, nel 2012 ne toglie altri 30. Tra il 2013 ed il 2014 calcoliamo una riduzione di altri 30 milioni».
Emilia Romagna. Allarme alto nella sanità . La Regione stima tagli attorno a 500 milioni e medita la reintroduzione del ticket. Bologna, invece, sta riorganizzando i nidi comunali: le rette sono aumentate fino a 200 euro al mese. E sono molte le incognite per la realizzazione della metropolitana.
Toscana. A Firenze tra 2011 e 2013 mancheranno all’appello 45 milioni. Nel 2014, raddoppio: altri 26 milioni in meno, per un totale di 71 milioni. Secondo l’assessore regionale al Bilancio Riccardo Nencini «lasceremo sul campo 1 miliardo di euro di minori trasferimenti».
Lazio. Qui la manovra rischia di far saltare il banco: Roma già dispone dell’addizionale comunale più alta d’Italia, pari allo 0,9% e l’addizionale regionale è all’1,7%. La tassa di soggiorno è operativa e dunque non resta che mettere mano ai servizi sociali.
Campania. «È una manovra insostenibile, soprattutto per le realtà del Mezzogiorno», si sfoga l’assessore al bilancio del Comune di Napoli Riccardo Realfonzo. Unica via di fuga un aggiustamento verso l’alto della pressione fiscale.
Puglia. La Regione ha giocato d’anticipo e per ridurre il deficit della sanità ha elevato all’1,2% l’addizionale Irpef. La benzina è ricarata di 25 centesimi al litro mentre dal 1 luglio è stata ridotta la soglia di esenzione dal ticket per i redditi oltre i 18mila euro. «Aspettiamo di conoscere le misure – dice l’assessore al Bilancio di Bari Giovanni Giannini – se non si interverrà sui Comuni virtuosi allora Bari sarà salva. Altrimenti bisognerà ritoccare tassa rifiuti e tariffe dei servizi».
Sicilia. Tasse: la Regione è già ai massimi livelli causa debito della sanità , mentre i Comuni, Palermo in testa, ancora non sanno se e come incrementeranno la tassazione visto che l’aliquota Irpef supera già lo 0,4%.
Lucio Cillis
(da “La Repubblica“)
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Giugno 28th, 2011 Riccardo Fucile
IL FEDERALISMO FISCALE SI SCOPRE DEBOLE QUANTO LA SUA RETORICA…..IL “SOLE 24 ORE” RIVELA: GIA’ NEL 2010 AUMENTO DEL 7% DELLE TASSE LOCALI… IN FUTURO I RIDOTTI TRASFERIMENTI STATALI PORTERANNO ALTRI AUMENTI DEI TRIBUTI LOCALI
Con l’approvazione del provvedimento voluto dalla Lega, gli enti locali hanno cominciato a battere cassa per recuperare i mancati trasferimenti dal governo centrale. Risultato, una raffica di aumenti sulle imposte locali, nonostante le promesse elettorali.
Addizionale sulla Rc auto in aumento per 29 province fino alla soglia massima del 16%, l’omologa Irpef in crescita, +0,2% per due anni, in almeno 50 comuni, con l’elenco destinato probabilmente ad allungarsi.
Bastano questi esempi per alimentare l’allarme sempre più concreto lanciato dalle colonne del Sole 24 Ore.
In sintesi: gli enti locali battono cassa mentre il federalismo fiscale si scopre debole quanto la sua retorica.
Alla faccia di quella visione che la vorrebbe panacea delle sofferenze contabili, la tanto celebrata devolution fiscale si sta traducendo in un salasso aggiuntivo quanto imprevisto (almeno a prendere per buoni i proclami governativi) per circa 10 milioni di italiani.
Per i quali la tassazione viaggia inesorabilmente verso nuovi aumenti.
Il federalismo fiscale come strumento irrinunciabile per la riduzione delle tasse.
Per la Lega è il leitmotiv di una vita, il fulcro di una retorica “efficientista” da “padroni in casa nostra” (sic) secondo la quale la devolution delle imposte dovrebbe garantire la permanenza delle risorse sul territorio, la riduzione degli sprechi e lo sgravio generalizzato delle imposte caricate sui cittadini.
Un principio nemmeno sbagliato, in teoria, che disgraziatamente, però, si sta rivelando per ciò che è realmente: una clamorosa presa in giro.
Le cifre non mentono, come aveva già rilevato lo stesso quotidiano della Confindustria negli scorsi mesi.
Nel 2010, notava già ad aprile il Sole, le entrate tributarie dei comuni italiani erano aumentate di 1,3 miliardi rispetto all’anno passato registrando per i contribuenti un poco rassicurante +7% in termini di maggior carico fiscale.
Alla faccia delle promesse elettorali.
Già , le promesse elettorali.
A ben vedere il peccato originale si collocherebbe proprio lì, come risulta chiaro ormai da tempo.
“Aboliremo l’Ici sulla prima casa, avete capito bene” sentenziò Silvio Berlusconi al termine del (soporifero) duello televisivo con Romano Prodi alla vigilia delle elezioni 2006.
Una promessa divenuta realtà due anni più tardi — con l’estensione di un provvedimento con il quale il centro-sinistra aveva realizzato un primo significativo sgravio — con conseguenze semi disastrose per la maggior parte dei comuni italiani per i quali proprio l’imposta sugli immobili aveva rappresentato fino a quel momento una fondamentale fonte di reddito.
Per ovviare all’inconveniente gli enti locali scelsero allora l’unica strada percorribile: l’aumento delle imposte laddove possibile.
Nel 2010, ha notato il Sole, gli incassi derivanti dalla Tarsu, l’imposta sui rifiuti, hanno registrato una crescita del 15,8%.
Le tariffe per i servizi comunali sono aumentate mediamente dell’8% sulla scia di incrementi da record: +6,6% per gli asili nido, ha ricordato ancora il quotidiano finanziario, +10,6 per i parcheggi a pagamento, più 4,6 per le mense, più 10,8 per tutti i cosiddetti “altri servizi”.
Una tempesta di costi occulti, in altre parole, si sarebbe abbattuta sui cittadini per i quali l’abolizione della tassa immobiliare si sarebbe rivelata niente meno che una beffa senza eguali, specialmente nel confronto con il resto dell’Europa, dove la tassa sulla casa si conferma non senza ragione un punto cardine nella gestione dei conti pubblici locali.
Sul circolo vizioso, ovviamente, non pesa solo l’eliminazione dell’imposta.
A gravare sulle spalle degli enti c’è infatti anche, se non soprattutto, la riduzione dei trasferimenti da parte dello Stato.
Un fenomeno alimentato dalla difficile impresa del governo di far quadrare i conti riducendo il disavanzo pubblico con un progressivo taglio alla spesa.
Ad oggi, intanto, le entrate per l’erario sono tornate sui livelli pre crisi (115,4 miliardi di gettito complessivo nei primi 4 mesi del 2011) mentre il livello della pressione fiscale italiana si conferma il terzo del mondo (dopo Danimarca e Svezia) con un carico aggiuntivo, rispetto alla media Ocse, di 54 miliardi annui. Circa 850 euro in più per ciascun contribuente.
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