Giugno 21st, 2011 Riccardo Fucile
DAGLI ANNI ’80 SE NE SONO SENTITE TANTE: NON PAGHEREMO L’ICI E NEANCHE IL CANONE, NON COMPREREMO I BOT, RAI2 SARA’ TRASFERITA A MILANO… L’UNICA VOLTA CHE BOSSI REALIZZO’ UNA PROMESSA FU QUANDO CREO’ LA BANCA PADANA CREDIEURONORD: INFATTI FALLI’ FREGANDO GLI AZIONISTI
A metà pomeriggio, quando finisce il collegamento in diretta per Sky e come sfondo si era
scelto proprio le scale della Villa Reale, a Marco Mariani, 54 anni, sindaco leghista di Monza, più di un dubbio era già venuto.
«Il decreto del governo che trasferisce qui i ministeri? Io non l’ho visto, però mi hanno detto che c’è».
E vatti a fidare quando ci son di mezzo le parole di Bossi, e da Pontida poi: dove intenzioni e realtà s’incrociano per un pomeriggio, e poi ciao.
«Sì, lo so, anche l’anno scorso aveva parlato dei ministeri da trasferire al Nord. Ma questa volta a me hanno detto che c’è un decreto. Ci devo credere, no?».
Povero sindaco Mariani, che giornate.
E’ da sabato pomeriggio, quando Bossi ha annunciato questo paio di traslochi ministeriali nella sua Monza, che il sindaco passa le ore a rispondere o divagare.
Certo, basta credere che sia così, che i ministeri arrivino davvero.
«Ma sì, insomma, saranno degli uffici decentrati», dice. «Mica mi hanno chiesto 2 mila metri quadri, basterà poco?».
E’ che Mariani non lo può dire, lo rinchiuderebbero subito come la Monaca di Monza. Ma anche questa storia dei ministeri al Nord sembra una tipica storia leghista, un annuncio che dura un paio di giorni, poi sparisce, poi ritorna e infine non si capirà più se è tutto vero, o appena verosimile, oppure una guasconata che si sa come finirà : in niente, ma con un colpevole da cercare.
Era andata così fin dalla fine degli Anni 80.
Per la serie le cattive intenzioni che non si realizzano: non pagheremo l’Ici, non pagheremo il canone Rai, non compreremo i Bot. Una per le buone, aprile 2003: evviva, Rai2 si è trasferita a Milano.
E poi non è mai successo nulla.
Però l’annuncio c’è stato, e domenica qualcosa in più: il sindaco Mariani, a Pontida, ha avuto l’onore di salire sul palco, accanto a Bossi, con la targa di ottone lucido del ministero da trasloco, una vecchia chiave arrugginita e un librone sulla Villa Reale. Caspita, più vero di così.
Bossi e Calderoli e Tremonti hanno già provveduto al sopralluogo, vero sindaco? «Son venuti qui lo scorso autunno – ricorda -, perchè volevo fargli vedere in che condizioni era la Villa, così dalla Regione Lombardia mi sono arrivati 19 milioni di euro».
E non si era parlato, nell’occasione, di traslochi pesanti.
Bossi non ha più tempo per occuparsi di questa pratica e Mariani si sente un poco solo.
Blogger, “rottamatore”, consigliere regionale del Pd e cittadino monzese, Pippo Civati ha già rivelato che la Villa Reale non è più nella disponibilità del Comune, ora l’ha in gestione una società privata, e dunque il sindaco non può concedere nulla a nessuno, manco a Bossi, e men che meno gratis.
«E’ un bravo figliolo, il Civati, ma mente sapendo di mentolo – risponde Mariani -. Lui si riferisce a un percorso museale in vista dell’Expo, e a 27 milioni di euro di investimento. Ma la Villa ha 740 stanze, e 450 sono ancora libere e tutte nostre».
Vada come vada, e se aprirà un ufficio di rappresentanza per Monza sarà già un successo, resta che Bossi si conferma un artista nei magheggi da marketing della politica.
Inventa e crea dal nulla, poi provvedono i politici con le loro dichiarazioni a favore o contro, tv e giornali rilanciano e anche dopo questa Pontida tra palco e realtà la confusione è facile.
Eppure, proprio in vista del Gran Raduno, a un leghista doc come Roberto Castelli era sfuggita una frase che aiuta a capire: «Bossi dice sempre che in politica non è vero ciò che è vero, ma ciò che sembra vero».
Era giovedì, forse Castelli pensava a sabato…
Perchè sabato, e al teatro Donizetti di Bergamo c’era anche Castelli, si è vista la dimostrazione di quella frase.
Autorità politiche, civili, religiose e militari per una conferenza stampa senza domande e con un annuncio: «Presentazione della nuova sede della Scuola Superiore della Magistratura».
Affidata alle parole di Bossi, nonostante la presenza di Angelino Alfano ministro della Giustizia, si è trasformata nella esaltazione della Scuola per Magistrati, come se le iscrizioni fossero già chiuse, le lezioni imminenti, «e finalmente, perchè sono più tranquillo se vado a farmi giudicare da un magistrato che capisce il mio dialetto».
E invece anche questa è una storia appena verosimile, piuttosto pasticciata e comunque già parecchio costosa.
E’ dal 2008 che la Curia di Bergamo, proprietaria dell’Opera Sant’Alessandro, incassa 242 mila euro all’anno per l’affitto di una sede vuota, grande due mila metri quadrati. Comune e Provincia hanno pagato fino a dicembre scorso, e con qualche mugugno. Da gennaio, e questa sarebbe l’unica novità , l’affitto non è a più carico dei soli cittadini di Bergamo e provincia, ma del ministero di Giustizia, e dunque proprio di tutti, padani e terùn.
E la scuola per magistrati?
Al tempo, se la sede è vuota immaginarsi il resto.
Tanto a Bossi va bene così. «La Scuola per magistrati è decentramento», ha deciso sabato.
Più o meno come i ministeri a Monza, l’importante è annunciare.
Chissà che fine hanno fatto i negozi del «Made in Padania», o la Cinecittà del Nord inaugurata nella sede della Manifattura Tabacchi di Milano.
Almeno una volta Bossi ha mantenuto la promessa, quando anche i leghisti un bel giorno ebbero una banca.
Ma basta nominare la CredieuroNord e ancora oggi, a 7 anni dal crack, i parlamentari mettono mano al portafoglio: per pagare i creditori.
Perchè annunciare, anche in Padania, è sempre meglio che fallire.
E alla Lega costa niente.
Giovanni Cerruti
(da “La Stampa“)
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Giugno 20th, 2011 Riccardo Fucile
EX SOCIALI ED EX SINDACALISTE, PROPRIETARI DI CASE A LORO INSAPUTA E PATACCARI: SI SVEGLIANO SOLO ORA CHE QUATTRO CIALTRONI VOGLIONO TOGLIERE I MINISTERI A ROMA…. MA DOV’ERANO QUANDO LA LEGA FACEVA PASSARE LEGGI VERGOGNA SUGLI IMMIGRATI O QUANDO BOSSI SOSTENEVA CHE COL TRICOLORE SI PULIVA IL CULO?
Il Pd presenterà domani, durante l’esame del decreto sviluppo alla Camera su cui il governo
ha posto la fiducia, un ordine del giorno contro la richiesta della Lega di spostare la sede di alcuni ministeri al Nord su cui la Camera dovrà pronunciarsi.
Lo ha annunciato il capogruppo del Pd alla Camera Dario Franceschini, nel corso della conferenza del partito sulla sicurezza a Roma.
Franceschini ha definito “patetica” l’immagine di un governo che pensa di spostare i ministeri. La proposta della Lega del trasferimento delle sedi ministeriali, secondo il dirigente democratico, è “una patetica operazione di immagine che noi porteremo al voto”.
“Pontida 2011 e i discorsi che si sono sentiti mi sono sembrati quelli di Abatantuono nel film Attila e gli Unni”, ha sottolineato Franceschini.
“Su questa vicenda – ha aggiunto – li porteremo al voto domani in occasione del decreto sullo sviluppo. Visto che i ministri leghisti hanno tanta voglia di tornare al Nord lo possono fare e lo faranno, dopo il risultato delle amministrative e dei referendum, ma senza i loro ministeri, che resteranno nella capitale”.
Valutazioni simili a quelle del Pd arrivano anche da Cei e Confindustria. “La chiesa deve da un lato frenare queste mire secessionistiche, dall’altro deve rimotivare dall’interno, con forte valenza biblica, la passione dell’intraprendere dei cristiani”, dice Giancarlo Maria Bregantini, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace.
Secondo il vescovo, intervistato da Radio vaticana, la proposta di spostare i ministeri al nord sarebbe inoltre “un gesto di grandissimo disprezzo del sud”.
“La Lega paradossalmente – conclude Bregantini – ripete gli errori che rimprovera a Roma”.
Quanto agli industriali, secondo la presidente dell’associazione di categoria Emma Marcegaglia, “questi non sono temi veri del Paese”.
“I temi veri – osserva – sono il bilancio a posto, la riforma fiscale, le liberalizzazioni, investire in ricerca e innovazione. Il resto mi sembra un po’ propaganda”.
L’argomento continua comunque a rimanere centrale nel dibattito politico, alimentando nuove tensioni all’interno della maggioranza.
Il duro confronto tra Lega da una parte e la componente romana e meridionalista del Pdl (Gianni Alemanno e Renata Polverini su tutti) dall’altra, preoccupa in particolare il capoguppo alla Camera Fabrizio Cicchitto.
“E’ in atto un confronto . afferma – ma è sbagliato drammatizzare sia da parte di chi è al Nord e sia per chi è a Roma che dovrebbe occuparsi di governare la Regione e il Lazio. Va detto che non riteniamo possibile rompere l’unità dello Stato, ma è possibile ragionare sul decentramento di alcune sedi sulla base di alcune esperienze passate”.
Dpo tre anni in cui il governo ha vissuto sotto ricatto costante della Lega, dopo aver assistito a vergognosi cedimenti a politiche razziste da parte del nostro governo, censurate a livello internazionale da tutti i massimi organismi preposti, ora nel Pdl si svegliano gli ex sociali e le ex sindacaliste,gli ex proprietari di case pagate a loro insaputa e i pataccari vari: tutti uniti per difende due ministeri da Disneyland.
Quello del Paese dei balocchi che si è inventato Calderoli per giustificare la sua esistenza (nonchè gli stipendi di 70 suoi dipendenti, pagati dal contribuente italiano) e quello del federalismo patacca che sarà causa solo di un aumento delle tasse locali. Fosse per noi vorremmo che fosse già in vigore ora e non tra 10 anni: per non perderci la scena dei padagni che inseguono con il forcone i leghisti che gli hanno imposto il federalismo.
Ma dategli quei due ministeri a Monza, così passano il loro tempo a giocare con le cartine, i soldatini, le merendine della mamma, il fac-simile del libretto degli assegni e il bavaglino per chi sbava.
In fondo le specie in via di estinzione vanno tutelate.
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Giugno 19th, 2011 Riccardo Fucile
LA BASE LEGHISTA INVOCA IL RITORNO ALLE ORIGINI, MA IL TEMPO E’ SCADUTO…PRIMA INVOCAVANO LA SECESSIONE, ORA TIFANO PER LA SUCCESSIONE (A BOSSI)
Se fosse per i leòn veneti, i lighisti della Razza Piave, altro che staccare la spina al
governo:
loro farebbero saltare proprio tutto l`impianto elettrico.
Il fatto è che una volta tifavano solo per la secessione.
Adesso qualcuno è (anche) per la successione.
«Ci vuole ricambio, i totem vanno messi da parte – dice “l`eretico” Bepi Covre, ex sindaco di Oderzo e ex parlamentare del Carroccio, oggi “solo” imprenditore ma ancora molto ascoltato nella galassia della Liga veneta – Anche Bossi, certo. Uno intelligente come lui, uno che per la Lega è un mito, deve capire che è arrivato il mo mento di passare la mano».
Dicono i legologhi veneti che chiamarlo frondismo è fuorviante e prematuro.
Lo considerano «fermento di una base militante inquieta».Sempre più allergica al compromesso governativo forza-leghista «inconcludente».
Sempre più determinata nel chiedere ai vertici del movimento un ritorno alla Lega delle origini.
Anche a costo di infrangere l`ortodossia bossiana.
Anche sbandierando, come stanno facendo molti amministratori locali, la dissociazione in totale autonomia di una bella fetta di classe dirigente leghista (Zaia in primis) sul referendum: mentre Bossi invitava a infischiarsene, sindaci, consiglieri e assessori regionali veneti invitavano la gente a esprimersi sui quattro quesiti.
E a infilare nell`urna una sfilza di “si”.
«Le nostre municipalizzate funzionano benone e quindi abbiamo difeso l`acqua pubblica -ammette il deputato trevigiano Guido Dussin, commissione ambiente e lavori pubblici- Il nucleare non ci interessa e sul legittimo impedimento abbiamo la nostra opinione».
Veneto terra di infedeli?
Forse le cose non stanno proprio così.
Ma che i nervi siano tesi è più che evidente.
Lo riconosce anche il segretario regionale (e sindaco di Treviso) Gianpaolo Gobbo, al quale tocca il ruolo di pompiere.
Prima sottolinea che dal Veneto per Pontida partiranno 51 pullman («più del solito»).
Poi concede che «sì, l`amarezza in giro c`è. L`esposizione mediatica di Berlusconi ha dato fastidio. Bisogna cambiare marcia».
I dissidenti veneti? «Solo qualche rampante. In generale nessuno mette in discussione la leadership di Bossi».
Secchiate di acqua sul fuoco. Ma i tizzoni restano accesi.
Cos`altro avrebbe spinto, altrimenti, Franco Manato, assessore regionale all`Agricoltura, a dettare alle agenzie un comunicato che in altri tempi sarebbe parso superfluo: «La Lega ha un solo leader che si chiama Bossi. Chi non è d`accordo esca e vada nel Terzo polo, nel girone degli incerti o degli eretici»?
Per dire il clima di agitazione.
L`insofferenza verso Berlusconi è uno dei punti. «Se non ci saranno risposte concrete da Berlusconi torneremo alle origini», ancora Dussin.
Ma non è il solo. Riaffiorano le tentazioni “eretiche”.
Quello che Manato chiama «virus frazionista».
Il dissenso in Veneto covava da tempo: a farlo deflagrare- sotto traccia – sono arrivate le due “sberle” elettorali.
«La politica di Bossi non ha pagato, troppi sì e troppi “prego si accomodi” a Berlusconi – ragiona un importante dirigente del Carroccio che rivendica l`anzianità della Liga Veneta (1980) sulla Lega Lombarda (1984) – Forse oltre che su un cambio di passo bisognerebbe ragionare anche su un cambio di leadership».
Il problema del dopo-Bossi inizia a porsi.
«In politica tutto è possibile, tanto più se soffriamo un berlusconismo che non funziona», ragiona Gianantonio Da Re, sindaco di Vittorio Veneto.
Alla vigilia di Pontida, tra i parlamentari veneti è tutta una corsa a celebrare la guida del Capo, con tanto di minacce ai potenziali frazionisti.
Il mestrino Corrado Callegari: «I personalismi da noi hanno sempre avuto vita breve.
Chi ci ha provato è sempre uscito con le ossa rotte». L`unico che continua a sparare da queste parti è lo sceriffo Gentilini. Ma sa dove mirare.
«Basta con le Ruby, Rubynetti…Se perdiamo Milano, Berlusconi deve lasciare», aveva tuonato il prosindaco trevigiano prima della vittoria di Pisapia.
Pare che non abbia ancora perso la speranza.
Paolo Berizzi
(da “La Repubblica”)
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Giugno 15th, 2011 Riccardo Fucile
CRESCE LA FRONDA DOPO LO SMARCAMENTO DI ZAIA SUI REFERENDUM…E MONTA LA PROTESTA CONTRO UN PARTITO APPIATTITO E LONTANO DALLA GENTE VENETA
“Piccoli leghisti crescono», sibila Bepi Covre, mitico sindaco di Oderzo negli Anni Novanta,
parlamentare del Carroccio dal ’96 al 2001.
«Dietro Flavio Tosi e Luca Zaia c’è un’intera pattuglia di sindaci 40enni, gente che si è fatta sul campo e ragiona con la propria testa. Lo si è visto sui referendum…», alla faccia delle parole del Capo.
Oggi Covre è tornato a fare l’imprenditore, si definisce «un leghista di fede maronita», ma resta un gran «confessore» di leghisti veneti, come amano chiamarsi da queste parti quadri e militanti ricordando ogni volta che «la Liga è nata nel 1980 mentre la Lega lombarda solo nel 1984, prima di farsi federare dal carisma padano di Umberto Bossi», come ricorda Francesco Jori nel suo bel libro Dalla Liga alla Lega .
«C’è in giro molta effervescenza nel partito», conferma l’ex sindaco di Oderzo.
«La politica italiana ha un grande difetto: una classe dirigente inamovibile. La gente non ne può più».
In questi tempi globali «i totem vanno messi da parte. Anche Bossi, certo. Un grande attore sa quando uscire di scena».
Intendiamoci, «Umberto è un mito, è la Lega, ma oggi deve capire che è il momento di passare la mano».
Si prenda Zaia: «Sul referendum ha fiutato l’aria portandosi dietro mezza giunta» (gli assessori Stival, Conte e Ciambetti), il capogruppo in Regione Caner e i consiglieri Baggio, Bassi, Corazzari, Finco, Sandri e Tosato. Tutti frondisti.
«Abbiamo incontrato decine di militanti favorevoli all’acqua pubblica e contrari al nucleare, pronti ad andare a votare», conferma Caner. Non era mai successo.
«Questo fiuto Bossi e Berlusconi non ce l’hanno più», chiosa Covre. Naturalmente lui può parlare liberalmente ma dentro al corpaccione lighista è tutto un darsi di gomito. «Mettiamola così», confessa un dirigente di primo piano: «ci si rende conto che è partito il countdown sul dopo Bossi e ci si riallinea».
In questo Tosi e Zaia incarnano una posizione più matura: la chimera del lighismo autonomo dal partito lombardo non porta lontano.
Ogni volta che qualcuno ha provato ad alzarsi da terra è stato decapitato dal Senatur. Franco Rocchetta e Fabrizio Comencini ancora se lo ricordano.
Quest’ultimo nel ’98 fu purgato quando strappò portandosi via dal gruppo regionale 7 consiglieri su otto.
Con il Capo rimase solo Giampaolo Gobbo e da quel momento Bossi gli ha affidato le chiavi del partito.
«Per questo un accordo con la Lombardia resta strategico per i giovani leoni», continua la fonte. «Anche qui, la partita è pro o contro Maroni».
Il sindaco di Verona sta con Bobo, il trevigiano Zaia è più doroteo, per ora non si schiera, anche perchè dentro al partito Tosi è più forte e lo scontro è con il segretario regionale Gobbo, l’uomo della pax bossianlombarda nella ex Serenissima.
Nel frattempo si smarcano entrambi: Tosi da Gobbo su episodi simbolici come la visita del presidente Napolitano e la battaglia congressuale per le segreterie provinciali; Zaia, appunto, sui referendum.
Entrambi sanno che la protesta sta montando in casa.
Sui blog dei militanti i più scalmanati a chiedere un ricambio nella leadership o di mollare i lombardi «imborghesiti» per tornare alla purezza del lighismo, sono proprio i veneti.
A Treviso, nel feudo di Zaia, dalle Regionali 2010 alle provinciali del mese scorso il Carroccio ha perso per strada 91 mila voti, parzialmente recuperati solo grazie alla lista civica «Razza Piave» (37 mila voti) che ha fatto da cestino per i duri e puri delusi dal forza-leghismo di governo.
«Ai referendum i veneti si sono presi la loro autonomia senza guardare in faccia nessuno, non vedendo i segni concreti delle riforme promesse», ammette il leghista Franco Manzato, assessore regionale all’agricoltura.
Certo, «ad oggi non vedo alternative a Bossi. Il Capo è amato dalla base, i colonnelli invece rispettati, cosa diversa».
Anche se, continua Manzato, «qualsiasi governo se oggi non fa riforme tangibili non dura. Non c’è Bossi o Berlusconi che tengano».
Il dopo Bossi? «In politica tutto è possibile tanto più se soffriamo un berlusconismo che non funziona», gli fa eco Toni Da Re, sindaco leghista di Vittorio Veneto.
Dopodichè se «il prossimo leader sia veneto o lombardo, l’importante che sappia dove portarci».
Due mesi fa, l’idea della successione, sarebbe suonata fantapolitica.
Marco Alfieri
(da “La Stampa“)
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Giugno 1st, 2011 Riccardo Fucile
I VECCHI METODI DI RASSICURAZIONE FONDATI SULLA PAURA DEL MONDO E DEGLI STRANIERI NON FUNZIONANO PIU’…E LA FIGURA DELL’UOMO CHE SI E’ FATTO DA SE’ E’ INSUFFICIENTE
Le consultazioni amministrative appena svolte hanno evocato un cambiamento profondo del clima d’opinione.
Eppure, nel corso della Seconda Repubblica, il Centrosinistra aveva vinto e governato a lungo a livello locale.
Non solo nelle tradizionali zone di forza – l’Emilia Romagna e le regioni del Centro. Ma anche altrove. In molte aree del Sud e del Nord. Solo che ce n’eravamo scordati.
Perchè dopo il 2006 – e ancor più dopo il 2008 – il centrosinistra è arretrato dovunque. Ma soprattutto nel Nord. “Espugnato” dalla Lega.
Che alle Regionali del 2010 è penetrata anche nelle “zone rosse”. Così si è imposto il mito del “Nord padano”. Un concetto entrato nel linguaggio comune.
E insieme si è affermata la convinzione che il centrosinistra sia troppo “romano” per essere accettato e creduto nel Nord. Un’idea, peraltro, non infondata.
Che, però, indica una deriva. Non un destino.
Così, fra gli attori politici e gli elettori di centrosinistra, si è diffuso un inferiority complex nei confronti della Lega.
Considerata come unica e ultima erede dei partiti di massa. In grado di “presidiare” il territorio. Il voto ha ridimensionato, in modo brusco, questi sentimenti. Soprattutto nel Nord. Dove i partiti di governo hanno subito le sconfitte più brucianti.
Non che altrove le cose, per loro, siano andate meglio. A Napoli, in particolare. Dove però da quasi vent’anni governava il centrosinistra. Ma è nel Nord padano che sono avvenuti i mutamentipiù rilevanti.
A partire da Milano, la capitale della Seconda Repubblica.
Senza dimenticare Trieste, che solo Riccardo Illy, in passato, era riuscito a “sottrarre” alla destra. Oppure Novara, la capitale leghista, il feudo di Cota, governatore del Piemonte.
Ma il cambiamento del Nord sconfina ben oltre i luoghi simbolici del centrodestra e della Lega. Basti esaminare il bilancio dei comuni maggiori (con più di 15mila abitanti) dove si è votato: 133 a livello nazionale.
In precedenza, 73 erano amministrati dal centrosinistra e 55 dal centrodestra. Gli altri da giunte di segno diverso.
Ebbene, in queste elezioni il centrosinistra ne ha conquistate altre 10. Il centrodestra ne ha perse 17. Di cui 14 appartengono al Nord “padano” (con l’esclusione, cioè, dell’Emilia Romagna). Dove, tra le città al voto, il centrodestra ha fatto eleggere solo 8 sindaci, mentre prima ne aveva 22.
Mentre il centrosinistra, parallelamente, è passato da 17 a 29.
Se analizziamo il risultato ottenuto dai partiti (al primo turno) questa impressione si rafforza ulteriormente.
Nei comuni del Nord padano dove si è votato, infatti, il Pd ottiene il 27%.
Come alle precedenti Comunali, ma con un incremento di 2 punti rispetto alle Regionali di un anno fa.
Mentre i partiti di governo sono slittati vistosamente, rispetto al voto del 2010.
La Lega di quasi 5 punti (si ferma al 10,9%).
Il Pdl addirittura di 8. Oggi si è attestato sul 22,5%.
Così, nelle città del Nord al voto, il Pd è divenuto il primo partito.
Rispetto al passato recente, si tratta di una novità evidente.
Altro aspetto rilevante, il successo delle liste di sinistra – su tutte Sel. Non solo perchè in grado di imporre il proprio candidato a Milano, ma perchè, in generale, ha conseguito un risultato più che doppio rispetto alle Regionali (4,6%).
Anche in termini assoluti.
Inoltre, va segnalata la crescita elettorale del Movimento 5 Stelle, promosso da Beppe Grillo, che supera anch’esso il 4% dei voti validi.
Questi dati certificano la pesante sconfitta del centrodestra e il parallelo successo del centrosinistra nel Nord.
Ma, in assenza di analisi più approfondite, è difficile ricavarne significati chiari. Semmai, alcune ipotesi, che provo a tratteggiare di seguito.
1. Anzitutto, emerge il limite del “Nord padano”.
Definizione imposta dalla Lega per “unificare il Nord”. Contro Roma e contro l’Italia. Torna, invece, a essere evidente come vi siano “diversi” Nord. Per retroterra sociale ed economico, ma anche per rappresentanza politica.
2. In particolare, si delinea l’orientamento specifico delle città maggiori.
Hanno abbandonato il centrodestra. Tutte le capitali di regione (senza considerare Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta) oggi sono governate dal centrosinistra. Tutte. Compresa la capitale per eccellenza. Milano.
E il centrodestra, in questa tornata elettorale, è arretrata anche nelle città medie e nei capoluoghi di provincia. Ma si può rappresentare e governare “un territorio” restando esclusi dalle capitali?3. Il centrodestra soffre di una crisi di consenso per molti versi nuova.
In passato, infatti, Lega e Pdl disponevano di un bacino elettorale comune. Edmondo Berselli lo aveva definito, con un neologismo efficace, “forzaleghismo”.
Così, le crisi della Lega corrispondevano alla ripresa di Forza Italia. E viceversa.
Oggi non è più così. Quel bacino è esondato. E i due partiti hanno perduto entrambi.
4. Anche perchè Forza Italia non c’è più. Al suo posto, il Pdl, che aggrega anche An.
Ha una base elettorale in prevalenza centro-meridionale.
La Lega, a sua volta, ha assunto un’identità governativa. Infatti, esprime i sindaci di centinaia di Comuni, i presidenti di 14 Province e 2 Regioni. E sta nel governo, a Roma. Insieme a Berlusconi.
Usa un linguaggio da opposizione dura e comportamenti pragmatici e tradizionali. Anche a livello locale, dove, con i propri uomini, ha occupato enti amministrativi e finanziari.
Ma la distanza fra comportamenti e parole è troppo stridente per non saltare agli occhi degli elettori.
5. Nel Nord è in atto una profonda trasformazione economica e sociale.
Ha scosso alle fondamenta il sistema finanziario, la grande e la piccola impresa. Ha modificato le basi demografiche e gli stili di vita della società .
Molte zone, che fino a poco tempo fa si consideravano al sicuro dalla crisi, oggi si sentono vulnerabili.
I metodi di rassicurazione fondati sulla paura del mondo e degli stranieri non rassicurano più. E i miti della Padania e dell’Uomo-che-si-è-fatto-da-sè non bastano più a dare risposte e identità al Nord.
6. Anche per questo, dopo alcuni anni, il centrosinistra è tornato. Per limiti altrui, ma anche per meriti propri.
Perchè dispone ancora di leader locali credibili ed esperti.
Perchè ha legami con la società civile ed è stato in grado di mobilitare la realtà locale.
Perchè le sue parole in questa fase appaiono meno aliene di quelle del centrodestra. Altruismo, bene comune, solidarietà incontrano più attenzione, nel senso comune, rispetto a individualismo, paure, interessi.
L’estremismo “moderato” e aggressivo di questi tempi, infine, ha stancato.
7. Circa l’eterogeneità delle coalizioni e il peso della cosiddetta sinistra radicale, conviene rammentare che raramente, in passato, queste differenze hanno provocato crisi locali. Perchè sindaci e governatori sono eletti direttamente dai cittadini e dispongono di una legittimazione forte. E perchè è più semplice trovare l’accordo sui temi concreti della società e del territorio che sui principi non negoziabili. La vita e la morte. La pace e la guerra.
8. Da questo passaggio elettorale, il centrosinistra esce rafforzato.
Ma deve trarne le giuste indicazioni.
In primo luogo: il Pd non può pretendere di essere partito dominante, nè tanto meno unico. Ma è, indubbiamente, il riferimento obbligato di ogni coalizione.
Non bisogna, poi, scambiare le consultazioni locali con quelle nazionali. Anche se l’Italia è un Paese di città e regioni.
E tutti i cambiamenti politici, sociali e culturali sono avviati e annunciati a livello territoriale. Infine: guai a rassegnarsi, al “complesso del reduce”.
Allo “sconfittismo”.
Se è possibile vincere a Milano e nel Nord, allora nulla è impossibile. Neppure a livello nazionale.
Ilvo Diamanti
(da “La Repubblica“)
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Maggio 25th, 2011 Riccardo Fucile
PIU’ TASSE PER TUTTI PER FAR CONTENTA LA PADAGNA DEL MAGNA MAGNA… AUMENTATA L’ADDIZIONALE IRPEF, LA TASSA DI SOGGIORNO E IL PASSAGGIO DI PROPRIETA’… ARRIVA L’IMU E LA TASSA DI SCOPO
Il principio era piuttosto semplice: meno spese, meno tasse, cittadini più contenti, più
consenso per i bravi amministratori locali.
Ma nonostante l`euforia di Bossi, non sarà così: il federalismo in salsa italiana sarà l`occasione per un aumento spropositato della pressione fiscale locale già tra le più alte in Europa.
Fare un primo bilancio è possibile ora che, dopo un iter lungo e tortuoso, i due decreti chiave sono giunti in porto: il federalismo municipale (pubblicato nelle settimane scorse sulla Gazzetta ufficiale) e il federalismo regionale e provinciale, appena firmato da Napolitano e atteso ad ore sulla Gazzetta ufficiale.
Due leggi che arrivano prima delle elezioni ma che non è detto che facciano bene alla maggioranza.
Grazie alle nuove norme i governatori delle Regioni italiane potranno aumentare l`addizionale Irpef, che oggi non può superare l`1,4%, fino al 12,1% nel 2014 e al 13% nel 2015 (si salveranno solo i redditi sotto i 28 mila euro lordi).
Solo in zona Cesarini si è evitato uno «scongelamento» fin da quest`anno.
Se per quest`anno l`intervento delle Regioni è stato fugato, i Comuni avranno invece il disco verde: le nuove leggi federali prevedono che fin dal 2011 i circa 4.000 comuni che attualmente hanno adottato una addizionale inferiore allo 0,4% per cento potranno aumentarla nella misura di uno 0,2% all`anno per un biennio.
Dal 2013 tana libera tutti: tutti i Comuni che sono sotto, potranno raggiungere lo 0,8%.
La sventagliata di aumenti presenti e futuri non finisce qui.
Se ne parlerà nella prossima legislatura, ma la norma è già in vigore: dal 2014 entrerà in vigore l`Imu, imposta municipale unica, che di fatto sostituisce l`Ici e che sarà fissata al 7,6 per mille del valore catastale di una abitazione.
L`Imu sarà più alta del 7 per mille dell`Ici, ma comprenderà anche l`Irpef sul possesso della seconda casa.
Lo scambio converrà ai contribuenti?
Certamente non a tutti, perchè i sindaci avranno la facoltà di portare l`aliquota fino al 10,6 per mille.
Senza contare artigiani, commercianti e professionisti: oggi sono esenti dall`Ici al 50 per cento sui fabbricati strumentali ma dal 2014 dovranno pagare interamente l`aliquota Imu.
Tutto qui? No.
Il federalismo apre la strada ad una serie tasse locali nuove di zecca.
La tassa di soggiorno, ad esempio, contestata duramente dagli albergatori, andrà da 1 a 5 euro a notte ed è già in vigore.
Potranno utilizzarla tutte le località turistiche, ma anche i Comuni che, pur non avendo mai visto un turista, decideranno di consorziarsi con la vicina località balnerare.
Dietro l`angolo, esplicitamente prevista dalla legge federale, c`è anche la tassa di scopo: non è una invenzione di Berlusconi e Tremonti, nacque con il governo Prodi.
Tuttavia in quella versione i Comuni potevano imporre una maggiorazione dell`Ici dello 0,5 per mille ma se l`opera non veniva realizzata entro due anni la tassa doveva essere restituita al contribuente.
Oggi, al contrario, il tempo che viene concesso alla pubblica amministrazione per completare l`opera è assai generoso: 8 anni, ben più di un mandato di un sindaco.
Anche le Regioni avranno la propria tassa di scorta: potranno applicare tributi su basi imponibili non soggette ad altre imposizioni.
Chi rischia?
Se si escludono caminetti e finestre, si può pensare a tasse sulle abilitazioni professionali o sul passaggio di cavi elettrici e condotte.
Ci sarà lavoro per le Commissioni tributarie e, forse, per la Corte costituzionale. Intanto il cittadino dovrà pagare.
Il federalismo fa la respirazione artificiale anche alle Province che gran parte dello schieramento politico giura di voler abolire.
A fare da donatori di sangue sono gli automobilisti: la legge prevede aumenti dell`Imposta provinciale di trascrizione di un veicolo, nuovo o usato, al Pra (il pubblico registro automobilistico) che arriveranno, in alcuni casi, fino al 600%.
Una norma che ha scatenato la protesta di pezzi importanti del nostro mondo produttivo come i costruttori di auto dell`Anfia e dell`Unrae e una serie di interrogazioni parlamentari.
Come se non bastasse, sempre a sfavore dell`automobilista e a favore delle casse delle province, aumenta la tassa assurda che paghiamo sulle polizze Rc auto che oggi è pari al 12% e che potrà essere elevata fino al 15%.
L`Italia federale sarà fondata sul motto “più tasse per tutti”.
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Maggio 17th, 2011 Riccardo Fucile
NON E’ SOLO MILANO IL PROBLEMA DI BOSSI E BERLUSCONI: DA BOLOGNA A SAVONA, DA VARESE A ROVIGO, I DUE PARTITI LASCIANO SUL TERRENO DECINE DI PUNTI IN PERCENTUALE…E QUANDO PERDONO (COME A TORINO) SI RIDUCONO A QUOTE DI SOPRAVVIVENZA
Un abbraccio se non mortale, quantomeno velenoso. 
La Lega di governo affonda insieme al Pdl in una delle peggiori giornate elettorali di Berlusconi e del centrodestra.
Un dato per tutti che riguarda la provincia di Treviso che, pure, il centrodestra conquista al primo turno col 57,6%.
Il presidente leghista Leonardo Muraro si conferma con la stessa percentuale del 2006, ma la Lega Nord perde quasi il 20 per cento in un anno passando dal 48,5% delle regionali 2010 al 29,6% di oggi.
Il Pdl cede molto meno (circa il 2%) ma passa dal 15,5% al 13,7%, percentuali decisamente basse rispetto al 27,3% delle politiche del 2008.
E non è un caso isolato.
Perchè, andando a spulciare (per quanto possibile dal momento che pochi risultati sono definitivi) tra i dati che arrivano dai comuni e dalle province del Nord, si assiste a un fenomeno che ha quasi sempre lo stesso segno: il Pdl arretra e la Lega frena vistosamente.
A cominciare da Bologna dove Merola (Pd) ce la fa di poco, ma il centrodestra si ferma ben lontano da un risultato accettabile col 30,36% del giovane Manes Bernardini.
Qualche mese fa, in momenti migliori, la Lega aveva accarezzato l’idea di abbattere a Bologna (per la seconda volta dopo Guazzaloca) il consolidato potere del centrosinistra.
L’occasione, dopo la rovinosa caduta di Delbono, era ghiotta, ma la Lega non è riuscita ad essere un fattore di peso in queste elezioni.
La sua crescita è evidente: dal 3,1 delle comunali del 2009 al 10,73 di oggi. Ma, in mezzo, c’era già stato l’8,57% delle regionali dell’anno scorso.
I due punti in più non sono quello che Bossi e i suoi si aspettavano da Bologna.
Nè, probabilmente, il Pdl si aspettava di perdere quasi 9 punti passando dal 25,23 delle regionali al 16,51% di queste comunali.
Ma, oggi, quello che deve far pensare gli uomini del Carroccio bolognese è il fatto di essere stati quasi raggiunti dai grillini a 5 stelle, veri vincitori di queste elezioni che toccano il 9,44 per cento.
Un fenomeno, che, con qualche differenza, si può leggere quasi dappertutto nel Nord e che pone un serio problema di lettura politica del risultato a Bossi e al suo stato maggiore.
Castelli ha cercato di ridurre tutto al problema di Milano e Calderoli ha ricordato che la Lega aumenta i suoi sindaci (rispetto al 2006 non ci voleva molto), ma i numeri, per quanto ancora incompleti, sono piuttosto impietosi.
Partiamo proprio da Milano dove è ormai chiaro che Pisapia andrà al ballottaggio con circa il 48% dei suffragi e un netto vantaggio (circa sette punti) sulla Moratti.
Ebbene, mentre il Pd risale al 28,6% (aveva ottenuto il 26,3% alle regionali dell’anno scorso), il Pdl lascia sul terreno oltre sette punti passando dal 36,01% al 28,8% di oggi.
E anche qui, lo scivolone del partito di Berlusconi (forse prevedibile) non viene compensato dalla Lega “di lotta e di governo” che, pure, ha appena conquistato l’agognato federalismo.
Sembra, insomma, che gli elettori colgano più l’appiattirsi di Bossi sui temi berlusconiani (giustizia, lotta alla magistratura e intervento in Libia) che il suo tentativo di distinguersi che si è concretizzato, nelle ultime settimane, in alcune significative prese di distanza.
La Lega, in proporzione, fa persino peggio dei suoi partner berlusconiani e, rispetto alle regionali del 2010 perde quasi cinque punti passando dal 14,49% al 9,67%.
Bossi, dunque, lascia in piazza del Duomo un terzo del suo elettorato e, questa sera, ha chiaro che l’impresa di (ri)conquistare Milano in due settimane è quasi disperata.
Anche perchè intorno alla Moratti si respira aria di sconfitta, un’aria che, in politica, non ha mai attirato nessuno.
Ma il fenomeno non ha eccezioni.
Basta uscire di pochi chilometri da Milano per arrivare a Varese dove il sindaco leghista Attilio Fontana (che nel 2006 era passato tranquillamente al primo turno col 57,8% dei voti), è costretto, questa volta al ballottaggio.
Con 3 sezioni da scrutinare su 85, è fermo al 49,15% ed è praticamente certo che, fra due settimane a Varese si voterà di nuovo.
Lega e Pdl sono alla pari: 24,39% (Pdl), e 24,01% (Lega) ma, insieme, perdono circa l’11%: 8 punti il Pdl e almeno 3 la Lega.
Cambiando regione, c’è il caso di Savona dove un candidato del Pd è stato arrestato nei giorni scorsi a causa di una serie di malversazioni e di un giro di tangenti legato a una squadra locale di calcio.
Molti hanno pensato che il sindaco uscente Federico Berruti l’avrebbe pagata cara e che il centrodestra aveva davanti una grossa occasione per tornare al governo del comune del Ponente ligure.
Niente da fare, a fine scrutinio, Berruti è oltre il 57% (l’altra volta venne eletto con il 59,5%) e lo scandalo non sembra averne scalfito la forza.
Il Pdl è al 16% (aveva il 24,2%) e la Lega si deve accontentare del 5,3% (partiva dall’8,7%).
Situazione analoga a Pavia dove il centrodestra è costretto al ballottaggio (43,9% contro il 34,1% del centrosinistra) e il Pdl passa dal 30,4% delle regionali al 22,7.
La Lega ha lo stesso andamento negativo e scende dal 28,2% al 21,5%. Stesso discorso alla Provincia di Gorizia che il centrosinistra conquista al primo turno: il Pdl scende dal 31,3% al 17,5%, qui, però, la Lega recupera qualcosa passando dall’8,2 al 13,5.
Anche a Mantova (ballottaggio con i due contendenti alla pari poco sopra il 41%) entrambi i partiti del centrodestra perdono: il Pdl lascia sul terreno quasi dieci punti (dal 29,2% al 19,7%) e la Lega solo due (dal 22 al 20,4).
Dove, poi, la sconfitta è inequivocabile, come a Torino , si assiste al pesante ridimensionamento del centrodestra che si riduce di una decina di punti passando dal 32% complessivo delle regionali al 24% circa di oggi.
Il Pdl è al 17,9% e la Lega al 6,7%.
Quote quasi marginali nella seconda città del Nord.
A Rovigo, infine (altro ballottaggio imprevisto per il centrodestra), Pdl e Lega perdono insieme ben 18 punti: i berlusconiani calano dal 33 al 23 e il Carroccio passa dal 19,4% all’11,2%.
I numeri, dunque, non lasciano dubbi.
L’alleanza del Nord, questa volta, non ha funzionato: Lega e Pdl, pagano cara la sensazione data agli elettori di essersi occupati molto dei problemi di Berlusconi ma poco di quelli del Paese.
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Maggio 9th, 2011 Riccardo Fucile
L’ASSESSORE DELLA LEGA DI CASTEL MELLA PASSA DIRETTAMENTE DAL CARCERE ALLA CAMPAGNA ELETTORALE…ERA FINITO IN MANETTE CON L’ACCUSA DI PECULATO, INSIEME AD ALTRI, PER TANGENTI…LA LEGA, A PAROLE, LO AVEVA SOSPESO, ORA FA FINTA DI DIMENTICARSI DI AVERLO IN LISTA
Indagato e candidato.
E non è uno scherzo perchè Mauro Galeazzi, una volta scarcerato, ha confermato la sua candidatura alle amministrative nel comune bresciano di Castel Mella.
L’assessore della Lega Nord (e portaborse dell’assessore provinciale Prandelli) accusato di peculato e atto contrario a dovere d’ufficio ha infatti ribadito la sua presenza nella lista elettorale.
Bando alle ciance e pure alla sospensione ricevuta dalla sezione provinciale del partito di Bossi.
Il leghista Galeazzi sarà in lista a perorare la causa dei tanti “onorevoli politici” che, pur essendo indagati ritengono utile per il Paese la loro candidatura.
Ma torniamo alle vicende di Galeazzi legate alla tangentopoli scoppiata ad aprile nella più leghista delle province padane: Brescia.
In manette oltre a lui erano finiti il collega di partito Marco Rigosa (capoufficio tecnico di Galeazzi e a sua volta assessore in un altro Comune), un geometra e il futuro costruttore del centro che doveva sorgere in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale.
La tangente sarebbe dovuta servire per ammorbidire la Soprintendenza.
Tutti rimangono agli arresti domiciliari ad eccezione di Galeazzi che ricevuta la notizia del provvedimento che annulla la sua custodia cautelare ha ufficialmente aperto la sua campagna elettorale.
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Maggio 2nd, 2011 Riccardo Fucile
LA LEGHISTA DELLA VALCAMONICA CHE HA SVEZZATO RENZO BOSSI PER POI DIVENTARE ASSESSORE LOMBARDO ALLO SPORT, OLTRE ALLA MAGA DI FIDUCIA ORA E’ CHIACCHIERATA PER AVER ORDINATO DOSSIER AI DANNI DI AVVERSARI INTERNI DEL SUO STESSO PARTITO
Protagonista, un sottufficiale della Guardia di finanza in forza al Comando provinciale di Brescia, il maresciallo Francesco Cerniglia, in contatto con l’assessora e la sua maga.
Avrebbe creato dossier illegali su esponenti del Carroccio considerati “traditori” della Lega o comunque concorrenti o avversari personali di Monica Rizzi.
Tra le vittime del dossieraggio ci sarebbero l’ex consigliere regionale Ennio Moretti, il vicesindaco di Salò, un dirigente dalla Asl di Mantova e due giornalisti, Marco Marsili, ex addetto stampa di Monica Rizzi, e Leonardo Piccini, collaboratore del “Fatto Quotidiano”.
Sono gli ultimi due a sostenere che il maresciallo avrebbe redatto dossier illegali, anche attingendo informazioni da banche dati delle forze di polizia.
Accuse gravi.
Sarà ora la Procura di Brescia, a cui i due giornalisti si sono rivolti, a verificare se le loro denunce sono fondate.
Una prima conferma la dà Giulio Arrighini, ex parlamentare del Carroccio poi uscito dal partito e oggi segretario nazionale della Lega Padana.
Racconta di aver ricevuto la visita di un misterioso personaggio che non si è presentato, ma gli ha fatto vedere un faldone pieno di cartelline con notizie sulla vita privata di esponenti della Lega.
Arrighini ha annusato odor di vendette interne al partito e ha detto di non essere interessato alla merce.
Non ha alcuna certezza, naturalmente, che si trattasse di Cerniglia o di materiale riconducibile a lui.
Secondo i due giornalisti che hanno presentato la denuncia, però, il maresciallo collabora, nel tempo libero, con la Cagliostro Investigazioni, un’agenzia privata di Brescia che fa capo proprio ad Adriana Sossi, la maga di Monica Rizzi nonchè autrice dell’imperdibile libro “La mia vita con gli spiriti”: Adriana è in contatto, beata lei, con “un extraterrestre della galassia di Oron”, ma è anche beneficiaria di una collaborazione remunerata (4 mila euro) con la Regione di Roberto Formigoni.
Ottenuta naturalmente grazie a Monica Rizzi, che già da mesi deve affrontare cattiva stampa a causa di alcune sue mosse false.
La prima è l’esibizione di un titolo di “psicologa e psicoterapeuta infantile”, specializzata nel “recupero dei minori abusati”, senza ahimè essere iscritta all’Albo degli psicologi, nè avere uno straccio di laurea.
La seconda è una letteraccia, rivelata dal “Fatto Quotidiano” il 10 marzo, inviata all’assessore al lavoro della Provincia di Brescia per protestare contro una funzionaria dell’ispettorato provinciale del lavoro colpevole di aver fatto i controlli di legge in aziende in cui è coinvolto il suo fidanzato, l’imprenditore Alessandro Uggeri.
Ora arriva la storia dei dossieraggi.
Chissà se la sua maga di fiducia l’aveva previsto.
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