CIAO ANITONA, DALLA DOLCE VITA ALLA FINE AMARA
AVEVA SAPUTO INCARNARE LO ZEITGEIST E SIGLARE UNA PAGINA DI CINEMA DESTINATA A FARE STORIA
“Anita come here! Hurry up!”. Piace pensare che Marcello Mastroianni e Federico Fellini infine abbiano contraccambiato l’invito, e l’abbiano voluta chiamare a sè. Dimenticate la Fontana di Trevi, archiviate la Dolce Vita, oggi anche l’ultima protagonista di quella scena icastica non c’è più: addio Anitona, come l’apostrofava ammirato il maestro riminese, addio Sylvia, addio pelle diafana in vestito da sera e bianco e nero d’artista.
Statuaria, prosperosa, simbolica, con un dècolletè antigravitazionale, i seni che erano subito Boom, carnale ipoteca sull’immaginario collettivo.
Se oggi per noi significa Ikea, c’è stato un tempo, remoto ma non immemore, in cui la Svezia era Anita Ekberg: non la trovavi sugli scaffali, ma la vedevi e la desideravi ovunque.
Larger than life, sicuramente più eloquente delle capacità attoriali , era una palese promessa di felicità , bionda non algida, tanta come crescita economica imponeva.
La ribattezzarono Iceberg, epiteto corretto solo associato al Titanic: amante di Gianni Agnelli, destinataria della proposta di matrimonio di Frank Sinatra, amante di Dino Risi, vicina, chissà quanto e come, allo stesso Fellini.
La Masina non la soffriva, ma Anita fu tra i pochissimi a starle vicina dopo la morte di Federico.
Contraddizioni solidali , del resto, la Ekberg era Ghiaccio bollente, ossimoro da diva. È morta ieri a 83 anni, Anita, nella clinica San Raffaele di Rocca di Papa, non lontana da quella Genzano dove aveva casa.
Periferia dell’impero, ma impero di sogni mirabilmente impastati alla realtà che lei stessa aveva contribuito a creare, immergendosi in quella fontana baciata dal mito. Esilio, dunque, ma quanto volontario?
A Genzano, ai Castelli veniva a trovarla Gianni Agnelli. La loro passione è un omissis affidato alla leggenda dei grandi amori clandestini.
Schiva, forse solo signora, della relazione parlò unicamente dopo la scomparsa dell’Avvocato.
“Se non fosse morto, sarebbe ancora lui il mio uomo ideale!”, confessava a Chi nel 2011, quando già viveva di soli ricordi e sopravviveva tra gli stenti: aveva chiesto aiuto alla Fondazione Fellini, purtroppo altisonante nel nome, non nelle casse. Derubata di gioielli e mobili, la casa bruciata, un femore fratturato, Anita incontrava un destino ingrato, beffardo, persino inconsulto per chi giocando con uno spruzzo d’acqua, triangolando con Marcello e Federico aveva saputo — letteralmente — incarnare lo Zeitgeist e siglare una pagina di Cinema destinata a fare Storia.
Al posto giusto nel momento giusto, in quell’acqua pagana e lustrale insieme Anita elevava a potenza globale la corona di Miss Svezia ottenuta nel 1950: “La Dolce Vita era lei, le donne belle e bellissime erano tante, c’erano la splendida Virna Lisi, la stratosferica Sophia Loren, ma Anita era alta, bionda e pure straniera, di fatto — ricorda il paparazzo Rino Barillari — una combinazione vincente”.
Nata A Malmà¶ il 29 settembre 1931, scoperta dall’eccentrico miliardario Howard Hughes e trasferita in America nei primi ’50, aveva iniziato in Viaggio sul pianeta Venere (1953) con Gianni e Pinotto, Artisti e modelle (1955) con Jerry Lewis e Dean Martin, coppia ritrovata in Hollywood o morte! di Frank Tashlin.
Poi, nel 1959, l’Italia: Nel segno di Roma, è la regina Zenobia che si ribella all’Impero.
L’anno dopo la chiama Fellini, che lo farà altre tre volte: “Le tentazioni del dottor Antonio” in Boccaccio ’70 (1962), I clowns (1970) e Intervista (1987). Due mariti attori, Anthony Steel (1956-1959) e Rik Van Nutter (1963-1975), Anita sceglie l’Italia, ma la china è vicina: i ’70 passano tra commedie sexy (Casa d’appuntamento, con Barbara Bouchet), spaghetti western (La lunga cavalcata della vendetta) e Suor Omicidi.
Ancor peggio gli anni ’80: il fisico non regge, sex symbol è passato remoto, il presente la vuole madre di Valeria Marini in Bambola di Bigas Luna…
Funerali in programma tra oggi e domani a Roma con rito luterano, le ceneri verranno poi custodite a Malmà¶, ma noi vogliamo ricordare Anita con l’esortazione di Fellini alla Fontana di Trevi: “Always Smile!”.
Federico Pontiggia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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