CON LE REGIONALI CAMBIA LA RETORICA DI MELONI ASSO PIGLIATUTTO
IL NERVOSISMO DEI GERARCHI E’ ORMAI EVIDENTE
Se avessi un dollaro per ogni volta che ho sentito la frase “il vento sta cambiando” sarei milionario, quindi lascerei da parte gli entusiasmi troppo facili e mi concentrerei sui dati reali: chi governava le regioni prima delle elezioni le governerà anche dopo, un buon pareggio è meglio di una sconfitta. Eppure dire che niente è cambiato è sbagliato tanto quanto, perché risulta innegabile che la situazione è in movimento, e il dato che colpisce più di tutti è questo: l’invincibile armata di Giorgia Meloni non è invincibile per niente, anzi risulta piuttosto fragile. Considerava contendibile la Campania, dove ha perso per decine di punti, e vagheggiava di un sorpasso veneto sulla Lega, dove è stata più che doppiata grazie al candidato leghista meno salviniano che c’è, Luca Zaia.
Il nervosismo dei gerarchi è palpabile, a cominciare dall’ineffabile Donzelli che a urne appena chiuse già prospetta di cambiare la legge elettorale che, sia detto en passant, è una cosa che porta un po’ sfiga, perché tradizione vuole che chi ha cambiato la legge elettorale per vincere le elezioni, quasi sempre poi le ha perse.
Siccome l’analisi del voto è una faccenda complicata che richiederà tempo, calcoli e analisi raffinate, fermiamoci un passo prima, alla distanza tra il mondo come viene descritto dalla propaganda governativa e il mondo com’è, distanza piuttosto siderale. Uno dei refrain più gettonati dell’ultimo anno, per esempio, era la formuletta magica che “con un’opposizione così, Meloni governerà per altri x anni” (inserire cifra a piacere che va dai decenni ai secoli), ed ecco che all’improvviso la formuletta non funziona più. Questo dipende forse dal fatto che il Paese reale è un po’ diverso da quello che ogni sera ci viene raccontato a reti quasi unificate. Un paese garrulo e felice, dove tutto va a gonfie vele, l’economia tira, l’occupazione cresce, civiltà e progresso procedono a braccetto a passo di carica, le agenzie di rating ci promuovono e il/la premier viene osannato/a ogni volta che compare sulla scena: mi scuso per aver descritto così in fretta il Tg1. Ma insomma, certe cronache e certe analisi ricordano da vicino, in caricatura e in sedicesimo, alcuni regimi tragicomici dove si sbandierano successi (per pochi) per coprire il disastro (per tutti gli altri).
Nella narrazione corrente aveva dunque preso piede una specie di monito: “Uscite con le mani alzate”, che prevedeva un totale fallimento della linea Schlein nel Pd e un mesto tramonto di Giuseppe Conte su cui da anni si esercitano sarcasmi e ironie.
Insomma, a perdere malamente le Regionali – pur pareggiando – non è solo Meloni e la sua truppa di squinternati, ma anche i teorici del “troppa sinistra”, i centristi che vagheggiavano l’assalto alla segreteria.
La buona notizia, dunque, non è tanto il risultato, l’onorevole pareggio, ma la sensazione che la propaganda non risolva proprio tutti i problemi e che far sfilare in cerchio le truppe possa sì farle sembrare molto numerose, ma soltanto ai fessi che ci cascano. Gli altri, i pochi che vanno a votare, vedono un altro Paese, quello reale, dove Giorgia Meloni è battibile nonostante la capillare occupazione di ogni spazio di potere disponibile.
(da ilfattoquotidiano.it)
Leave a Reply