CONTRORDINE SERVI ZELANTI, LA LIBERAZIONE DI ALMASRI E’ RAGIONE DI STATO
I NUOVI IMPUT GOVERNATIVI AI MEDIA SOVRANISTI: NON SONO PIU’ STATI I GIUDICI A SCARCERARE IL TORTURATORE DI TRIPOLI, MA E’ STATA UNA SCELTA PER IL PAESE
Tra i difensori d’ufficio della premier sul caso Almasri, il più esagitato è Bruno Vespa. Un’arringa strillata e sopra le righe per il decano di Rai Uno: “In ogni Stato si fanno delle cose sporchissime! Anche trattando con i torturatori, per la sicurezza nazionale. Questo avviene in tutti gli Stati del mondo!”. I suoi “cinque minuti” per Giorgia Meloni, giovedì sera, hanno fatto sobbalzare i colleghi dell’Usigrai: “Così non è informazione, ma propaganda che sa di regime”.
L’editorialino di Vespa è il culmine di una contorsione logica in atto da giorni. All’inizio la destra aveva scaricato la scarcerazione del “torturatore di Tripoli” sulla magistratura italiana. “Una questione giuridica evidentemente imposta dai giudici”, era il primo commento di Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia, il 22 gennaio. Concetto ripetuto da Antonio Tajani, ministro degli Esteri, il 23 gennaio: “C’è stato un vizio, la magistratura è indipendente, ha agito nel rispetto del diritto. E in ogni caso la Corte dell’Aia non è la bocca della verità”.
In soccorso del governo, come sempre, la stampa amica. Il 23 gennaio il Giornale di Alessandro Sallusti titolava in prima pagina: “Criminale di guerra libero, l’errore è dei magistrati”. Libero agitava teorie cospirative: “Le strane coincidenze sul libico arrestato in Italia”. E il direttore Mario Sechi le spiegava su La7: “Sapevano tutti dov’era questo signore, eppure casualmente il mandato d’arresto della Corte penale internazionale viene inviato quando Almasri è in Italia”.
Passano pochi giorni e arrivano gli avvisi di garanzia per Meloni, Nordio, Piantedosi e Mantovano. I toni si alzano e la linea – impossibile da mantenere – cambia radicalmente.
Contrordine: la scelta su Almasri è politica, la premier ha agito per tutelare l’interesse nazionale ed è combattuta dalle solite toghe rosse. Riecco Tajani, giovedì 30 gennaio: “Il problema è la scelta di un magistrato (il procuratore di Roma, Francesco Lo Voi, ndr). Un servitore dello Stato, prima di fare delle scelte a mio giudizio più che azzardate, deve pensare se fa o meno l’interesse dell’Italia”. Ma la magistratura non era indipendente? Per difendere l’inerzia del Guardasigilli Carlo Nordio, lo stesso Tajani espone una teoria quasi comica: “Non era semplice, c’era un documento di 40 pagine con le accuse in inglese, da tradurre”. Ironicamente, lo stesso Nordio aveva accusato i magistrati italiani di aver interpretato male la Corte Ue sui migranti in Albania perché non sapevano tradurre il francese, ma questa è un’altra storia.
Il cambio di linea di Meloni e i suoi è ancor sostenuto con energia dai giornalisti vicini. Nicola Porro offre il microfono alla premier durante la kermesse “La Ripartenza” e la lascia sfogare contro le toghe. Sechi, ex capoufficio stampa di Meloni a Palazzo Chigi, dà il meglio di sé. Su Libero definisce Meloni “La Cavaliera Nera” – facendo l’eco sia a Berlusconi che alla celebre barzelletta di Gigi Proietti – e poi “La Ducia”. Senza ironia, con ammirazione. La sua prima pagina di ieri è da libro Cuore: “La rabbia e l’orgoglio di Giorgia. ‘Indagarmi un danno alla Nazione’”. Il sempre eccentrico Tommaso Cerno, direttore del Tempo derubrica l’indagine su Meloni a “un ridicolo golpetto piccolo-borghese della sinistra”.
Sul suo giornale però le dedica una spettacolare prima pagina, con foto di Giorgia circondata dalle toghe rosso fuoco dei magistrati e la scritta a caratteri cubitali: “Sotto attacco”.
La Verità di Maurizio Belpietro si dedica in questi giorni ai presunti scheletri nell’armadio degli “accusatori” di Meloni, Lo Voi e Luigi Li Gotti. Il Giornale torna a parlare di complotto: “Dietro il caso Almasri le manovre degli 007 della Germania per danneggiare il governo italiano” (e il solito Delmastro gli va dietro: “Occorre un chiarimento in Europa, sarebbe un fatto gravissimo”. Mentre per Giuseppe Cruciani, titolare della Zanzara su Radio 24, “gli Stati democratici trattano con i figli di puttana. Che si diceva prima di Gheddafi? È il nostro figlio di puttana. Ecco, questo Almasri è il nostro figlio di puttana” e in fondo persino “un patriota, perché evidentemente non ci fa arrivare i migranti in Italia”.
È la ragione di Stato dello scatenato Vespa: “Lo sanno tutti che in ogni Stato si fanno cose sporchissime”. Ma pure in molte redazioni.
(da ilfattoquotidiano.it)
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