DALL’EUROPA GUAI PER LETTA: IN SERATA CAMERON BLOCCA L’ACCORDO
IL PREMIER INGLESE FERMA L’ACCORDO SUL BILANCIO 204-2020 DELL’UNIONE EUROPEA E SENZA BILANCIO NIENTE FONDI PER COMBATTERE LA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE
Il Consiglio europeo di ieri sembrava avviato a regalare a Letta l’unico risultato davvero ottenibile: quello di immagine.
Da giorni circolavano le bozze delle conclusioni del summit: anticipo dei 6 miliardi del programma Youth Guarantee, invece di spenderli in sette anni venivano spostati su 2014-2016, pronti all’uso per i Paesi con disoccupazione giovanile sopra il 25 per cento (la quota italiana è circa 400 milioni).
Più ulteriori margini di flessibilità per i singoli Paesi che, contando su un po’ di risorse europee, potevano risparmiare qualcosa dai bilanci nazionali e usare anche quei soldi per i giovani senza far aumentare il deficit.
Ma Cameron blocca tutto: con la spregiudicatezza tattica che fu a suo tempo di Margaret Thatcher (“I want my money back”, ridatemi i miei soldi).
Nel progetto di bilancio su cui il Parlamento europeo aveva trovato l’accordo ieri mattina — dopo mesi di negoziati — la Gran Bretagna rischiava di rimetterci 3,5 miliardi, complice una riforma della Politica agricola comunitaria (i sostegni al-l’agricoltura) ispirata dalla Francia.
E quindi, con la benevola indifferenza di Angela Merkel, Cameron mette il veto sull’intero bilancio che ha bisogno dell’unanimità .
Nella notte Letta e il suo ministro per gli Affari europei Enzo Moavero hanno difeso un’altra conquista italiana che all’improvviso non sembrava scontata: la possibilità di fare 8 miliardi in più di deficit nel 2014 per co-finanziare investimenti, rimanendo a un soffio dalla soglia del deficit al 3 per cento del Pil.
“Ma come, sta finendo il bilancio 2007-2013 e dovete ancora spendere 30 miliardi tra nazionali e fondi europei, e ne volete ancora? Non sarà che vi servono semplicemente per mantenere i vostri assurdi livelli di spesa?”, obiettano gli sherpa rigoristi ai tavoli tecnici.
Non è la sola notizia preoccupante per Letta.
La Banca europea degli investimenti, guidata (e non è una coincidenza) da un tedesco, Werner Hoyer, è più preoccupata di salvare il proprio rating tripla A e quindi riduce gli esborsi nei Paesi come l’Italia, violando un po’ la sua natura.
Ma anche l’accordo raggiunto dall’Ecofin, il coordinamento dei ministri economici, all’alba di ieri preoccupa Letta e il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni: le nuove regole per gestire i fallimenti bancari prevedono che, prima di far intervenire lo Stato e il fondo europeo Esm, le perdite siano caricate sugli azionisti e sui creditori meno tutelati. I singoli Stati, poi, hanno dieci anni per costruire un salvadanaio alimentato dalle singole banche (con un prelievo sugli utili) che possa intervenire a ridurre i danni quando si liquida un istituto.
Una specie di assicurazione.
Sono i primi passi concreti dell’Unione bancaria annunciata un anno fa che però ha un problema: non partirà prima del 2018.
E nel mezzo l’Italia, con le sue banche piene di crediti deteriorati e bisognose di risorse fresche, si trova senza difese: in caso di crisi bancaria non potrà contare sull’aiuto dell’Europa e neppure sui nuovi strumenti a livello nazionale, non ancora pronti. I problemi di domani, però, affliggono Letta meno di quelli immediati.
Il Pdl ha ottenuto il rinvio di tre mesi dell’aumento dell’Iva ma non esulta, il capogruppo alla Camera Renato Brunetta ringhia più di prima. “Volevano il rinvio? Gliel’abbiamo dato. Ma adesso trovino loro le coperture se sono così bravi”, dicono nei corridoi di Palazzo Chigi. A parte le tasse sulle sigarette elettroniche, la copertura nel decreto non c’è: aumentare gli acconti Irpef e Ires a dicembre, come ha ricordato ieri Letta, “non significa aumentare le tasse”.
È solo un trucco contabile, un anticipo di soldi dal 2014, politicamente una provocazione al Pdl che infatti è furente.
Quando il decreto arriverà in Parlamento bisognerà trovare i soldi veri. Per ora Silvio Berlusconi è quasi melenso: “Quando ho invitato Letta a fare un braccio di ferro con la signora Merkel non intendevo sminuire il ruolo del nostro capo del governo, ma rafforzarlo”.
Difficile che duri a lungo: perfino il ministro del Welfare Enrico Giovannini, guardando le previsioni del Pil di Confindustria, ieri ha detto che nel 2013 rischiamo di non stare sotto la soglia del 3 per cento del deficit.
E questo significa una cosa sola: manovra.
Parola che non piace a Berlusconi.
Stefano Feltri
(da “il Fatto Quotidiano”)
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