DI MAIO NON MOLLA LA POLTRONA: “PROVATE A SFIDUCIARMI”
PER ORA LA SUA CORTE FA QUADRATO E LO DIFENDE, MA LA RESA DEI CONTI SARA’ A BREVE
Luigi Di Maio è tormentato: fare un passo indietro da capo politico del Movimento o resistere? È arrivato a tanto, purchè finiscano gli attacchi, le critiche, la solitudine. L’idea di abbandonare tutto è stata condivisa dal leader M5S a vari livelli nelle ultime settimane, anche di governo, ma è sempre stata frenata dalla paura di quello che sarebbe venuto dopo.
Per Di Maio è il terrore di far naufragare l’ipotesi di un suo bis da capo politico fra meno di tre anni, quando terminerà il mandato. In gioco c’è il suo futuro. Per gli altri, è una carica di dinamite posta sotto le fondamenta dell’esecutivo giallorosso.
I sospetti su Conte
Ci sarebbe un nuovo capo politico o arriverebbe un direttorio allargato? E dove guiderebbe il Movimento?
Ecco perchè il giovane ministro degli Esteri, che non ne può più di essere il bersaglio facile di chiunque, anche degli ultimi peones del partito, pensa di sfidare i dissidenti agli Stati generali di marzo. «Mi sfiduciassero se ne hanno la forza».
Una sfida, non una resa. Ma è trapelato tutto troppo in fretta. E in modo incontrollato. Tanto da far sospettare al ministro degli Esteri che dietro tutto questo ci sia Giuseppe Conte. O meglio, qualcuno che vuole accrescere il potere politico nelle mani del premier. Perchè, è il suo ragionamento, «io in questo modo ne esco indebolito. E chi indebolisce me, rafforza lui».
Ieri ha incontrato il “team del futuro”, il gruppo di sei big che compongono la segreteria politica grillina, e ha fissato le date degli Stati generali: dal 13 al 15 marzo. In quei giorni, ogni cosa tornerà in discussione. Si potrà parlare di modifiche allo Statuto, di una nuova Carta dei valori, di rendicontazioni.
«Tutto è migliorabile», ha ammesso Di Maio durante l’assemblea congiunta dei parlamentari M5S, «ma criticare attraverso i giornali non è il metodo giusto. Ci sarà spazio per discuterne insieme agli Stati generali». Giorni in cui i senatori che hanno presentato il documento per defenestrare lui e Davide Casaleggio chiederanno di mettere ai voti le loro proposte. Di Maio potrebbe decidere di presentare una sua mozione (o appoggiare quella di un suo fedelissimo) che vada in una direzione parallela a quella dei senatori, ma meno dura, disinnescando la spinta alla tabula rasa che investirebbe lui e Casaleggio.
La scacchiera si potrebbe ribaltare, e infatti uno dei senatori promotori del documento, Mattia Crucioli, puntualizza al Secolo XIX che non servono le dimissioni di Di Maio, ma che venga sostituito da «un direttivo». Una mezza marcia indietro.
Il rapporto con Grillo
A preoccupare il capo politico, però, è soprattutto il nucleo romano che fa riferimento a Paola Taverna e Roberta Lombardi, i cui propositi, «non vengono supportati, ma — dicono nel M5S – nemmeno contrastati da Beppe Grillo».
D’altronde, Di Maio continua a dire l’opposto di ciò che chiede Grillo. Il fondatore vorrebbe il suo Movimento ben piantato nel campo progressista, mentre lui difende la «terza via», quella dell’equidistanza da Pd e Lega. E a Roma c’è Alessandro Di Battista. Anche lui vuole la testa di Di Maio, ma gioca una partita diversa da quella di Taverna e Lombardi, incentrata sulla caduta del governo e sul ritorno allo spirito sovranista.
È proprio Di Battista, con la sua difesa a spada tratta di Paragone, il 31 dicembre, a mandare su tutte le furie Di Maio e a far scattare per la prima volta nella testa del leader, esasperato, l’idea di «un gesto forte».
Quell’uscita dell’ex «fratello» (come si chiamavano tra di loro) è l’ultima goccia, caduta in un periodo in cui Di Maio si è «sentito molto solo», come ammette pubblicamente. Ma oggi lo Stato maggiore del Movimento, compresi Fraccaro e Bonafede, fa quadrato intorno al leader. E danno ai dissidenti appuntamento a marzo, per la resa dei conti.
(da “La Stampa”)
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