DIFFIDARE DALLE IMITAZIONI
L’AQUILA DIVENTA CAPITALE DELLA CULTURA PER IL 2026 PER AVER DETERMINATO LA VITTORIA DI MARSILIO IN ABRUZZO, MA QUALCOSA NEL PROGRAMMA NON TORNA
L’ Aquila sarà capitale italiana della Cultura per il 2026, è una bella città ed è una bella notizia, il terremoto è un fantasma da scacciare e una cicatrice da sanare, pazienza per i sospetti che la nomina (governativa) valga come ricompensa per il voto quasi compatto degli aquilani per la destra.
È il famoso spoils system (in italiano, spartizione del bottino), oggi a te domani a me, naturalmente contando che un domani sia ancora ipotizzabile.
Piuttosto, colpisce leggere che gli intendimenti dell’Aquila, espressi nelle carte presentate per la candidatura, siano così declinati, in cinque punti: multiculturalità, multiriproducibilità, multidisciplinarietà, multinaturalità, multitemporalità.
Vengono le traveggole solo a leggerle, sembrano il parto della più efferata cultura di sinistra, parolaia e vaga, velleitaria, illeggibile. Cose da pierre, cose da comunicazione modaiola.
Ma come? Noi qui ad aspettare, sia pure da spettatori pronti alla critica e financo al pernacchio, la restaurazione dei bei tempi andati, le tradizioni in palmo di mano, la lenticchia e la patata, gli arrosticini e le volarelle (e Lollobrigida benedicente), le chiese e le fontane, le processioni e i miti fondanti, le pietre e i monti, i canti antichi e solenni, la catena delle generazioni, magari l’emigrazione potente e feconda degli abruzzesi come contributo decisivo al progresso del mondo (tutte le migrazioni lo sono), e insomma un’alternativa vigorosa, e reazionaria, a questa modernità modaiola e querula.
E invece: questo multi-blabla? Manca solo qualche cenno alla trasversalità e a qualche work in progress.
Ma siamo impazziti? Vogliamo una destra di destra (possibilmente non manesca, ma di destra). Diffidiamo delle imitazioni.
(da La Repubblica)
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