FRACCARO BALLA DA SOLO MA ADESSO TRABALLA
RISCHIA L’ESPULSIONE DAL M5S PER AVER CERCATO DI VENDERE A SALVINI UNA PARTE DEI VOTI PER L’ELEZIONE DEL PRESIDENTE, DELEGITTIMANDO CONTE
Lo chiamavano il “sottosegretario alla presidenza di sé stesso” quando era stato spedito a Palazzo Chigi per controllare un po’ Giuseppe Conte e un po’ il Partito democratico ai tempi dell’alleanza giallorossa, oggi hanno aperto una procedura per valutarne l’espulsione.
Galloni non lusinghieri guadagnati sul campo da Riccardo Fraccaro, mesi e mesi nei quali è stato accusato dal suo stesso partito di non avere minimamente il polso di quel che succedeva a Palazzo Chigi, imputandogli di non esercitare il potere che quella casella da sempre ha conferito a chi l’ha occupata.
C’entra probabilmente il fatto che Conte, come sovente gli è successo, subì quella nomina anziché orchestrarla. Tra le condizioni che aveva posto per il ribaltone dalla Lega ai Dem c’era quella di scegliersi un suo uomo di fiducia, dopo aver capito dal fine lavorio di Giancarlo Giorgetti quanto potessero essere incisive e dunque pericolose le leve tirate da quella postazione di comando.
Conte incassò e si ritrovò Fraccaro a qualche corridoio di distanza, un rapporto cordiale ma un feeling mai sbocciato fino in fondo.
L’allora premier non lo coinvolse mai appieno sulle partite scottanti, il nostro continuò a lavorare silenziosamente intestandosi alcuni dossier specifici, lamentandosi con più di un interlocutore di essere depotenziato, non ascoltato dal presidente del Consiglio.
Si occupò in particolar modo di due temi, quello dello spazio, di cui aveva le deleghe, ma soprattutto il superbonus, che in poco tempo è diventato una bandiera per il Movimento, brandito come una clava nell’ultima e fallimentare campagna elettorale delle amministrative.
Chi stava al governo in quegli anni lo racconta così: “Riccardo è un lavoratore ma politicamente non è un falco. Da sottosegretario è stato abbastanza irrilevante, sapevamo che non si poteva contare su di lui”.
Qualche giorno fa ha incontrato Matteo Salvini. A via della Scrofa, a poca distanza dallo studio che fu di Giulio Tremonti, e fonti sia M5s sia leghiste sono concordi nel dire che proprio del ministro di Silvio Berlusconi si sia parlato. Fraccaro assicura che le ricostruzioni “sono fantasiose”, che il suo obiettivo era quello di “consigliare a Salvini di aprire un canale con Conte”, che al presidente del Movimento rimane in capo la facoltà di “prendere ogni decisione in merito al Quirinale”.
Ma ancora oggi suoi compagni di partito sono convinti: “C’è stato un sondaggio per capire se poter convergere su Tremonti, forse nella stessa occasione i due lo hanno pure incontrato”. Fin qui nulla di strano.
Fraccaro ha una consuetudine con il sottosegretario del Carroccio per averci passato due anni al governo, il primo da ministro dei Rapporti con il Parlamento (e della Democrazia diretta, quella smontata da Vito Crimi con l’ammissione che la rete potè dire la sua su Rodotà perché allora non si contava nulla), il secondo da ministro dell’Interno.
Il problema è che l’operazione, raccontano sostenuta anche da Carlo Sibilia e Dalila Nesci, è stata messa in piedi senza che il capo politico ne sapesse nulla. Conte è furioso, ai vertici del Movimento c’è chi parla di espulsione, ma a due giorni dal primo scrutinio sarebbe come lanciare una bomba termonucleare in mezzo ai gruppi, senza contare che Fraccaro è uno dei probiviri del partito, e si ritroverebbe a decidere del suo stesso caso.
“Ma se non fai nulla apri il recinto, ognuno si sentirà legittimato a fare di testa sua”, commenta un influente parlamentare pentastellato, opinione che circola assai nel Movimento. L’ex sottosegretario è letteralmente sotto processo, la sua posizione aggravata dal fatto che avrebbe condotto una trattativa spericolata su un nome indigeribile per i 5 stelle: “Avesse cercato un’intesa su Zagrebelsky capirei, ma così è una cosa gravissima”, dice un suo collega. Le agenzie tacciono, nel Movimento c’è la consegna del silenzio, ma tutti mormorano, aspettando una mossa di Conte che al momento non sembra essere in programma, anche se dai vertici trapela che è stata aperta una procedura per valutarne il caso.
L’occasione è giusta per rispolverare antichi veleni, quelli che si sono un po’ da sempre addensati sul Fraccaro di governo: è attento alle sirene dei sovranisti, ha sfruttato le leve di un partito che era commissariato da un reggente per ritagliarsi un suo orticello, è stato un “sottosegretario alla presidenza di sé stesso”.
A lungo gli è stato rimproverato il rapporto con Antonio Rizzo, assurto alle cronache come gola profonda di Mps. I due hanno gestito per mesi una sorta di centrale delle nomine del Movimento 5 stelle e insieme spedirono Guido Bastianini proprio al Monte dei Paschi. Di Fraccaro anche la scelta di Michele Crisostomo quale presidente dell’Enel, un rapporto privilegiato con Antonio Agostini, direttore generale di Palazzo Chigi che fu nominato dal sottosegretario al Demanio.
Scelte che in molti gli rimproverano di aver preso in autonomia, tagliando fuori i compagni di partito, anche quelli che avevano voce in capitolo, mentre i dossier di governo gli sfrecciavano sopra la testa senza che riuscisse ad intercettarli e dunque senza che il partito riuscisse a influenzarne gli esiti.
Senza il partito e senza il suo capo avrebbe incontrato Salvini per trattare su Tremonti, Conte è furioso, uno schema che permette ai suoi avversari interni di tornare alla carica: è tornato il sottosegretario alla presidenza di sé stesso.
(da agenzie)
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