FRUTTA E VERDURA RINCARATA: MANDATE I FIGHETTI SOVRANISTI A SPACCARSI LA SCHIENA NEI CAMPI
CON LE FRONTIERE BLINDATE, LA MANCANZA DI BRACCIANTI STRANIERI, GLI ITALIANI CHE RIFIUTANO IL DURO LAVORO AGRICOLO, SCHIZZA IL PREZZO DEI PRODOTTI AGRICOLI
Ettore Livini su Repubblica oggi racconta il rincaro di frutta e verdura durante l’emergenza Coronavirus certificato dall’ISTAT. I prezzi dei beni alimentari, certifica il termometro ufficiale dell’Istituto di Statistica, sono cresciuti del 2,8% ad aprile, molto più di un’inflazione rimasta ferma al palo.
La realtà degli scaffali dei supermercati racconta però una storia più turbolenta: il costo delle arance è cresciuto del 24% nel primo mese di lockdown per la caccia “salutista” alla vitamina C e per l’aumento del 30% dei costi logistici.
Il prosciutto cotto è balzato del 13% (dati Ismea) perchè nessuno ha più voglia di accalcarsi ai banchi dei salumi e compra la busta pre-affettata, che è più cara.
Il boom della domanda ha mandato alle stelle il prezzo dell’alcol – «noi all’ingrosso lo vendiamo sempre a 0,9 euro al litro» assicura il presidente di Assodistil Antonio Emaldi – mentre il costo di cavolfiori (+93%), broccoli, carote e cipolle è stato trainato all’insù dalla richiesta di verdura non deperibile.
«Il mercato da fine febbraio ha vissuto una rivoluzione – dice Lorenzo Bazzana, responsabile economico di Coldiretti – . La chiusura di bar e ristoranti, che coprono il 35% degli acquisti alimentari in Italia, ha messo ko carne, latte e formaggi stagionati, le frontiere blindate hanno bloccato import ed export, la mancanza di braccianti stranieri ha penalizzato i raccolti. E la gente, impossibilitata a muoversi, è stata costretta a far la spesa nel negozio più vicino a casa e non in quello più conveniente».
Il listino di carne bovina e suina vive invece una situazione bipolare: i prezzi all’ingrosso sono scivolati del 35%, quelli al dettaglio sono rimasti più o meno sui livelli pre-coronavirus o addirittura cresciuti come è successo ai wurstel (+11%) e alla carne in scatola (+6%) grazie al sostegno della domanda.
«Viviamo un momento paradossale – dice Francois Tomei, direttore generale di Assocarni – . Siamo costretti a macellare i capi malgrado il crollo del loro valore per rifornire la grande distribuzione, ma le parti più nobili come filetto e roast-beef destinate di solito ai ristoranti finiscono diritte nei congelatori perchè invendibili».
(da agenzie)
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