“HANNO MOLLATO L’AZIENDA PER NON INGUAIARE RENZI”
IL PADRE TIZIANO CERCAVA DI ALLONTANARE L’AZIENDA DI FAMIGLIA DAL LORO COGNOME
Liberarsi dell’azienda che aveva trascorsi negativi ed era quindi “da allonToscana e soprattutto dal nome Renzi, considerata l’intrapresa carriera politica del figlio Matteo”.
Per questo, annotano gli investigatori della Procura di Genova, il papà del premier nel 2010 avrebbe affidato a un amico, Gianfranco Massone,l’ormai malmessa azienda di famiglia Chil Post: per portarla a morire lontano da Rignano.
Preoccupandosi però di “salvare la parte sana” trasferendola alla Eventi 6, società delle donne di famiglia: Laura Bovoli, Matilde e Benedetta Renzi, rispettivamente madre e sorelle del premier.
Nelle tremila pagine dell’inchiesta che vede indagato per bancarotta fraudolenta Tiziano Renzi, i magistrati liguri hanno minuziosamente ricostruito la storia non proprio gloriosa delle società di Rignano.
Ne emerge uno spaccato di piccola imprenditoriale di provincia che cerca di sopravvivere tra debiti accesi per coprire altri debiti, passaggi di beni e servizi quasi inestricabili e una miriade di aziende spesso inattive.
Una rete di intrecci così fitta che ha richiesto mesi per essere decifrata.
La vicenda,al netto degli eventuali risvolti penali, porta con sè interrogativi che coinvolgono direttamente il Giglio magico del premier.
Mentre la posizione di Tiziano Renzi è al vaglio del gip Roberta Bossi e potrebbe finire archiviata.
Il suo voinvolgimto nella bancarotta della Chil Post dipende esclusivamente da un dato: Massone era il prestanome di Tiziano Renzi? Il padre del premier, interrogato dai magistrati il 4 dicembre 2014 nega: “Io non ho mai detto a nessuno che Chil era passata a prestanome, nè comunque Massone (ealtri,ndr) sono stati mai miei prestanome: non è vero”.
I pm però allegano agli atti un verbale del Credito Cooperativo di Pontassieve datato 2 novembre 2010 — quindi un mese dopo la cessione della società , avvenuta il 14 ottobre — che sostiene il contrario. Pare emergere, secondo gli inquirenti,“la conoscenza da parte della direzione generale nonchè della presidenza della Bcc e del cda, che la divenuta società Chil sia stata solo formalmente venduta a terzi,quale presta nome,rimanendo di fatto a capo della famiglia Renzi”.
Non solo. I rapporti finanziari tra Massone e Renzi senior risalgono agli anni 90 e si concretizzano in un fiorire di aziende semi-vuote, contratti e giri di fatture tra società sempre riconducibili a loro due.Egià nel2009,q uindi quando la società era ancora a Rignano,
Renzi mette a disposizione di Massone una Bmw X5 intestata alla Chil.
Infine, tra i tanti riscontri evidenziati dagli inquirenti,c’è la testimonianza di Cristina Macellaro, assunta nel 2009 come “assistente di direzione” nella One Post, altra società riconducibile a Massone.
Sentita nel gennaio 2015, Macellaro spiega: “I rapporti con Chil sono avvenuti quando la società era della famiglia Renzi. In particolare fu la Gambino (moglie di Massone, ndr) a darmi disposizioni di intrattenere rapporti diretti con la signora Bo-voli (mamma di Renzi, ndr). Dopo le disposizioni telefoniche impartitemi dalla Bovoli, emettevo fatture di Chil senza aver alcuna conoscenza dell’effettivo lavoro eseguito”.
Macellaro, inoltre, racconta di aver sempre fatto fatica a essere pagata regolarmente tanto da licenziarsi e avviare una causa.
E aggiunge: “Sono stata retribuita a mezzo assegni bancari da Chil pur non avendo mai intrattenuto con questa alcun rapporto lavorativo”.
Conclude: “L’operazione Chil (la cessione, ndr) è passata come una donazione da parte della famiglia Bovoli/Renzi verso Massone al solo fine di liberarsi dell’azienda che aveva trascorsi da allontanare sia dalla Toscana che soprattutto dal nome Renzi considerata l’intrapresa carriera politica del figlio Matteo”.
Qualsiasi scelta fatta da Chil Post, fino al momento della cessione delle quote, è a me riferibile: io facevo le scelte commerciali e decidevo le priorità strategiche. Mia moglie ha ricoperto la carica di amministratore unico, ma la gestione era mia (io non potevo fare l’amministratore per ragioni fiscali, nel senso che avevo la partita Iva e fatturavo alla stessa società )”.
Con questa frase Tiziano Renzi esordisce quando l’8 ottobre 2014 si presenta in Tribunale a Genova davanti al pm Marco Airoldi.
Una frase che rischia di essere una buccia di banana per il padre del premier.
Perchè porta al finanziamento da 496.717 euro che la Chil ottiene dal Credito di Pontassieve.
Non è una mera vicenda contabile, aiuta a capire il mondo piccolo del premier: la famiglia, le amicizie di papà Tiziano e del figlio Matteo che si incrociano, passano da uno all’altro e da Pontassieve sbarcano a Roma.
Una famiglia unita, negli affetti e nelle imprese, con Tiziano e mamma Laura che tengono il timone. A cominciare, appunto, da quel finanziamento garantito anche da Fidi Toscana, società finanziaria della Regione.
Il presupposto è che la società sia guidata da donne. E infatti in quel momento le quote di Chil sono in mano alla donne di Rignano. E le carte di Genova svelano i retroscena.
A cominciare da quelle frasi che suscitano interrogativi: “Io decidevo, la gestione era mia”. Ma allora perchè intestare Chil alle donne di famiglia, beccarsi il finanziamento, incassare la garanzia di Fidi e dopo meno di un mese cedere tutte le quote a papà Tiziano?
Anche su questo punto la Procura ligure non sembra vedere risvolti penali.
Ma a che cosa servivano quei soldi? È ancora Tiziano Renzi a spiegarlo parlando con i pm nel secondo interrogatorio del 4 dicembre: “Il finanziamento richiesto alla banca era destinato a dilazionare i debiti a breve verso altri istituti di credito che gravavano su Chil. Ricordo in particolare che 200 mila euro sono serviti per chiudere la posizione verso la Cassa di risparmio di Firenze”.
Insomma, soldi dalle banche per pagare debiti in scadenza con altre banche.
Niente di illegale, ma pare emergere un ritratto delle finanze di Chil non rose o come qualcuno vorrebbe presentarlo.
La parabola di Tiziano Renzi, però, non è solo un affare di famiglia.
Perchè tra le persone che sostengono economicamente la Chil ci sono amici che, con il figlio Matteo, sbarcano sulla scena politica fiorentina. E poi nazionale.
Parliamo della famiglia del sottosegretario Luca Lotti, e di Andrea Bacci.
Lotti, per cominciare.Marco, padre del braccio destro del premier,è il bancario cui“venne affidato il cliente per istruire la pratica di fido”.
Da Lotti senior, come ha scritto Libero, arriva il parere positivo: “Potremmo diventare la banca di riferimento del richiedente”.
Nessun favore personale, ha assicurato Lotti ai pm ,fu come da prassi richiesta “una fideiussione che fosse almeno superiore al rischio che la banca si assumeva”.
Ma i rapporti tra la banca e i Renzi non filano proprio lisci dopo che Lotti lascia l’istituto:il Credito chiede delucidazioni sulla cessione della società allo sconosciuto Mariano Massone. Il padre del premier scrive mail dai toni accesi: lui ha chiesto di ridurre la fideiussione da 350 mila a 80 mila euro pur mantenendo attivo — oltre al mutuo — anche il fido da 250 mila euro.
La banca risponde chiedendo delucidazioni.
E l’8 ottobre 2010, pochi giorni prima della cessione definitiva a Massone, Renzi scrive piccato:“Libero dal senso di colpa per non aver completamente ottemperato a un impegno preso con Lotti (…), avendo annusato le vostre perplessità mi sono ingegnato (come ho sempre fatto nella mia vita) a trovare soluzioni alternati ve”.
Si rivolge agli amici.
Come   racconta ai pm: “Per dare la somma e liberare così mia moglie dalla fideiussione, mi feci prestare i soldi da alcuni amici (Mario Renzi, che è un mio lontano cugino,Alfio Bencini e Andrea Bacci) ai quali ho restituito il denaro, con altri assegni (in maniera da rendere tutto tracciabile)”.
Ferruccio Sansa e Davide Vecchi
(da “il Fatto Quotidiano“)
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