I BIFOLCHI DI MORGAN
EVVIVA I BIFOLCHI, ALMENO NON PRETENDONO DI PASSARE PER GENI
Morgan mi sta simpatico perché nei suoi periodici scoppi d’ego vedo affiorare l’Ombra, la parte oscura di noi stessi che ci sforziamo di rimuovere e che invece lui fa regolarmente esplodere ogni volta che non ottiene dagli altri il riconoscimento della propria presunta grandezza.
Da solista Morgan ha scritto una sola canzone memorabile, «Altrove», e ha una voce poco aggraziata: è decisamente più bravo a suonare e a divulgare.
Eppure, si sente un genio incompreso e un grande artista, come tanti in quest’epoca sprovvista di geni e di artisti.
Ma chi sono io per negargli il diritto di proclamarsi un fenomeno, di disprezzare i cantanti più popolari di lui e di insolentire gli spettatori spensierati del festival di Selinunte che dal genio volevano soltanto qualche canzone orecchiabile di Battiato per potersi mettere a danzare in platea «come le zingare del deserto o le balinesi nei giorni di festa»? L’unica critica che ho l’ardire di fargli è l’incoerenza tra l’autocertificata genialità dell’artista e il linguaggio con cui esprime i suoi stati d’animo. Da un genio mi aspetto parolacce d’autore, allusioni perfide, insulti pregnanti.
In questo senso l’epiteto «bifolchi» non mi è dispiaciuto: un po’ arcaico, però di spessore. Ma per dare del «fr. di m…» a un disturbatore, e gridare a un altro «levati dal c…» non è necessario essere artisti.
Basta frequentare un qualunque stadio o ingorgo automobilistico, al limite un talk show, dove però nessun bifolco pretende di passare per genio. O sì?
(da Il Correire della Sera)
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