I FANTASMI DELL’AQUILA: DOPO DUE ANNI LA CITTA’ E’ ANCORA CONDANNATA AL SILENZIO TRA ERRORI, BUROCRAZIE E SPECULAZIONI
UN LABIRINTO DI NORME E RIMBORSI: COSI’ LO STATO CONGELA LE ROVINE… ECCO LE CIFRE DI UN INTERVENTO MOLTO PROPAGANDATO MA NELLA SOSTANZA INEFFICACE, CON I LAVORI DI RICOSTRUZIONE PARALIZZATI
Trentasettemila assistiti, centro storico inaccessibile, macerie ancora ferme dal 6 aprile 2009, economia al collasso.
Due anni dopo il sisma che provocò 309 vittime, oltre 1.600 feriti, la devastazione della città e di altri 56 comuni del cratere sismico, i numeri e le immagini disegnano ancora uno stato di emergenza.
Non sono ancora terminati i lavori di messa in sicurezza degli edifici pericolanti.
La ricostruzione del centro storico è una chimera. Nelle periferie la ripresa consiste in uno sviluppo disordinato, quasi fai-da-te.
La ricostruzione bloccata.
La ricostruzione pesante, classificata E (16mila appartamenti) è ferma al palo, in centro come in periferia.
Sono appena 721 i contributi definitivi già assegnati. Il resto è fermo.
Due anni dopo il sisma, si sta ancora discutendo sulla definizione delle regole.
“Non c’è chiarezza su una serie di punti fondamentali”, spiegano all’ordine degli ingegneri: dalla delocalizzazione degli interventi, fino alla spinosa questione delle seconde case. Tra i principali elementi d’incertezza c’è il costo dei restauri. Un’ordinanza ministeriale molto discussa fissa un rimborso pari a 800 euro al metro quadro. Troppo poco, secondo proprietari e professionisti. Poi c’è la questione dei criteri: in quali casi demolire, in quali riparare l’esistente. Poi, in quali aree può andare a costruire chi ha perso la casa”.
I progetti finanziati.
I progetti E finora finanziati, 721 a fronte di 2.761 domande presentate, secondo i tecnici sono più che altro riconducibili alle super B, cioè ai casi più semplici.
Tuttavia, questi interventi servono a realizzare il rinforzo degli edifici e non la sostituzione edilizia.
Numeri decisamente più consistenti, invece, per le ristrutturazioni delle abitazioni categoria B e C, che non presentano danni strutturali.
Per la prima categoria sono state ammesse a contributo 7.850 domande, mentre 1.020 sono quelle vistate positivamente per la seconda.
Complessivamente, la somma totale ammessa a contributo per le case con tipologia B, C ed E risulta pari a 571 milioni di euro, per un totale di 9.591 domande.
Per le case A (danni lievi) sono stati concessi 7.160 contributi pari a 65 milioni.
Le richieste di indennizzo sono finora 12mila.
Per 4.600 edifici è stata presentata la dichiarazione di fine lavori, quindi i residenti sono potuti rientrare in casa.
La città al collasso. La questione economica è una delle partite ancora aperte.
Ormai da un anno gli aquilani sono tornati a pagare le tasse dopo la sospensione di 14 mesi (aprile 2009-giugno 2010).
La restituzione delle tasse sospese scatterà , al cento per cento, a fine anno.
Si è tornati a pagare le bollette di telefono, gas, energia elettrica e acqua, oltre ai pagamenti di Ici e Tarsu, del canone Rai e dei bolli auto.
Gli aquilani sono alle prese con le rate di mutuo, in molti casi anche su abitazioni danneggiate, interessi compresi.
Ricomparse anche le cartelle esattoriali di Equitalia per il recupero di vari tributi (Ici, Tarsu, Irpef, multe).
L’annuncio della zona franca urbana, una misura di sostegno alle imprese per favorire il rilancio del sistema economico piegato dagli effetti del sisma, è rimasto tale.
L’iter burocratico per ottenere la concessione, particolarmente lungo e complesso, è ora nelle mani dell’Europa.
A due anni dal sisma la disoccupazione è salita dal 7,5 all’11 per cento, senza tener conto di chi usufruisce degli ammortizzatori sociali. Un vero esercito.
Le macerie arenate.
Per capire il dramma delle rovine dell’Aquila basta leggere un rapporto di Legambiente.
Il contenuto è durissimo: L’Aquila e gli altri 56 comuni terremotati saranno liberi dalle macerie solo nel 2079.
In un contesto di indecisioni, ritardi, rimpalli di responsabilità , dal dossier emerge la macchina pubblica in tutta la sua inadeguatezza, a cominciare dall’azione più semplice, cioè la valutazione delle macerie prodotte dai crolli nella notte del 6 aprile 2009 e dalle demolizioni controllate degli edifici pericolanti.
Sulla base di calcoli fatti dalla Protezione civile e dai Vigili del fuoco, risultano 4,5 milioni di tonnellate di macerie, pari circa a 3 milioni di metri cubi.
Di questi solo un milione di metri cubi si troverebbe sulle strade, impedendo di fatto l’accesso e quindi la possibilità di procedere alla ristrutturazione degli edifici.
La stima massima complessiva raggiungerebbe i 2.650.000 metri cubi di calcinacci, di cui circa 1.480.000 solo nel capoluogo (56%).
Il nodo dello stoccaggio.
L’altro problema messo in luce nel dossier è quello dello stoccaggio dei detriti.
Dallo studio emerge che: “Le macerie spostate finora sono state portate sempre ed esclusivamente alla cava ex Teges, il sito di Paganica individuato un anno fa dalla Protezione civile, affidato al Comune dell’Aquila e gestito dalla Asm, la municipalizzata incaricata del servizio rifiuti nel capoluogo abruzzese.
Secondo le informazioni fornite dall’assessorato all’Ambiente, qui vengono conferiti i detriti tal quali, così come previsto dal decreto terremoto dell’aprile 2009, per un quantitativo che oscilla tra le 500 e le 600 tonnellate al giorno.
Dopo le proteste degli aquilani, con le incursioni del popolo delle carriole nella zona rossa, viene definito, a valle di un incontro al ministero dell’Ambiente, un nuovo piano di rimozione.
Da quella data, lo smistamento dei materiali come il ferro, il legno, la plastica, avviene direttamente sulle strade con l’impiego di grossi container, mentre gli inerti e il sovvallo rimanenti prendono la strada della ex Teges, in cui attualmente arrivano a una media di 150 tonnellate al giorno.
Quello che dovrebbe essere un sito di stoccaggio temporaneo, però, rischia di diventare a tutti gli effetti una discarica. Fino a oggi, infatti, la ex Teges si è riempita e quasi mai svuotata, tanto che ormai è vicina alla saturazione.
Dal sito, grazie a due bandi del Comune dell’Aquila, sono uscite in totale 23.000 tonnellate di inerti a fronte, sempre secondo le stime dell’amministrazione comunale, di circa 90.000 tonnellate di macerie rimosse.
Nell’ipotesi volutamente più pessimista, procedendo cioè al ritmo attuale, per eliminare tutte le macerie del terremoto ci vorrebbero altri 69 anni.
Per scongiurare questa prospettiva occorre un cambio di marcia deciso, con l’immediata individuazione e attivazione di tutti i siti necessari”.
Il riciclo che conviene.
Inoltre, passaggio fondamentale del dossier è quello sulla green economy e sul riciclo delle macerie della ricostruzione.
La produzione e l’utilizzo di materiale edile da riciclo è un’attività prevista dalla legge 203/2003, che obbliga all’impiego negli appalti pubblici del 30% di materiali riciclati (che la circolare n.5205 del 15 luglio 2005 ha esteso al settore edile).
Una legge dello Stato in vigore da sette anni che risulta totalmente disapplicata, e non solo in Abruzzo.
A tal proposito si legge nello studio di Legambiente: “Secondo l’Anpar (l’associazione che riunisce i produttori di aggregati riciclati, ndr), un impianto di riciclaggio di taglia medio-grande può trattare fino a 250mila tonnellate di inerti all’anno. Il che significa che, potenzialmente, una decina di impianti dislocati nel territorio della provincia dell’Aquila potrebbero lavorare in circa due anni tutti gli inerti derivanti dalle macerie del terremoto e produrre oltre 4 milioni di tonnellate di aggregato riciclato (la quantità di aggregato riciclato prodotto coincide in genere con la quantità di materiale lavorato)”.
Giuseppe Caporale
(da “La Repubblica“)
Leave a Reply