I RENZIANI FANNO FUORI D’ALEMA DALLA PRESIDENZA DELLA FEDERAZIONE EUROPEA DELLE 37 FONDAZIONI PROGRESSISTE
NO ALLA PROROGA DI SEI MESI……VENDETTA MATURATA ALL’INTERNO DELLA SINISTRA ITALIANA, SEMPRE PIU’ OCCUPATA AD ACCUSARSI A VICENDA
«È una carognata che parte dall’Italia e da Renzi. È anche un gesto di viltà di partiti socialisti, tranne l’Spd, residuali. I renziani sappiano che terremo a mente questa vicenda»: Peppino Caldarola, ex deputato dei DS, è davvero arrabbiato e su Facebook non nasconde la sua indignazione per quello che è capitato al suo amico Massimo D’Alema.
Cos’è successo? È successo che l’assemblea annuale della FEPS, l’organizzazione che racchiude le 37 fondazioni progressiste europee, ha bocciato la proposta dello stesso D’Alema che puntava a un prolungamento semestrale del suo mandato come presidente.
Raccontano le cronache sanguinarie e sanguinolente che nella sede della Foundation for European Progressive Studies di Rue Montoyer 40, nel cuore del quartiere comunitario di Bruxelles, D’Alema ha provato a resistere fino all’ultimo, ma la votazione è stata chiara: delle 45 fondazioni del Pse 15 si sono schierate con lui, 22 gli hanno votato contro.
Un evidente affronto al Lìder Maximo. Per di più effettuato con il voto segreto, cosa richiesta proprio dall’interessato, evidentemente convinto che nel segreto dell’urna il responso gli sarebbe stato invece favorevole
Non è andata così.
Soltanto in quindici tra le fondazioni socialiste alla fine hanno accordato la loro preferenza alla mozione D’Alema (cit.). E a nulla è servito che il suo fake su Twitter ricordasse che “dead wasp still stings” nè che Roberto Speranza ieri dichiarasse tutto il suo sgomento: «Oggi si è scritta una pagina nera della storia del Pse che rappresenta limpidamente la crisi drammatica del socialismo europeo. Si consuma una vendetta politica ordinata dall’Italia».
E ovviamente i renziani hanno respinto ogni ipotesi di complotto.
D’altro canto D’Alema non godeva più di buoni uffici presso il Partito Socialista Europeo da quando aveva annunciato il suo no nella campagna per il referendum voluto dal governo Renzi.
Lui all’epoca non si scompose, anzi: in tutta risposta rinfacciò a loro di aver preso posizione per il sì: «Gli italiani dovrebbero essere lasciati liberi di scegliere in una vicenda che non riguarda la stabilità dell’italia, bensì alcune delicate regole della costituzione repubblicana».
Poi nelle scorse settimane la situazione è precipitata. Sette fondazioni, guidate dai tedeschi, hanno chiesto a D’Alema di fare un passo indietro per la scissione del Partito Democratico che aveva provocato con la nascita di Articolo 1 — MDP.
Lui si è battuto come un leone: ha fatto sottoscrivere una lettera ad altre fondazioni in cui si chiedeva che il suo mandato fosse allungato fino a dicembre per portare a compimento il lavoro svolto.
A quel punto si è andati al voto come proposto dallo stesso D’Alema. Ed è arrivato il responso: 22 a 15 per il no. Al suo posto è stata eletta la deputata europea portoghese Maria Joao Rodrigues.
Scrive Repubblica che oltre a spagnoli, tedeschi e nordici contro di lui si è schierata anche EYU, la fondazione del Partito democratico.
Per lui avrebbero invece votato i socialisti francesi, l’Istituto Gramsci e le fondazioni Nenni e Giuseppe Di Vittorio della Cgil.
E alla fine lui e Speranza si sono dovuti anche sorbire la presa in giro di Francesco Bonifazi, tesoriere del PD e presidente della EYU: «Spiace che Roberto Speranza l’abbia presa male. Ringraziamo il presidente D’Alema per la sua abnegazione. Ma nella vita bisogna anche saper scegliere il momento giusto per andarsene. Auguri alla Rodrigues, un grande in bocca al lupo a Speranza».
(da “NextQuotidiano”)
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