IL CORAGGIO DEI CASCHI BIANCHI AD ALEPPO: DOPO LE BOMBE DEL CRIMINALE DI GUERRA ASSAD ARRIVANO LORO
TRA I VOLONTARI DELLA PROTEZIONE CIVILE SIRIANA SOTTO LE MACERIE DELLA CITTA’… TREMILA EROI CHE CERCANO DI SALVARE I BAMBINI
«Quando apro gli occhi non posso fare a meno di pensare che può essere l’ultimo giorno». Ismail Abdullah, 29 anni, prima dell’inizio della guerra insegnava inglese. Oggi fa parte dei «White Helmets», i Caschi Bianchi della Protezione civile siriana. Tremila eroi (ed eroine) che, come ha spiegato il giornalista della Bbc Ian Pannell, «fanno il mestiere più pericoloso al mondo, nella città più pericolosa del mondo».
Non passa giorno ormai che il mondo non parli di loro o che li guardi mentre tirano fuori dalle macerie della guerra i bambini: un documentario di Netflix, un lungo servizio della Bbc, immagini, post su Facebook e su Twitter.
In settembre i Caschi bianchi hanno vinto il Right Livelihood Award, il Nobel alternativo per la Pace.
È stata anche lanciata una petizione perchè ricevano il Nobel, quello vero, che ha raccolto oltre 100 mila firme.
E non sono mancati i divi di Hollywood, come George Clooney e Ben Affleck, che si sono mobilitati per sostenerli.
Ma per i Caschi bianchi quello che conta è salvare il numero più alto possibile di vite umane. «Quando sentiamo la terra tremare corriamo in soccorso, oppure ci avvertono via radio», racconta Ismail al Corriere, mentre la linea va e viene.
Ismail ora si trova ad Aleppo Est, nel bastione dei ribelli, quello che Assad e Putin additano come il covo delle milizie jihadiste.
«La chiamano la battaglia di Aleppo, ma sarebbe più giusto dire che è una guerra mondiale». Quando il regime e Mosca hanno ripreso i raid, i Caschi Bianchi sono tornati in strada, consapevoli di poter essere colpiti in qualunque momento. Il loro motto è «Umanità , Solidarietà e imparzialità ».
«I russi e il regime, hanno iniziato a usare le bunker busters», conferma Ismail. In arabo le chiamano al-qanabil al-irtijajiya, le bombe che scuotono perchè, quando cadono, la terra trema fino in profondità .
Sono progettate per distruggere i bunker ma, ad Aleppo, vengono impiegate per costringere i civili a sfollare e isolare i miliziani.
Il racconto di Ismail si sposta su WhatsApp: «Da tre mesi manca l’elettricità , da venti giorni non arriva niente da mangiare».
Minori, anziani, donne: nella parte orientale della città sono intrappolati 400 mila civili. Via Telegram e sulle chat si dà l’allarme, nel tentativo di far circolare le informazioni sulle zone colpite. «Appena sveglio controllo i gruppi e i messaggi».
Di notte si dorme pochissimo, sempre con l’orecchio teso e il terrore che possa di nuovo scatenarsi la furia.
«A chi mi chiede com’è la situazione ad Aleppo, rispondo che qui non c’è niente, solo la morte». P
oi i puntini di sospensione della chat rimangono lì, a galleggiare.
E la connessione cade.
Marta Serafini
(da “il Corriere della Sera”)
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