IL GENERALE SPODESTA IL CAPITANO CHE INSEGUE UN CARROCCIO CHE NON C’È PIÙ
MENO GENTE DEL SOLITO A PONTIDA. SALVINI GUITTO SUL VIALE DEL TRAMONTO, AVANZANO LE TRUPPE DA AVANSPETTACOLO DEL BAGAGLINO, QUELLI CHE JUNIO VALERIO BORGHESE AVREBBE PRESO A CALCI NEL CULO
L’ultima Pontida leghista. Nel senso che la Lega (quella del “brand” Nord) è stata archiviata da parecchio, con buona pace di quei militanti che vogliono continuare a credere che, tutto sommato, si mantenga una continuità col partito creato dal Senatur.
Ma pure quella salviniana è stata ormai sostituita dalla neo-organizzazione ogm – un po’ partito, un po’ associazione, un po’ movimento – di Roberto Vannacci. Del resto, “Generale” conta più di “Capitano”, con il secondo che è dovuto rientrare in fretta e furia sul pratone della kermesse, nonostante gli accertamenti clinici a cui si era sottoposto per una colica renale
E sebbene siano stati spostati gli striscioni de Il mondo al contrario, che i fedelissimi del generalissimo avevano deposto ai piedi del palco, la vannaccizzazione della fu “Lega per Salvini premier” appare un processo irreversibile.
Non costituisce ancora il suo partito personale ma, a suon di preferenze nelle ultime Europee, Vannacci ne è già l’azionista di maggioranza. L’inveramento della metamorfosi nazionalpopulista in un partitello di estrema destra, satellite italico dell’Internazionale sovranista tra la Washington trumpista, il Cremlino e la costellazione dei Patrioti eurofobici – come conferma, da ultimo, anche la frase vannacciana sul «dobbiamo essere gli eredi di Kirk».
Con Salvini assai bisognoso del pacchetto di voti vannacciani e costretto, anche fisicamente, a inseguirlo per tentare di ribadire la sua (azzoppata) leadership, al punto da essersi infilato a piè pari in una sorta di “dilemma del prigioniero” nominando l’ex parà a cui piacciono la Decima e il karaoke – due nuovi tratti identitari – come vicesegretario.
E, infatti, l’agenda ideologico-propagandistica di Vannacci è molto chiara (oltre che nerissima): sfacciata, aggressiva e di ultradestra, e rappresenta una fotocopia del discorso reazionario «russamericano», a partire dalle guerre culturali, dall’autoritarismo e dall’hate speech spacciato per libertà d’espressione, con l’aggiunta qua e là delle strizzate d’occhio al regime mussoliniano e al neofascismo per intercettare settori dell’elettorato meloniano.
Mentre la Lega “doc” si presentava come la formazione macroregionale del Settentrione d’Italia, con un software politico che stava tra Gianfranco Miglio e Carlo Cattaneo (seppur molto
tirato per la giacchetta); e va ricordato per l’ennesima volta che Umberto Bossi, che del discorso d’odio abusava ampiamente pure lui, non transigeva però sull’antifascismo
Ecco quella Lega, con le sue specificità e la caratteristica di partito più antico post-Prima Repubblica, oggi non c’è più. Un paradigma politico autonomista su cui è stata costruita una classe di governo locale di esperienza (da tempo silente e incapace di opporsi), appare totalmente sotterrato per andare dietro a Bannon, Musk, il putinismo e tutta la paccottiglia complottista e antivaccinista che alimenta i neopopulismi e l’alt-right.
E, di sicuro, non basta dichiararsi nazionalisti per essere rappresentativi di una cultura politica patriottica, né – dati elettorali alla mano – per tornare a essere competitivi con FdI.
(da La Stampa)
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