IL GIORNO DELLA SCISSIONE, A MENO DI UN MIRACOLO
ALTRA ACCELLERATA DI RENZI: TENTA SOLO DI RECUPERARE EMILIANO (“GLI ALTRI NON CONTANO NULLA”) E PUNTA AD ELEZIONI A GIUGNO PER AVERE UN GRUPPO DI 120 DEPUTATI FEDELISSIMI
La scissione tra il “pianeta Renzi” e il pianeta della sinistra riunita a Testaccio pare inevitabile. A meno di un miracolo.
L’ultima offerta, più che una apertura di trattativa, è la preparazione della rottura. Affidata, dopo un giro di telefonate con Renzi, al presidente del Pd Matteo Orfini. L’offerta consiste in una “profonda discussione programmatica”, poi il congresso, da svolgere prima delle amministrative di giugno:
“Come potremmo andare avanti — scrive Orfini – in questa condizione di perenne divisione interna? Come affronteremmo le amministrative?”. Dunque, maggio per il congresso, preceduto dalla conferenza programmatica invocata da Orlando, Martina, Fassino come luogo per approfondire quei nodi sollevati dalla sinistra.
Una mossa che mette in conto uno scontato no, viste le richieste della sinistra.
Ed è di fronte al no del congresso il 7 maggio, che nella war room del premier, circola anche un piano, azzardato, che prevede un’accelerazione: primarie già il 9 aprile, quando mancano quindici giorni alla chiusura della finestra elettorale che porta al voto a giugno.
Con la sinistra fuori nulla è impossibile. Nei panni del “falco”, l’ex premier sceglie di non aprire nessuna trattativa vera su nessuna delle richieste della sinistra: nè sulla durata del governo, nè sulla svolta nelle sue politiche, nè appunto il congresso.
Fa una telefonata a Roberto Speranza, affida il post a Orfini, dà mandato ai suoi blandire Emiliano e i parlamentari a lui vicini, ma senza mai mettere in discussione ciò che gli sta più a cuore, ovvero le “mani libere” sul governo.
Lo dice, apertamente, Lorenzo Guerini: “Teniamo fuori il governo dal congresso”. Lo ripete coi suoi l’ex premier che ha già messo in conto la rottura con la sinistra: “Sa bene che tornare a palazzo Chigi è complicato — dice una fonte informata — ma punta a un gruppo parlamentare con 120 fedelissimi”.
La rottura matura in un clima tensione e insofferenza. Politica. Antropologica. Montata dopo l’assemblea mattutina della sinistra.
Raccontano che l’ex premier è una furia: “Basta ricatti sul congresso”. Coi suoi parla di malafede dei tre partecipanti.
Evoca le “carte bollate” di cui parlava Emiliano, che “ora non vuole il congresso” le petizioni online di Rossi per avere il congresso.
Fa partire una raffica di dichiaratori contro i toni dell’assemblea di Testaccio. Anche se continua a far “corteggiare” Emiliano, nella speranza di staccarlo da Bersani e D’Alema, nonostante le parole del governatore della Puglia siano state le più dure, sull’“arroganza” e su quelli attorno al “capezzale” di Renzi: “La scissione della Ditta senza Emiliano — dice una fonte molto vicina all’ex premier – è poca cosa, Michele è uno che funziona mediaticamente, lo fermano per strada, raccoglie applausi, con lui rischiamo una forza del dieci”.
Per tutto il giorno vengono sondati i parlamentari vicini a Emiliano: “Ma se vi diamo luglio e proviamo a convincere Renzi su luglio?”.
L’ex premier non pare proprio avere intenzione di cedere, soprattutto ora che la questione si presenta come una prova di forza. E solo un miracolo può evitare, dieci anni dopo il Lingotto, la rottura del Pd.
La dinamica politica in atto è inarrestabile. Quella foto sul palco di Testaccio rende molto complicato che uno si possa smarcare.
Nel giro di contatti serali a sinistra si ragiona di come gestire l’assemblea di domani. Il documento, di cui ha parlato l’HuffPost, è pronto.
Ascoltata la relazione di Renzi si valuterà : se la chiusura è totale, non sarà nemmeno presentato; non parlerà nessuno dei “tre tenori”, e la sinistra lascerà la sala e, con essa, il Pd.
(da “Huffingtonpost”)
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