IL GOVERNO PREPARA UN “CONDONO” D’ORO: PER RACCOGLIERE UN PAIO DI MILIARDI, LA MAGGIORANZA VUOLE INTRODURRE IN MANOVRA UNA TASSA DEL 12,5% SU CHI DECIDERÀ DI RIVALUTARE I PROPRI LINGOTTI, PLACCHE O MONETE D’ORO
MA, DUE ANNI FA, IL CENTRODESTRA AVEVA DATO VIA LIBERA A UNA STANGATA FISCALE SULL’ORO DA INVESTIMENTO. L’ESATTO CONTRARIO DI QUANTO VORREBBE FARE ADESSO
Le vie dei condoni sono infinite. Lo sa bene il governo impegnato nel consueto forcing
di fine anno per tappare le falle di una legge di bilancio disperatamente a corto di risorse. Una toppa tira l’altra e l’ultima trovata dei partiti di maggioranza è la cosiddetta “tassa sull’oro”, una tassa che in realtà è un condono. Qualcosa che ricorda la voluntary disclosure di tremontiana memoria (nel senso di Giulio Tremonti) sui capitali (in nero) detenuti all’estero.
Le cronache di questi giorni raccontano che per raccogliere un paio di miliardi (stima di manica larghissima) sta per esser
inserita in manovra una norma che fissa al 12,5 per cento il prelievo fiscale sulla rivalutazione dell’oro da investimento (lingotti, placchette, monete, gettoni, piastre) di proprietà dei cittadini che non siano in grado di dimostrare, con i documenti del caso, a che prezzo abbiano acquistato questi valori.
Insomma, se la norma passerà, è in arrivo un nuovo scudo fiscale, uno scudo tutto d’oro questa volta. Va ricordato, infatti, che l’imposta sulle plusvalenze finanziarie è di regola pari al 26 per cento, con l’esclusione dei rendimenti dei titoli di stato tassati al 12,5 per cento.
Siamo alle solite, quindi. Pur di fare cassa, l’esecutivo è pronto a garantire un trattamento di favore a una particolare categoria di investitori. In questo caso, però, con il nuovo condono, un condono con il marchio di fabbrica di Forza Italia e Lega, il governo finirebbe per sconfessare sé stesso. Già, perché giusto due anni fa, con la legge di bilancio del 2024, il centrodestra aveva dato via libera a una stangata fiscale sull’oro da investimento. L’esatto contrario di quanto vorrebbe fare adesso.
Fino al 2023, il venditore di lingotti privo dei documenti d’acquisto era obbligato a pagare al fisco una tassa del 26 per cento su un valore calcolato a forfait e pari al 25 per cento dell’importo incassato. Nel 2024 arriva il primo dietro front. L’imposta resta al 26 per cento, ma viene calcolata sull’intero ricavo della vendita.
Quindi chi vende lingotti e incassa, poniamo, 100 mila euro oggi deve versare all’erario 26 mila euro, a meno che non sia in grado di esibire le carte che dimostrino a che prezzo ha comprato l’oro
messo in vendita.
Con la riforma in vigore dal 2024 il governo puntava a fare cassa sfruttando la forte rivalutazione del metallo giallo. Nella relazione tecnica della manovra approvata a fine 2023 si legge che a partire dal 2025 il Tesoro avrebbe dovuto incassare 196 milioni l’anno grazie alle nuove norme. Previsione azzeccata? Cifre precise sul gettito effettivo per ora non esistono.
Gli operatori del settore però sostengono che la stretta varata dall’esecutivo ha di fatto congelato il mercato e di conseguenza anche le imposte versate all’erario si sarebbero ridotte. Sta di fatto che il governo ha già cambiato rotta. Chi accetta di rivalutare i suoi lingotti pagherà solo il 12,5 per cento del loro valore attuale. Quest’ultimo, quindi, diventerà il prezzo d’acquisto su cui calcolare l’eventuale plusvalenza in caso di futura vendita.
A questo punto resta da capire chi accetterà di autosegnalarsi al fisco come proprietario di attività in oro. Non è detto che la microimposta al 12,5 per cento si riveli un’esca efficace.
(da “Domani”)
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