IL PAPA’ DI ALDROVANDI: “VERONA MI HA FATTO RIPENSARE A FEDERICO, CHI FA QUESTE COSE NON DOVREBBE MAI PIU’ INDOSSARE UNA DIVISA”
“LE VIOLENZE DEGLI AGENTI? NON SONO CASI ISOLATI MA CONTINUO AD AVERE FIDUCIA NELLO STATO”
«Chi veste una divisa deve ricordarsi del giuramento che ha fatto. Può usare la forza in alcune situazioni ma non può mai usare la violenza. E tutti noi dobbiamo avere fiducia nello Stato e in chi deve proteggerci. Chi fa queste cose non dovrebbe mai più indossare una divisa»: Lino Aldrovandi, il papà di Federico, ucciso a calci e manganellate nel 2005 da alcuni poliziotti poi condannati, interviene sui recenti pestaggi della polizia a Verona. Ma non solo. Commenta i tanti, troppi, casi analoghi che riguardano le forze dell’ordine, che da tutori della legalità si trasformano in carnefici.
«Non sono episodi isolati – dice Aldrovandi– Ci sono i fatti di ora a Verona. Il caso recentissimo della polizia locale di Milano, con le immagini che raccontano come si sono comportate quelle persone. C’è stato Giuseppe Uva nel 2008. Poi il terribile caso di Stefano Cucchi nel 2009, e ancora quello, analogo a Federico, di Riccardo Magherini a Firenze nel 2014. E prima ancora il G8 di Genova. Assurdo vedere queste scene, l’uso della violenza gratuita da parte di chi dovrebbe far rispettare la legge. E’ inaccettabile, visto il ruolo che ha chi veste la divisa. Deve, o meglio dovrebbe, esserci un freno. Quando una persona è per terra, inerme, non si può fare violenza. Vedere queste scene mi ricorda Federico, che era a terra, schiacciato, picchiato, e come ha detto una testimone preso a calci in testa da un agente che telefonava mentre altri lo tenevano: le foto di Federico raccontano proprio che aveva un buco in testa. Queste non sono immagini di poliziotti. Mi chiedo cosa succeda nella mente di chi, magari fino a quel momento, si è comportato bene. Ma dentro queste persone forse qualcosa non va».
Lino Aldrovandi pur nel dolore immenso della perdita di un figlio, pur nella tragedia di aver visto lo Stato, o meglio una parte marcia dello Stato, responsabile, non ha perso la fiducia nelle istituzioni. Non c’è livore nella sua voce: c’è solamente sofferenza unita a una dignità grande, quella di chi riesce a mantenere la schiena dritta e a non perdere la rotta, anche quando la propria esistenza viene sconvolta. «Chissà, forse sarebbero necessari test psicologici. Ma c’è sempre il giuramento che chi indossa una divisa fa che deve essere tenuto bene a mente. A Federico dicevo sempre: “Se hai qualche problema, chiama la polizia o i carabinieri”. Io stesso vestivo la divisa di agente municipale e mio padre era un carabiniere. Nessuno, innocente o colpevole quando viene fermato, può essere trattato in questo modo. Ancor di più se è inerme a terra e non è pericoloso».
Non si tratta però di un unico o di pochissimi casi isolati. «Bisogna analizzare. A tutela di questi agenti, e a tutela dell’immagine del corpo, chi compie questi atti non dovrebbe essere semplicemente spostato. Va sospeso cautelativamente. Io sono dalla parte dello Stato. Ma non a prescindere. Non si possono giustificare questi comportamenti. E la responsabilità è di tutta la catena di comando: dei diretti superiori di questi agenti, dei loro capi, fino ad arrivare al Governo. Non mi interessa se di destra, sinistra o centro. Io ho il dito puntato contro le più alte responsabilità di quello che è accaduto. Chi è un delinquente va fermato. Ma chi veste la divisa e agisce con la violenza diventa lui stesso delinquente. Ricordiamoci che siamo in un Paese democratico. Che la democrazia ci è stata consegnata da giovani che persero la vita per questo».
Ivo Aldrovandi è attento anche a non generalizzare: ci sono tanti agenti, componenti di tutte le forze dell’ordine che ogni giorno compiono al meglio il proprio dovere e onorano la divisa che portano: «Le persone normali ci sono . Chi ha le redini, fino al Governo, deve garantire che le procedure portate avanti siano sempre corrette. Chi non è in grado va allontanato e punito. Io stesso ringrazio il capo della polizia Manganelli che ebbe il coraggio venire da noi e scusarsi con noi prima ancora della sentenza di condanna ai poliziotti che picchiarono Federico. E ci sono stati anche vari altri esponenti delle forze dell’ordine che mi hanno manifestato il loro sostegno».
«C’è chi fa bene il proprio lavoro, chi lo fa a testa alta. Anche io lo facevo –conclude il papà di Federico – Pestaggi e comportamenti del genere sono una offesa allo Stato: non li ho mai accettati e mai li accetterò. La mattina bisogna uscire di casa e avere fiducia in chi deve proteggerci. Soprattutto in questo modo ce n’è bisogno».
(da La Stampa)
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