INFRASTRUTTURE, LA DOPPIA LEGGE: IN RITARDO PER I CITTADINI, DI CORSA PER LA CASTA
DOPO 14 ANNI DALLA LEGGE OBIETTIVO SOLO L’8% DELLE OPERE E’ STATO REALIZZATO…DI QUESTO PASSO SERVIRANNO 180 ANNI PER COMPLETARLE…. C’E’ UNA CATEGORIA CHE NON SUBISCE RALLENTAMENTI: CAMERA, SENATO, PALAZZO CHIGI E QURINALE
Non si sa esattamente dove sia la strozzatura, se a livello dei vertici del Ministero delle Infrastrutture che per decenni avrebbero condizionato le Grandi Opere aumentandone i costi e allungandone i tempi, come racconta l’inchiesta della Procura di Firenze.
Oppure se sia da ascrivere all’italica bulimia per gli annunci che regolarmente restano nel libro dei sogni.
Quel che appare chiaro, però, è che quando servono all’Italia vanno a passo di lumaca, se sono destinate alla politica invece vanno a razzo e i fondi non mancano mai. E dunque no, la Legge obiettivo — il libro mastro delle Grandi opere — non si è dimostrata obiettiva.
Parliamo ancora di opere pubbliche. Lo spunto arriva dall’ultimo rapporto sullo stato di attuazione delle 315 progetti previsti dalla legge n. 443 del 2001.
Lo studio è stato presentato pochi giorni fa alle Camere e ha coinvolto l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici e l’Anticorruzione.
Sotto la lente sono finiti quasi 2mila interventi, dalla linea ferroviaria di Trieste alla Sassari-Olbia alla sistemazione dei fondali del porto di Ravenna.
Il Sole24Ore ha sintetizzato così lo stato dell’arte: “Dopo 15 anni solo l’8% delle opere è concluso”, spiegando che dei 285 miliardi impegnati per le Grandi Opere ne sono stati spesi appena 23.
E parliamo di strade, valichi, passanti, porti. Insomma le infrastrutture che dovrebbero servire tutti gli italiani e invece restano al palo, con buona pace dei discorsi sullo sviluppo, la competitività e la crescita.
Di questo passo, a spanne, potrebbero servire 180-190 anni per completarle tutte e per questo il ministro Maurizio Lupi ha proposto di ridurle a 60 “grandi opere”.
C’è però una categoria di interventi che non rischia nulla. A scorrere il rapporto si arriva infatti a un pacchetto di “opere strategiche” che stanno sempre nel perimetro della Legge Obiettivo ma per le quali si assiste a un vero miracolo nazionale: tutti i lavori programmati sono partiti, oltre la metà sono già arrivati a destinazione.
E di che si tratta? Dei palazzi della politica, dei ministeri e del governo.
In tutto 24 interventi del valore di 350 milioni di euro.
A scorrere l’elenco si direbbe che è un pezzo di Casta che si rifà bagno e salotto: si va dal restyling delle “aulette parlamentari” alla riqualificazione della sala benessere e alla ristrutturazione dei bagni per le scorte del Viminale.
Dalla biblioteca di Palazzo Chigi, alla sala ristoro per autisti del governo.
Cosa avremmo potuto finanziare?
La cifra di per sè dice poco e tuttavia avrebbe consentito di sbloccare o terminare opere di pubblica utilità inserite nella Legge Obiettivo e attese da decenni.
Gli esempi si sprecano. I 350 milioni di cui sopra sono i fondi che mancano per realizzare la metro che collega l’Aeroporto Fontanarossa al centro di Catania. Il progetto definitivo esiste dal marzo 2006 con 6,9 km e 8 stazioni. Ma dei 430 milioni necessari per realizzarla sono a disposizione solo 90 milioni di euro.
Si potevano usare in Veneto per il potenziamento del sistema ferroviario tra Treviso, Padova, Castelfranco Veneto, una delle tratte pendolari dove si viaggia come sardine: il progetto da 314 milioni doveva essere completato anni fa ma l’unica linea in fase di realizzazione è la Venezia-Mira e solo per la parte delle stazioni.
A Genova era poi previsto il prolungamento verso Ovest, da Brin a Canepari, dell’unica linea metropolitana. Costo, 269 milioni. L’opera non si fa, mancano i fondi. E così via.
A questo punto è bene sapere dove sono andati quei soldi. A beneficiarne è stato il pubblico minore e molto selezionato dei parlamentari, degli inquilini di Palazzo Chigi, delle istituzioni e dei ministeri della Repubblica.
Il programma è siglato come “scheda n. 180“.
Il titolo per esteso è: “Opere strategiche finalizzate ad assicurare l’efficienza di complessi immobiliari sedi di istituzioni e di opere la cui rilevanza culturale trascende i confini nazionali” disciplinate dall’art. 4 comma 151 Legge 350/2003 (Finanziaria 2004).
Di queste opere non è stato completato l’8% come per le autostrade, i passanti, le reti ferroviarie che servono ai comuni mortali, bensì il 50%.
Proprio così, una su due è già conclusa, una sola risulta cancellata, il resto è tutto avviato. Le coperture — evidentemente — non mancano mai. E i lavori procedono a razzo. La Legge Obiettivo, in questi casi, è un treno che non fa fermate e non ha ritardi.
Il lifting del potere che costa 350 milioni
Nel 2003 si è aperto il cantiere per il consolidamento, la ridistribuzione interna e il restauro del complesso di S.Maria di Aquiro in Piazza Capranica, una superficie di 4.200 metri quadri su più vani destinati ad uso “uffici del Senato”.
I lavori si sono conclusi nel 2013, con un solo anno di ritardo sulla tabella di marcia. Il costo definitivo è stato di 26,3 milioni di euro rispetto ai 17 preventivati.
Si sono poi conclusi da otto anni quelli per l’ex Ministero delle Comunicazioni, oggi a disposizione della Presidenza del Consiglio. Dovevano costare 15 milioni di euro, a fronte di due varianti ne costerà 23.
Sono ancora in corso, ma a buon punto, i lavori per la manutenzione ordinaria, la bonifica e l’adeguamento degli impianti del seminterrato e dei piani di Palazzo Chigi: 25 milioni di euro. Solo uno stop nel 2009 perchè i “locali erano occupati”. Ma si va avanti.
Passiamo al Parlamento.
Nel 2008 partono i lavori per il restyling delle “aulette parlamentari” in via Campo Marzio.
Un “regalo” che la Camera si concede per i 150 anni dell’unità d’Italia, a carico dei contribuenti di 16,4 milioni di euro. I lavori procedono spediti.
Tre anni dopo gli onorevoli possono già accomodarsi e ammirare il soffitto a vetrata.
La nuova aula, inaugurata il 16 giugno 2011, sarà un gioiello di tecnologia con 286 postazioni attrezzate con i più avanzati impianti per il voto, una sala regia per le riprese, postazioni per interpreti e traduttori.
Al Quirinale è stato rifatto l’impianto elettrico, i sistemi di telegestione e varie opere di consolidamento per 13 milioni di euro. Un paio d’anni di ritardo, costi lievitati, ma è tutto finito.
Per chi volesse continuare (a farsi del male), ecco gli altri lavori destinati ai templi della politica e portati a termine nei tempi stabiliti dalle delibere Cipe, sempre a valere sui finanziamenti della legge 443/2001
Niente gara e appalti secretati. La corsia è preferenziale
A questo punto tocca anche capire il segreto di questa Italia che corre come un treno mentre il potenziamento della linea Fs Rho-Gallarate procede a 1,3 km l’anno.
Dal 2002 la linea attende un terzo binario lungo 25 km che vedrà la luce (forse) nel 2020. La differenza è nel motore.
Per le opere che la interessano, la politica mette la benzina: approva i fondi pubblici necessari e si premura anche di scrivere le norme che assicurano la corsia preferenziale. Per dirne una: gli appalti per l’esecuzione di lavori nei palazzi sede di “istituzioni della Repubblica” sono affidati direttamente, a chiamata e con procedura negoziale ristretta. Non c’è gara pubblica, non c’è oggetto di contenzioso e dunque sospensiva o ritardo.
Se la variante impone costi maggiorati la tesoreria non fa storie.
A garanzia di tutto questo, gli onorevoli hanno anche introdotto (e votato) una speciale corsia preferenziale nel Codice dei contratti pubblici a tutela di ragioni di “sicurezza e riservatezza nazionale” (nel 1995, nel 2003 e nel 2006).
Non a caso molti degli appalti e contratti attivati sono secretati. Certo, ci si aspetta che siano regolati e vigilati gli accessi e i progetti che investono il cuore stesso delle istituzioni nazionali.
Ma non che garantiscano l’alta velocità ad alcuni, lasciando a piedi gli altri.
Thomas Mackinson
(da “il Fatto Quotidiano”)
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