INTERCETTAZIONI: QUANDO BERLUSCONI REGISTRAVA LE CONVERSAZIONI AD ARCORE
ALLORA NON ERA ANCORA DIVENTATO PALADINO DELLA PRIVACY: 15 ANNI FA FECE INSTALLARE NELLE SUE RESIDENZE UNA SERIE DI CIMICI….QUANDO REGISTRO’ IL COLLOQUIO CON IL COSTRUTTORE D’ADAMO PER CERCARE DI INCASTRARE DI PIETRO E PASSO’ LA REGISTRAZIONE AI GIUDICI….CHI E’ SENZA INTERCETTAZIONI SCAGLI LA PRIMA PIETRA
Registrare all’insaputa degli interlocutori e divulgarne poi la chiacchierata pare sia tentazione irresistibile dei potenti: in America Nixon ci lasciò le penne, in Italia forse hanno fatto la fortuna di qualcuno.
Resta il fatto che non sempre chi oggi si erge a campione del garantismo e a difensore della privacy, non sia stato in passato immune dal desiderio di intercettare altri.
Le cronache giudiziarie certificano che lo stesso premier, quindici anni fa, fece allestire nelle sue residenze un vero e proprio sistema di registrazione, con due radiomicrofoni e due miniregistratori che si attivavano automaticamente appena captato un suono o un rumore.
Tali cimici erano ben nascoste e, come si legge in atti pubblici, furono utilizzate “in svariate occasioni”.
Il tecnico preposto a tale compito era l’allora responsabile dell’immagine Tv e oggi potente regista delle pubbliche apparizioni del premier: Roberto Gasparotti, che di questo parlò nel giugno 1997 con i giudici bresciani.
Lo scopo che spinse allora Berlusconi a fare ciò che oggi la sua legge vorrebbe punire con estrema severità , era quello di scoprire un mai identificato “dipendente infedele”, una persona del suo staff che avrebbe passato notizie riservate ai giornalisti.
La classica talpa, insomma, che avrebbe giustificato le registrazioni e persino la loro conservazione in archivio.
In verità il premier era appena stato scosso dalla vicenda di Stefania Ariosto che aveva denunciato le mazzette di Previti: fu in quella fase che apparve persino una grossa cimice nel radiatore dietro la scrivania di Palazzo Grazioli, di provenienza mai rivendicata.
Lo stesso Maroni allora commentò che “secondo me è stata messa da qualche berlusconiano per fargli fare la figura della vittima”.
Quanto alla centrale di spionaggio domestico, non è chiaro da quanto tempo fosse attiva e quale fine si proponesse.
E’ invece certo che un giorno Berlusconi convocò ad Arcore il costruttore D’Adamo e mentre i registratori facevano il loro dovere, si sforzò di farsi dire da D’Adamo che Di Pietro aveva preso dei soldi da Pacini Battaglia.
Il D’Adamo restava vago, intuendo di essere registrato: il tutto, condensato in otto cartelle, fu consegnato ai giudici che però lo accolsero con scetticismo.
Il destino ha voluto che, dopo aver sostenuto la parte dell’intercettatore, il premier passasse a quello di intercettato persino a casa sua.
Ragazze nè perquisite, nè intercettate, sono così riuscite chi a immortalare i servizi igienici di Palazzo Grazioli, chi il lettone di Putin, chi conversazioni imbarazzanti tra una doccia rivitalizzante e l’altra.
Tramutando chi era uso a intercettare a vittima delle intercettazioni, persino quando voleva licenziare Santore per telefono, istruendo uno dei massimi esponenti di Agcom.
Chi è senza intercettazioni scagli la prima prima, insomma: certo che la coerenza imporrebbe talvolta un comportamento più tollerante e liberale.
Non è molto credibile una battaglia per difendere la privacy da parte chi l’ha violata per primo.
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