INTERVISTA A CECILIA STRADA: “IL GOVERNO SI E’ FERMATO A CUTRO”
“LA STORIA DELLE VITTIME IN FUGA DAI TALEBANI HA COLPITO L’OPINIONE PUBBLICA”
Cecilia Strada, hai scritto e hai dichiarato per giorni sulla strage di Cutro.
«Verissimo».
E hai detto che dobbiamo imparare molto da quello che è accaduto. Posso chiederti di spiegare cosa pensi, e perché, a tuo avviso, questa storia ha segnato il sentimento collettivo del nostro Paese?
«Assolutamente sì. Intanto sono contenta che continuiate a parlarne mentre si spengono tanti altri riflettori. E poi vorrei fissare alcune lezioni importanti che stiamo capendo solo adesso, alla distanza».
A cosa ti riferisci?
«Questo naufragio è diventato un simbolo, e non era scontato. E oggi Cutro significa molto anche per chi, come me, si occupa di migranti e profughi da anni».
Come spieghi l’enorme onda di emozione e dibattito che la strage ha suscitato nel Paese
«Accade per una serie di fattori diversi e concomitanti tra di loro. E ci dice che le posizioni della destra sono diventate di fatto indifendibili. Ma a questo arrivo più avanti. Partiamo dal dire cosa ha prodotto l’anomalia».
Cecilia Strada, operatrice umanitaria, attivista, soccorritrice. Per anni ha diretto Emergency, l’organizzazione fondata da suo padre Gino. Poi, conclusa l’esperienza nella Ong “del chirurgo di guerra”, è diventata responsabile della comunicazione per la onlus italiana ResQ, People Saving People. Una organizzazione che proprio adesso è impegnata nei salvataggi a mare (anche) nella famosa rotta adriatica.
Cecilia, dici che Cutro diventa un simbolo per un insieme di fattori diversi. Elenchiamoli.
«In primo luogo la catastrofe è accaduta a pochi metri dalla riva. Sono state fatte fare mille ricostruzioni, lacunose o burocratiche, ufficiali e ufficiose, si è cercato di nascondere quello che era evidente dietro una cortina fumogena. Ma se poi vai lì, e capisci dove è affondata la nave, ti accorgi di una cosa semplice: non si poteva non vedere. Non si poteva lasciar morire delle persone ad un passo dalla salvezza».
C’è poi un fattore emozionale aggiuntivo.
«Il fatto che ci fossero tanti bambini, tra le vittime, ci ha giustamente colpito. Ha infranto da subito il racconto della destra: clandestini, pericolosi, potenziali criminali».
Ma per te neanche questo è stato il motivo decisivo, vero?
«Trovo ancora più importante il fatto che siamo riusciti a ricostruire le storie delle vittime».
È una lezione anche per il giornalismo.
«Infatti. Al contrario di tante altre stragi anonime del passato, pensaci, abbiamo avuto la straordinaria potenza della memoria in campo. E questo perché i superstiti ci hanno portato le loro storie e quelle di coloro che sono scomparsi».
La narrazione ha orientato l’emozione dell’opinione pubblica.
«È triste, è brutale, ma io cerco sempre di dire come stanno le cose. Quando un notiziario racconta una cosa del tipo: “Altri 63 corpi trasportati dal mare sulle coste della Tunisia”, l’indifferenza è il primo sentimento possibile. Perché un numero, senza una storia, è algido».
Ne sei convinta.
«Senza dubbio. Nessuno prova empatia per un numero. E pensa anche come sono cambiate le parole dei politici, man mano che la forza delle storie irrompeva sui media».
Fammi un esempio.
«Persino per i profughi che fuggivano dall’Afghanistan, parlo delle prime e incredibili parole di Piantedosi, qualcuno nel centrodestra era riuscito a dire: “Però potevano non partire”».
E poi?
«Poi, quando scopri che su quella barca c’era – tra gli altri – una giornalista che fuggiva dai talebani perché aveva lavorato con gli occidentali, cioè con noi, tutto diventa diverso».
Sono molti che fuggono dai talebani.
«Vedi, io sono stata per tanti anni, e tante volte in Afghanistan. Mi sarebbe piaciuto molto poter dire in faccia a Piantedosi: “Caro ministro, provi lei a stare, anche solo per tre minuti, fuori dalle mura accoglienti dell’ambasciata, in strada a Kabul”».
Cosa vedrebbe?
«Lo spettacolo orrendo di un Paese che torna al Medioevo. Donne private dell’istruzione, libertà soppresse, o impiccagione di civili, come è accaduto pochi giorni fa nella provincia di Elmand».
E poi?
«Quando quelle voci hanno raccontato il loro esodo, le parole del ministro hanno iniziato a diventare ridicole».
Perché gli italiani non hanno ceduto alla demonizzazione dei migranti, proprio stavolta?
«Capiscono che gli afghani erano già con un bersaglio sulla fronte. Se non partono, muoiono. È facile».
Perché dici che il centrodestra ha una responsabilità diretta nel naufragio?
«È la loro natura. È ideologia. L’approccio che hanno seguito negli ultimi vent’anni è quello che io definisco “tecnicamente securitario”».
Cioè?
«Quando scatta un allarme, parte sempre una missione di polizia, non più una missione di soccorso. Poi in campagna elettorale il futuro governo ha alzato ulteriormente i toni. E questo non ha fatto bene a nessuno».
Loro dicono: «Ma noi non abbiamo ancora toccato nessuna legge».
«Si è prodotto qualcosa di altrettanto potente. Un clima. Ma fammi citare l’ultimo fattore decisivo nella storia di Cutro».
Quale?
«Voglio sottolineare un altro elemento che mi ha colpito molto: la grande generosità del popolo calabrese. La Calabria ha dato una lezione di civiltà al mondo, in questa occasione».
E che altro?
«Vedi, il 12 marzo c’è stato un altro orribile naufragio a 110 miglia a nord est di Bengasi. Anche lì niente soccorsi. Il che è assurdo: l’allarme era stato diramato di sabato. Ma queste persone sono morte la mattina della domenica!».
Colpa della Guardia costiera libica?
«Le autorità libiche sono di fatto una milizia armata messa insieme per respingere, non certo per soccorrere. Il risultato è la morte».
Cosa vedi se tiri un bilancio?
«Il peggio e il meglio dell’Italia. Davanti a quelle dichiarazioni del governo – ecco il peggio – i superstiti sono riusciti a rispondere con i fatti. E i calabresi hanno mille problemi, ma certo non difettano nell’accoglienza».
E la conferenza stampa con la Meloni e i ministri?
«Spettacolo buffo. I giornalisti erano platealmente più preparati di chi parlava. Capiscono che va fatta chiarezza perché non accada più».
Dicono che siete voi Ong a strumentalizzare.
«Una balla! Chiunque domandi verità, per il governo, è uno che strumentalizza i morti».
Dicono: «Ma voi delle Ong ci attaccate perché siamo di destra.
«Cascano male. Tu sai che io negli ultimi vent’anni ho attaccato tutti i governi, ogni anno, per tutte le loro inadempienze sui soccorsi in mare. Il ministro con cui ho più polemizzato, Minniti, è del Pd!».
Cosa pensi della Guardia costiera accusata dalla Guardia di Finanza?
«Gli uomini e le donne della Guardia costiera non lasciano nessuno in mare. Allora chiedetevi perché non a loro è stata data la segnalazione di intervenire nei tempi utili per poter salvare le persone».
Perché i migranti non si spostano sulla rotta adriatica?
«Se fuggi da Kabul e ti fermi in Grecia, è un inferno. Basta conoscere la rotta balcanica».
Vi dicono anche: «Ma perché voi delle Ong non siete sulla rotta ionica»?
«Questa è follia. È abbastanza logico concentrarsi dove ci sono più persone per salvare più vite. Ma trovo ridicolo accusare noi di non essere lì».
Spieghiamo perché?
«Tutto il loro impegno è stato profuso per tenere le navi lontane dai soccorsi».
Hai un esempio?
«Abbiamo calcolato una media di 900 miglia nautiche per ogni attracco in porto obbligato per le Ong da Piantedosi».
Quindi
(Sorride). «Direi che ci criticano per una cosa che hanno fatto loro. Ovvero: rendere più difficile andare e tornare da chi ha bisogno».
Solo con i regolamenti.
«E ti pare poco? Ecco un esempio: devi aspettare l’autorizzazione per un secondo soccorso».
Non c’è una legge di questo
«Non c’è una legge ma c’è una prassi: allontanare le navi. Lo fanno perché hanno costruito la loro campagna elettorale, la loro narrazione con frasi del tipo “Femiamoli, facciamo un blocco navale”, “guerra agli scafisti delle Ong”. Raccolgono quel che hanno seminato».
Soluzione
«Una sola. Per far entrare subito i rifugiati, in modo legale, servono dei decreti flussi veri».
E non ti piace la caccia agli scafisti ovunque «sul globo terracqueo»
«Non sono i trafficanti che guidano le navi».
Ne è certa.
«È sempre uno dei disperati che viene messo al timone».
Sei pessimista
«Dopo Alan Kurdi, il bambino ritrovato morto sulla spiaggia di Bordin, in Turchia, avevano detto: “Mai più”. È accaduto ancora, tuttavia».
Quindi non ti convincono le pene più severe?
«A Cutro a guidare il Tolkien era una ragazzo di 17 anni, messo lì per uno sconto di biglietto. Non è certo minacciando chi guida che si ferma chi organizza. Chiunque di noi sa che è così».
Non credi ai corridoi umanitari annunciati dal ministro Lollobrigida
«Al contrario: penso che siano la soluzione migliore».
Sento che hai un però.
(Sorriso amaro). «Però, date le loro mosse fino ad oggi, temo che non faranno nulla».
(da La Repubblica)
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