INTERVISTA A RODOTA’: “DIFENDO LE MIE IDEE, SONO CONTRO IL MODELLO FRANCESE: VI IMMAGINE UN BALLOTTAGGIO TRA BERLUSCONI E GRILLO?”
“IL PRESIDENZIALISMO SNATURA LA COSTITUZIONE E RAFFORZA I POPULISMI, MEGLIO IL MODELLO TEDESCO”… “GLI INSULTI DI GRILLO? INACCETTABILI”
«È illusorio curare la crisi della politica con scorciatoie decisioniste semipresidenzialiste. Così si rinforzano il populismo e l’antipolitica».
Idee nette quelle di Stefano Rodotà sulle riforme istituzionali.
E ce n’è per tutti.
Per Berlusconi, per Grillo e per il Pd, che mette in guardia: «Rifondare il partito sul rafforzamento dell’esecutivo servirebbe a coprire un vuoto di cultura politica. Non a rilanciare o rinnovare un’identità ».
Dunque, altro che «ottuagenario miracolato dalla rete», come inveisce il comico genovese, al quale lo studioso replica con fermezza e senza astio.
Quella di Rodotà è un’analisi lucida, che parte da lontano.
A tre decenni dalle diatribe sulla Grande Riforma, tornano i temi del presidenzialismo e del premierato. Con accuse di conservatorismo a chi vi si oppone. Anche lei è conservatore?
«Si è soliti contrapporre conservatori e riformatori a riguardo. Ma nel mezzo c’è molto di più: dal tema del bicameralismo, ai regolamenti, al numero dei parlamentari, ai poteri del premier. Sui principi costituzionali mi iscrivo di buon grado fra conservatori, ma senza rinunciare all’innovazione, sui punti elencati. Perchè un conto è la doverosa manutenzione della nostra Costituzione. Altro il suo stravolgimento su basi presidenziali o semi. Non è vero che il premier oggi non abbia poteri, come dice Berlusconi. Tutt’altro. Semmai il problema è quello dei colpi di mano sulle regole. Favoriti da maggioritarismo e Porcellum, che hanno travolto le garanzie sul 138 e sull’elezione presidenziale vigenti in era proporzionale».
Perchè tornano le pulsioni decisioniste?
«Intanto i famigerati anni 70, accusati di vischiosità , furono i più proficui in senso riformista. Dalle Regioni, allo statuto dei lavoratori, al divorzio. Invece gli anni 80, “decisionisti”, furono sterili e fatti di debito pubblico. Il punto è stata la crisi della politica. Sicchè una politica lottizzatrice pigra e svuotata dinanzi al mutamento sociale anni 80 ha finito con lo scaricare le sue colpe sulle istituzioni e sulla loro forma, invece di ripensare le “sue” forme. Si è celebrata l’alternanza come panacea. Per cui nell’era del bipolarismo tutto si sarebbe rinnovato e alternato, mutando le classi dirigenti. Risultati: aumento della corruzione, instabilità , paralisi. E una politica colonizzata da avventure populiste».
Alla base dell’«ingovernabilità » e delle larghe intese vi sarebbe l’ossessione maggioritaria?
«Sì, è stato il nostro sistema maggioritario a far crescere il populismo e il bipolarismo selvatico, con ciò che ne è seguito. A partire dal Mattarellum…».
Ma esisteva un’altra strada dopo Tangentopoli?
«Certo, e ho cercato di perseguirla in minoranza. Con la Sinistra indipendente, e contro le impostazioni di Segni e Gianfranco Pasquino. Mi sono battuto in tal senso, al referendum del 1993 contro il maggioritario. Il mio modello? Modello tedesco: metà collegi uninominali, e metà proporzionale. E poi: sbarramento, Camere diversificate, poteri del premier e sfiducia costruttiva. Infine, regolamenti, velocizzazione legislativa, poteri del “Cancelliere”. La mia posizione resta questa, sebbene sia stata sconfitta dall’egemonia di un altro senso comune, e con gli effetti che vediamo…».
Veniamo al semipresidenzialismo, che torna a circolare anche nel Pd. Il suo giudizio?
«Tecnicamente ha molte controindicazioni. Dalla cosiddetta monarchia repubblicana ai conflitti della coabitazione. Ma la questione non è tecnica o astratta. In Francia dove si è imposto tra crisi algerina e ambizioni nazionali ha retto, perchè lì c’è una lealtà repubblicana condivisa. Nel contesto italiano di contro, i rischi sono enormi, perchè non c’è delimitazione verso l’estrema destra, e il sistema potrebbe risultare catastrofico e divisivo. Oltralpe anche la sinistra ha votato Chirac, e non Le Pen. E se lo immagina un ballotaggio finale tra Berlusconi e Grillo?».
Conseguenze nefaste anche per la politica, risucchiata a quel punto tutta dentro la figura del decisore eletto dal popolo?
«Certo, per la politica e per i partiti. La subordinazione sarebbe fatale, e ne verrebbe travolta la funzione di garanzia del Presidente, cardine del nostro ordinamento parlamentare. Inficiata anche la norma che definisce immodificabile la forma repubblicana dello Stato, che fa corpo con la Repubblica parlamentare. Con danni e conflitti irreparabili. E devo dare atto a Bersani di questo: è stato sconfitto, ma ha mantenuto una posizione fermamente avversa alla personalizzazione della politica. Che è all’origine dei mali di cui parliamo».
E Grillo, negatore di libertà di mandato e democrazia delegata, non è dentro questi mali? E ancora: è deluso degli attacchi alla sua persona?
«Ho ringraziato Grillo per la sua “designazione”. Dopo avergli anche detto che, dinanzi alla canditura di Prodi, facevo un passo indietro. Poi sono andato a discutere con il suo gruppo alla Camera della democrazia parlamentare. E dissi: “Siete in parlamento, volete gettare al vento la libertà dei singoli in nome del portavoce?” Registrai consensi e dissensi. Ma la questione resta aperta, e andrà avanti lì dentro. Gli insulti? Inaccettabili, visto il mio tentativo di offrire un contributo. Lascio a ciascuno la sua libertà di giudizio, nel rispetto degli altri. Quel che mi sta a cuore è la coerenza delle mie idee. Agli attacchi sono abituato».
Agenda istituzionale di questo governo. Corretta? Confusa? Migliorabile?
«Occorre invertire priorità e strumenti. Prima ci vuole la legge elettorale: abolizione del Porcellum, magari anche con un nuovo Mattarellum. Per sottrarre a Berlusconi un’arma di ricatto, allungare eventualmente i tempi di questo governo e inserire altri temi nell’agenda, a partire dai diritti civili. Poi, per via ordinaria senza comitati e commissioni si potrà affrontare la riforma istituzionale. Ma senza stravolgimenti della forma parlamentare. E, auspicabilmente, nel solco di un sistema alla tedesca anche per quel che riguarda i rami alti».
Abbiamo evocato i partiti, corpi intermedi decisivi nella nostra Costituzione. La fine del finanziamento rischia di ucciderli?
«Viviamo sotto una spinta generalizzata anti-casta, anche per l’uso distorto delle risorse da parte del ceto politicoamministrativo. Ma rischia di farne le spese la democrazia, che senza partiti non esiste. Rischiamo un’americanizzazione della politica, dove il peso delle lobby e del denaro è preminente. Non possiamo rinunciare al ruolo di forti soggettività di massa organizzate, in grado di mediare il nesso tra Parlamento e società . Ruolo non esclusivo certo, perchè essenziali sono anche i momenti referendari, la rete, le associazioni e i movimenti civici. Ma senza partiti la democrazia si estingue, a beneficio dei ricchi e dei potenti».
Bruno Gravagnuolo
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