INTERVISTA AL GENERALE GIORGIO BATTISTI: “A BAKHMUT GLI UCRAINI ATTENDONO L’ARRIVO DELLE ARMI OCCIDENTALI”
“PER QUESTO ZELENSKY HA ORDINATO DI RESISTERE AD OLTRANZA”
L’esercito ucraino è pronto a lanciare un imminente contrattacco su Bakhmut. Ad annunciarlo è stato ieri il comandante delle forze di terra di Kiev, Oleksandr Syrsky, aggiungendo che le truppe russe vicino alla città, teatro della battaglia più lunga e sanguinosa dall’inizio dell’invasione, sono “stremate”.
“L’aggressore non ha perso la speranza di prendere Bakhmut a tutti i costi, nonostante le perdite di uomini e attrezzature, molto presto approfitteremo di questa opportunità, come abbiamo fatto vicino a Kiev, Kharkiv, Balakliya e Kupiansk”, ha detto Syrsky, riferendosi alle controffensive ucraine riuscite lo scorso anno.
A dire il vero la situazione appare molto difficile anche per Kiev: appena una settimana fa un’analisi del Washington Post rivelava che le forze armate ucraine, dopo oltre un anno di guerra, soffrono una grave carenza di uomini e munizioni. Nonostante gli aiuti militari occidentali continuino ad arrivare al fronte le armi non bastano e non possono sopperire la scarsità di soldati adeguatamente addestrati e pronti a combattere.
In questo quadro, specialmente a Bakhmut, russi e ucraini stanno conducendo una battaglia di attrito e di lento logoramento: ma a chi gioverà guadagnare tempo? A Mosca, dotata di più uomini e mezzi? Oppure a Kiev, che attende le poche – ma migliori – armi occidentali? Fanpage.it ne ha parlato con il generale di Corpo d’Armata Giorgio Battisti.
Qual è l’attuale situazione a Bakhmut e qual è la sua rilevanza strategica?
È in corso una delle battaglie più importanti e complicate di questo conflitto; come ci ha insegnato la Seconda Guerra Mondiale i combattimenti nei centri abitati delle città sono sempre estremamente difficili e dispendiosi. Basti pensare a Stalingrado. Bakhmut rappresenta oggi un caposaldo della seconda linea di difesa ucraina. Nel 2014, dopo la proclamazione d’indipendenza delle cosiddette repubbliche di Donetsk e Luhansk, l’Ucraina realizzò tre linee difensive fortificate: la prima è stata travolta dall’esercito russo nei primi mesi del conflitto, poi la progressione di Mosca si è spinta alla seconda linea, di cui Bakhmut è una delle città principali: lì confluiscono infatti molte strade e una rete ferroviaria strategica per i rifornimenti logistici.
In che modo stanno manovrando i russi?
I russi stanno attaccando frontalmente, ma anche da sud e da nord nel tentativo di oltrepassare il fiume, operazione che diventerà estremamente complicata tra qualche settimana, quando il disgelo ne ingrosserà le acque: ricordo che attraversare un fiume non è mai stato facile per nessun esercito perché ci si espone facilmente agli attacchi delle artiglierie nemiche.
Si parla anche dell’importanza simbolica di questa città.
E questo è un altro aspetto molto rilevante. Bakhmut è considerata da Kiev un punto di riferimento anche dal punto di vista simbolico: qui gli ucraini vogliono dimostrare la loro volontà e capacità di resistere a ogni costo all’aggressione russa. Ma anche Mosca punta molto su questa battaglia: Putin ha bisogno di un grande successo militare dopo le controffensive subite lo scorso autunno.
A Bakhmut è in corso una guerra di attrito. Che cosa significa?
Gli ucraini stanno tenendo duro per logorare le migliori forze russe, ovvero i contractors della Wagner e i paracadutisti dell’esercito. Kiev vuole “consumare” uomini e mezzi del nemico in attesa di quella che i comandanti preannunciano come la grande controffensiva di primavera, quando il terreno sarà praticabile dai mezzi pesanti anche fuori strada e quando gli ucraini avranno a disposizione un numero sufficiente di carri armati occidentali coi quali controbattere la superiorità numerica di corazzati russi.
Ma la battaglia di logoramento logorerà anche gli ucraini. Alcuni analisti militari sostengono che il tempo possa giocare a favore dei russi, dotati di un numero maggiore di uomini e mezzi. Cosa ne pensa?
I russi hanno certamente più mezzi; ma in termini di uomini ritengo che l’Ucraina disponga – tra esercito regolare, milizie e guardia nazionale – di numeri ancora adeguati. E per quanto riguarda il fattore tempo ricordo che Zelensky in persona poche settimane fa ha ordinato ai suoi uomini di resistere a oltranza nonostante i suoi stessi comandanti gli avessero suggerito una ritirata da Bakhmut: evidentemente il presidente ha bisogno di tempo per ricevere le armi occidentali, tecnologicamente molto migliori di quelle russe, e completare l’addestramento dei soldati che dovranno utilizzarle. Insomma, a Bakhmut è in corso uno “scontro di volontà”: entrambe le parti accettano l’idea di perdere molti uomini pur di ottenere una vittoria.
Dal fronte di Bakhmut si racconta di combattimenti nelle trincee e nelle case, un po’ come nella Prima Guerra Mondiale.
Sì, è così. Si usano le trincee perché la tecnologia delle nuove armi è diventata micidiale e per i soldati l’unico modo di ripararsi dai droni o dalle artiglierie di precisione è quello di interrarsi o nascondersi nelle case. In questo quadro si combatte essenzialmente per sopravvivere, più o meno come accadeva nella Grande Guerra. E come un secolo fa si utilizzano le stesse armi: i russi, ad esempio, impiegano spesso le vanghe da trincea. Cinicamente parlando sono migliori delle baionette nei combattimenti corpo a corpo in una trincea di pochi metri o nelle stanze di una palazzina. Insomma, nell’ambito del conflitto più tecnologico della storia si usano ancora tecniche di combattimento della Prima Guerra Mondiale.
Un’ultima domanda: è da poco terminata la visita di Xi Jinping a Mosca, cosa pensa del piano di pace avanzato dalla Cina?
Più che un piano di pace direi che è un elenco di buone intenzioni piuttosto generiche con delle velate accuse al ruolo dell’Occidente in questo e in altri conflitti: penso che la Cina, evocando il rispetto della sovranità territoriale, parli non solo e non tanto dell’Ucraina quanto della situazione in Indopacifico, dove la Nato tende ad espandere la sua influenza, soprattutto a Taiwan. Ma non solo: Pechino vuole ritagliarsi quel ruolo di mediatore internazionale “buono” perso durante la pandemia, presentandosi come l’unico Paese che ha tentato di mettere a sedere intorno a un tavolo i leader di Mosca e Kiev.
(da Fanpage)
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