“LA CAMORRA VINCE PERCHE’ FA WELFARE, IL CATTIVISMO CONTRO LE BABY GANG NON SERVE”
LO PSICOTERAPEUTA GENNARO PAGANO E’ STATO CAPPELLANO DEL CARCERE MINORILE DI NISIDA: “LO STATO PER ESSERE COMPETITIVO CON LA CAMORRA DEVE SOSTITUIRLA NELLA FUNZIONE DI SUPPLENZA CHE I CLAN SI SONO DATI”
“Se un ragazzo viene arrestato perché ad esempio coinvolto nel controllo di una piazza di spaccio, nel periodo in cui è detenuto ad aiutare la sua famiglia ci pensa il clan. Quando lui esce dal carcere, non si sente più solo un affiliato. Si sente anche in debito con la camorra. A quel punto non lo recuperi più”.
Gennaro Pagano, psicoterapeuta 43enne, è stato fino a maggio scorso il cappellano del carcere minorile di Nisida. Ora è stato chiamato dal vescovo di Napoli a coordinare il Patto educativo, la rete sociale che la Chiesa cerca di costruire per prevenire altri casi Caivano.
Pagano, ha letto le novità del decreto Caivano in consiglio dei ministri?
“Sì e mi viene lo sconforto, perché lo Stato non può limitarsi alla repressione. Per essere competitivo con la camorra deve sostituirla nella funzione di supplenza che i clan si sono dati. A cominciare dal welfare. La mia impressione è che norme come quelle del decreto Caivano servano invece a Salvini, per prendere qualche voto in più al Nord”.
Diranno che lei esprime una linea ‘buonista’. Anche Don Maurizio Patriciello dice: “Basta buonismo, per i reati gravi la maggiore età va portata a 17 anni”.
“Qui non si tratta di essere buonisti o cattivisti. Chiunque abbia familiarità con questo mondo sa che la camorra esercita un’azione di supplenza sistematica rispetto allo Stato. Questo è il vero problema. Non a caso anche in carcere la camorra è chiamata ‘o sistema’. Perché camorristi non si nasce, si diventa. Attraverso precise dinamiche sociali e culturali. E minacciare il carcere non basta. Anzi, il carcere può diventare un punto di non ritorno”.
Spieghi meglio.
“La maggior parte delle persone si riferisce alla camorra come a una realtà monolitica. In realtà la camorra è un sistema a cerchi concentrici. Il sistema dei clan è il cerchio più stretto e profondo. Ma mano a mano che incontra la società più vasta, la camorra allarga il suo raggio d’azione, fino a diventare nel cerchio più largo, un sistema ideologico di riferimento. In questo modo riesce a funzionare come uno strumento efficace di persuasione”.
Lei ha incontrato centinaia di giovani detenuti, minorenni. Come sono entrati in contatto con la camorra?
“Parliamo delle cosiddette baby gang. Per prima cosa questo è un concetto che presuppone una realtà strutturata. E’ preso in prestito da altri contesti, all’estero o nel Nord Italia, dove c’è un capo riconosciuto, una rete gerarchica, un legame che spesso è anche etnico. Ma le nostre baby gang sono gruppi spontanei, non strutturati, formati da giovani che spontaneamente riproducono una logica di banda. Alcune volte sono legati direttamente alla camorra perchè guidate da figli di boss. Ma più spesso la famiglia camorristica li tollera, li osserva perché ad esempio li considera utili per il futuro. È un rapporto di osmosi. Questo ho visto a Nisida, questo vedo ogni giorno. Le bande giovanili sono costituite da minori che non sono affiliati ai clan ma appartengono al sistema perché sono permeati da cultura camorristica e riconoscono la legittimità del potere della camorra”.
Il carcere riesce a recuperarli?
“La giustizia minorile avrebbe bisogno di una profonda riforma. Mi si consenta di escludere dal mio ragionamento Nisida, perché è una realtà dove davvero si fa tutto il possibile, ed è vista da molti come un’ancora di salvezza. Parlo di quel che accade normalmente in un carcere minorile. Se un ragazzo che non è ancora un camorrista va in carcere la figura educativa che più di tutte ha influenza è quello che io chiamo il terzo educatore, cioè il gruppo stesso dei ragazzi detenuti. Un gruppo che trasmette norme e cultura di tipo deviante. Così per quanto possa esserci la buona volontà e la professionialità di chi ci lavora, il carcere è un luogo ambiguo. Dove spesso si entra cadetti di camorra e si esce con la medaglia di aver completato un percorso”.
Torniamo a Caivano. Come giudica la risposta dello Stato?
“Io dico che ci vuole una miscela di punizione e rieducazione. Ma qui vedo uno sbilanciamento in senso securitario. Lo dico in sintesi: mandano 300 poliziotti in più a Caivano. Ma quanti sono gli assistenti sociali nel paese? E quanti gli insegnanti? Ma soprattutto, qual è la qualità dell’educazione che ricevono questi ragazzi? Come psicologo ho lavorato molto nella formazione del corpo docente, e devo dire che ho trovato tanti professori motivati e appassionati. Ma anche tanti che non avevano il minimo sindacale di competenza relazionale per avvicinare un bambino difficile. Insegnanti che magari hanno privilegiato l’opportunità del posto fisso ad altri percorsi, e si sentono demotivati, per i quali la scuola diventa un cumulo di obblighi burocratici. E invece servirebbe competenza tecnica, relazionale e psicopedagogica. E diciamocelo, servirebbero anche altri stipendi. Dovrebbe prevalere la logica per cui per realtà difficili come Caivano selezioni i professori sulla base della forte motivazione e della preparazione. A Caivano ci devi mandare i migliori. E pagarli di più. Diceva Don Milani con una provocazione che gli insegnanti dovrebbero essere pagati a cottimo, sulla base di quanti ragazzi recuperano”.
Il governo propone il carcere per i genitori i cui figli non assolvono l’obbligo scolastico.
“Appunto. L’unica risposta è il carcere. Dopo di che gli istituti di pena scoppiano. Che facciamo ci mandiamo anche le migliaia di genitori che non mandano i figli a scuola? Poi magari facciamo un indulto per depenalizzare i reati minori e cronicizziamo la devianza. Il problema è che i nostri governanti non sanno di cosa parlano. Sento dire che vogliono abbassare la soglia anagrafica della punibilità. Una norma spaventosa: nessuno nega che gli adolescenti siano diversi da quelli dei miei tempi. Ma un ragazzo a quell’età non ha la contezza necessaria delle sue emozioni, non è capace di capire con consapevolezza le conseguenze dei suoi gesti. Sembrano ovvietà, ma evidentemente non lo sono. Vogliono vietare i cellulari, l’accesso ai social… Ma lo sanno che i cellulari entrano regolarmente in carcere? Oppure leggo che vogliono vietare il porno, che ammetto può essere un problema. Ma come fai in un mondo dove tutto è accessibile per definizione? E lo è tanto più in un contesto in cui anche le pay tv sono ‘pezzottate’ regolarmente. Sono norme ridicole e soprattutto inefficaci”.
Ma lei cosa proporrebbe?
“Offriamo un welfare sano alle famiglie. Moltiplichiamo la rete degli assistenti sociali e diamo loro degli strumenti di reale efficacia. E poi sul piano educativo pensiamo a tutor obbligatori e anche ad allontanamenti periodici dalle famiglie più difficili. Allarghiamo le opportunità di questi ragazzi per mostrargli che ci sono altre possibilità, che c’è un’alternativa alla legge del vicolo”.
(da Huffingtonpost)
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