SIAMO SEMPRE STRANIERI NEI RICORDI DEGLI ALTRI: UN ABBANDONO IMPROVVISO E LA SOLITUDINE DI CHI RIMANE NEL NUOVO, STRUGGENTE, LIBRO DI ROBERTO COTRONEO, “LA CERIMONIA DELL’ADDIO”
PAGINE CHE ESCONO A BREVE DISTANZA DA UN LUTTO PERSONALE DELL’AUTORE, CHE SI ESPONE A UN CONFRONTO SERRATO CON I FANTASMI DELLA SUA MEMORIA: “ESSERE UN LETTERATO SIGNIFICA APRIRE I LIBRI DEI SOGNI CHE SONO I LIBRI FREQUENTATI, SOTTOLINEATI, NON TERMINATI, OPPURE PIÙ VOLTE RILETTI”
Siamo stranieri nei ricordi degli altri. Per quanto intenso sia il tempo vissuto insieme, quello che resta impigliato nella memoria di una relazione sono le parole che non pronunciamo, gli atti mancati, le piccole abitudini nascoste. Ecco perché, nel raccontare l’elaborazione di un abbandono e la solitudine di chi rimane, lo scrittore Roberto Cotroneo invita alla Cerimonia dell’addio (Mondadori) solo gli estranei per eccellenza: amanti, amici, figli.
Personaggi troppo vicini per osservarsi a vicenda e conservare la storia di chi è accanto. Eppure, suggerisce l’autore in questo nuovo, bellissimo romanzo, sono anche i più disposti a riconoscere che vale la pena provarci.
È quello che ci dice Anna, la voce narrante che attraversa le pagine sulla soglia di un’attesa lacerante, sperando che a varcare l’uscio un giorno sia il suo Amos.
Sposati da pochi anni, conducono una tranquilla vita di provincia: aprono una libreria, crescono due bambine, circondati dall’affetto degli amici e dalla passione per i libri. Ma il ramo su cui hanno costruito la loro armonia è destinato a spezzarsi presto. Come la neve che guardano dalla finestra una domenica mattina come tante, un’amnesia all’improvviso copre la mente di Amos. Forse è per colpa di quel manto che quando esce dall’albergo di Roma, dove si erano recati per una visita neurologica, di lui non si hanno più notizie.
Da qui comincia il tormento, la lunga ricerca di Anna, che l’autore però conduce su una strada a ritroso, nel passato e in sé stessa, come l’unica percorribile per sottrarre qualcuno dal terrore di averlo perso per sempre. Un viaggio che si annuncia difficile già in partenza. Non appena il racconto inizia a riaprire i cassetti dei giorni andati, lo straniamento è immediato e crescente, sia per la protagonista che per i lettori che la seguiranno, quasi a volerla aiutare nel trovare tracce dell’amato.
La realtà, confida Anna, è che «ogni ricordo, anziché rendermi Amos più vicino, lo allontana: diventa sempre più straniero». È il paradosso dell’«intimità distante», il primo di quella fisica della memoria che in questa trama struggente trova un manuale, un compendio delle leggi in cui ci imbattiamo quando proviamo a guardare indietro.
Del resto, per i fantasmi, per ciò che non si vede a occhio nudo e distratto dal senso comune, Cotroneo ha sempre mostrato una profonda fascinazione nella sua lunga e prolifica carriera da scrittore: incrociano l’istitutrice Margherita in Loro (Neri Pozza, 2021), appaiono ancora prima nella luce meridiana di Otranto (Mondadori, 1997), si ripresentano in Niente di personale (La nave di Teseo, 2018) nelle vesti degli ideali superati nel giornalismo e nell’editoria.
In questo nuovo libro si riuniscono in un corridoio privato: sono i ricordi dei protagonisti, ma anche i libri, gli autori, le pagine su cui hanno indugiato. E che interpellano Cotroneo anche nel suo stesso ruolo di scrittore, portando a compimento le riflessioni maturate in decenni da protagonista della cultura italiana.
Queste pagine che sono romanzo, metateatro, prosa e poesia insieme, escono a breve distanza da un lutto personale dell’autore che, in empatia con i suoi personaggi, si espone a un confronto serrato con i fantasmi della sua memoria, personale e intellettuale: affetti, artisti, poeti che l’hanno influenzato.
«Essere un letterato significa aprire i libri dei sogni (rigorosamente al plurale) che sono i libri frequentati, sottolineati, non terminati, oppure più volte riletti» scriveva in un editoriale dell’Espresso (17 agosto 2021) che, in un’epoca non inflazionata da commenti ancora acerbi, sarebbe emerso come un manifesto per la narrativa contemporanea. «Rinunciando a quell’arte del raccontare che toglie il fiato», la direzione da seguire rimane «la ricerca personale, il carattere solitario, la scommessa di un modo di raccontare, che riesce a farsi voce, solo percorrendo sentieri abbandonati troppo presto, e che dobbiamo ritrovare». Se non altro per tornare, nonostante i saluti e gli addii, a scrivere e a vivere. La cerimonia è la stessa.
(da Il Corriere della Sera)
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