LA CULTURA IN MANO ALLA DESTRA? CAOS E AMICHETTISMO
DA SANGIULIANO A GIULI: TRE ANNI DI IMPICCI E PASTICCI AL MINISTERO DELLA CULTURA… DA ANNI UNO SCANDALO DIETRO L’ALTRO
E meno male che dovevano cambiare la narrazione, smuovere la cappa culturale, rivendicare l’identità nazionale, promuovere la contro-egemonia, costruire un nuovo immaginario. Per quanto in Italia abbondino i chiacchieroni, ci si poteva perfino preoccupare di quei progetti, dietro ai quali non di rado si scorgeva un che di
implicitamente minatorio, un tono e un piglio che dietro l’alta missione patriottica tradiva nuove brame e antichi risentimenti.
Ed eccoci qui invece a dar conto dell’ennesimo impiccetto consumatosi a via del Collegio romano, le dimissioni del portavoce del ministro pizzicato col sorcio in bocca a coltivare interessi elettorali in atti d’ufficio, niente che abbia a che fare con la Cultura, ma ormai è questo che passa l’ex convento dei gesuiti: gelosie, capricci, ripicche, allontanamenti, riavvicinamenti, bizzarrie, soffiate ai giornalisti, lettere anonime, conflitti d’interesse, telefonate registrate e chat delatorie a rischio di sequestro investigativo.
Dal Dante liceale (“Fatti non foste”, eccetera) invocato a ogni piè sospinto da Gennaro Sangiuliano aka Genny Delon, al pensiero solare e supercazzolante con scappellamento a destra di Alessandro Giuli, il ministro Basettoni, pare sconveniente scendere al nutrito repertorio di vicende scabrose registrate dalle cronache in questi tre anni.
Sennonché procedere resta pur sempre un dovere civico e dunque, sommariamente e con riserva di qualche dimenticanza: multiplo caso Sgarbi, immenso caso Sangiuliano, fulmineo caso Gilioli, conseguente caso Spano con addentellati, varie ed eventuali. Quindi lite inutilmente dissimulata Giuli–Borgonzoni con inesorabili diramazioni a Cinecittà e relativa sovraesposizione di ulteriori ed esuberanti addetti stampa, per giungere ai sinuosi movimenti del silente, ma fattivo sottosegretario Mazzi cui si deve la geniale orchestrazione del caso Fenice.
E qui, almeno fino a ieri, il triste e stucchevole elenco poteva dirsi concluso, lasciando semmai alla vana malizia di osservatori nullafacenti il compito di trastullarsi su altri fantastici micro-episodi della vita culturale della Nazione. Tipo l’inusitata tarantella sviluppatasi tra la Rai e il San Carlo di Napoli per liberare l’una e incautamente riempire l’altro con il dottor Fuortes; o la nomina a manager degli shop museali del gestore di un autonoleggio di Frosinone; oppure l’indispensabile ritorno dei gladiatori al Colosseo; o anche la meditazione ministeriale il 25 aprile dinanzi al cippo che ricorda la battaglia di Canne, cui è seguito il bacio compensatorio alla tomba di Matteotti; senza ovviamente trascurare, dulcis in fundo, l’ancora misterioso destino delle chiavi d’oro della Città di Pompei.
Ora, un po’ tutto questo dipenderà dai tempi esagerati dell’odierna vita pubblica; un altro po’ sarà colpa della puzzetta sotto il naso dei radical chic che, per paura di perdere i loro privilegi mainstream, disprezzano i grandi sforzi dei patrioti nel valorizzare l’orgoglio italiano.
E tuttavia, anche respingendo la tentazione di addebitare tale caos a radici autoritarie, impreparazione di base, gaglioffaggine istituzionale e incapacità di distinguere tra governo e comando, ecco, detto chiaro chiaro il sospetto è che sia Sangiuliano che Giuli, nonostante ogni pomposa apparenza, amino molto più loro stessi che la Cultura. E comunque quel ministero che sembra un ibrido tra Temptation Island e Il gabinetto del dottor Caligari.
Ormai separata dalle sue antiche e silenziose accompagnatrici (l’istruzione, la ricerca, l’ispirazione, la memoria), sempre più la Cultura, dea oltraggiata, si è ridotta a merce, pretesto, spot, brand, marketing, packaging, broadcasting, illusione e Grandi Eventi da consumare e dimenticare. Giuli, che conosce la mitologia, forse sa anche quali guai comporta offendere quel tipo di divinità.
(da Repubblica)
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