LA “FAMIGLIA NEL BOSCO”, IL DOVERE DELLE ISTITUZIONI NELLA TUTELA DEI MINORI E LA POLITICA CHE SPECULA
LA LIBERTA’ EDUCATIVA E’ SACROSANTA MA TROVA IL SUO CONFINE NEL DOVERE DELLO STATO DI TUTELARE SEMPRE E COMUNQUE IL MINORE
C’è un principio sacro e innegabile: ogni genitore ha il diritto di crescere i propri figli secondo i propri valori e le proprie scelte. La libertà educativa è sacrosanta. Ma questo diritto inalienabile trova il suo confine nel dovere dello Stato, di chi gestisce la cosa pubblica e la salute collettiva, di garantire sempre e comunque la tutela del minore. È in questo delicato equilibrio che si inserisce il recente, e strumentalizzato, caso della cosiddetta “Famiglia del Bosco”.
Siamo in un contesto avvelenato. Dall’epoca di Bibbiano, i servizi sociali e tutte le figure che si occupano di infanzia sono sotto costante attacco. La retorica populista, che all’epoca aveva
trovato facile sponda politica soprattutto in Fratelli d’Italia, Lega e Movimento 5 Stelle, ha creato un clima di sospetto generalizzato nei confronti di chi, per mestiere, deve porsi domande sulla salute e la socialità collettiva. Tutti ricorderete gli adesivi onnipresenti in tutta Italia che recitavano: “parlateci di Bibbiano”.
Oggi, questo copione si ripete. La storia di questa famiglia di origine anglo-australiana, che ha scelto una vita rurale, isolata, priva dei comfort tipici della nostra società, è stata immediatamente trasformata in un pretesto politico. L’attuale Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il vice Primo ministro Matteo Salvini hanno brandito una “solidarietà del tutto pretestuosa” per continuare la loro battaglia contro la magistratura e, indirettamente, attaccare i servizi sociali, esattamente come fecero per il caso di Bibbiano
Le scelte di vita e la ricostruzione dei fatti
Fino alla scelta di vita rurale, la legittimità non è in discussione, anzi. L’intervento istituzionale però si basa su fatti che destano legittimi dubbi: un ricovero ospedaliero di famiglia per intossicazione da funghi di minori e genitori, il rifiuto di cure
essenziali e l’opposizione a vaccinazioni, con l’ormai ex avvocato della famiglia stesso ha definito una provocazione la richiesta di 50.000 euro a figlio.
A ciò si aggiunge la questione dell’home schooling. Pur essendo una scelta legale, non può prescindere da ciò che la scuola rappresenta: non una semplice serie di nozioni, ma socialità, confronto con i coetanei e, soprattutto, l’istituzione che proietta il bambino nel mondo dei grandi. Come ribadito dalla Presidente dell’Ordine degli Pedagogisti in un’intervista a Fanpage.it “la socialità non può mancare”.
A completare il quadro la casa: un geometra ha accertato la stabilità ma ha confermato come inesistenti l’impianto idrico e elettrico. I servizi sociali e il tribunale hanno invece descritto la struttura come fatiscente e non adatta alla presenza dei bambini, con i servizi igienici esterni e senza acqua corrente. Di fronte a queste carenze igieniche e di sicurezza, la famiglia ha mostrato una “ritrosia totale” e una non volontà di mediare, con la madre che, stando ai racconti riportati, si era già allontanata un anno fa con i figli per evitare un’ispezione. Atteggiamento confermato in queste ore che ha portato all’abbandono dell’incarico da parte
dell’avvocato di famiglia.
Il vero obiettivo: la resa dei conti con la magistratura
Qui emerge l’amara, e per certi versi prevedibile, ipocrisia della politica. Se si fosse trattato di una famiglia Rom, di una famiglia africana o di altra etnia, l’attuale destra di governo non avrebbe esitato. L’avrebbe richiamata immediatamente al rispetto delle nostre leggi, della nostra cultura e delle nostre tradizioni, utilizzando l’artiglieria mediatica in difesa dei “valori nazionali.” Rispolverando probabilmente “la bestia”, quel modello comunicativo che Morisi aveva messo in campo per Salvini per sfruttare ogni caso di cronaca.
Invece, per attaccare la magistratura, quegli stessi valori vengono barattati. Si passa sopra a un’intossicazione infantile e a gravi carenze igieniche, pur di trovare un pretesto per la “resa dei conti” politica tanto attesa. Salvini lo ha confermato, legando esplicitamente la difesa della “Famiglia del Bosco” alla necessità di un referendum per la separazione delle carriere e al desiderio di “mettere un freno a questo tipo di magistratura.” Anche l’intervento del Ministro della Giustizia Nordio, che ha promesso un approfondimento sulla vicenda, quindi una possibile
ispezione ministeriale, conferma che il tema è ormai trattato come una questione politica. Tutto molto surreale perché la scelta di questa famiglia è basata sul rispetto dell’ambiente, sul non impattare sul mondo che ci circonda e chi li difende oggi sono gli stessi che boicottano ogni giorno le politiche per l’ambiente, le conferenze per il clima e reprimono chi manifesta per tutelarle.
Il destino e il benessere di quei bambini, e il dovere di tutelarli di fronte a una famiglia restia ad ogni mediazione, sono stati sacrificati in nome di una campagna politica di un caso diventato troppo mediatico. La riprova è che casi ben più gravi che hanno portato alla morte di due bambini seguiti proprio dagli assistenti sociali sono stati raccontati dalla cronaca ma non dalla politica. L’attacco ai magistrati è la vera posta in gioco. È un grave errore: la protezione dell’infanzia non può e non deve mai diventare merce di scambio o uno strumento per lotte di potere. Le istituzioni hanno il dovere di agire per il bene superiore dei bambini, a prescindere dal loro background o dall’opportunità politica del momento.
(da Fanpage)
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