LA RIVELAZIONE DI REPORT: LA MILIZIA DI ALMASRI SAPEVA DEL RILASCIO DAL GIORNO PRIMA
L’AUDIO DI UN UOMO VICINO AL GRUPPO: “LO LIBERANO, IL PADRE DEL GENERALE HA LEGAMI CON ENI”
C’è una registrazione in cui un membro di un movimento libico vicino alla milizia
Rada, di cui è capo Osama Almasri, tranquillizza i miliziani del sicuro rilascio del loro capo, arrestato in Italia su mandato della Corte penale internazionale (Cpp) e poi riportato nel suo Paese con un volo di Stato.
L’ha fatta ascoltare all’inviato di Report l’attivista libico Husam El Gomati e risale al 20 gennaio scorso, cioè il giorno prima dell’udienza alla Corte d’appello di Roma che effettivamente scarcererà Almasri, sostenendo – come la Procura generale – che non si poteva tenerlo dentro senza l’atto di impulso del ministro della Giustizia Carlo Nordio.
Che per questo è stato indagato per rifiuto di atti di ufficio anche se poi la Camera ha cancellato tutto negando l’autorizzazione a procedere. “Osama sta tornando a casa. Questo il giorno prima. Quando tornerà, ve lo diremo. Non fate niente. Ascoltatemi. Giuro su Dio che va tutto bene, ci stava parlando. Va tutto bene. Questo il 20, eh? Sta solo finendo alcune cose e sta tornando”, riferisce El Gumati a Luca Chianca di Report nel servizio in onda stasera.
Si fa il punto anche sulle intercettazioni con il software israeliano Graphite ai danni di giornalisti, operatori umanitari e imprenditori italiani, con il rischio che informazioni sensibili finiscano a Tel Aviv. Si ipotizzano hackeraggi illegali anche alla base dell’attentato del 16 ottobre contro Sigfrido Ranucci. E c’è poi il caso di Luca Casarini e don Mattia Ferrari della Ong Mediterranea, che parlavano anche con papa Francesco
avevano Graphite nei telefoni. Ma il pontefice, dice a Report il sottosegretario delegato ai Servizi Alfredo Mantovano, non è stato intercettato.
È chiaro che anche il libico vicino alla Rada parlava, direttamente o indirettamente, con il governo o con gli apparati italiani. Ci sono mille conferme dei rapporti dei nostri Servizi con la Rada, ora caduta in disgrazia tanto che Almasri è agli arresti dal 5 novembre per ordine della Procura generale di Tripoli sempre per le violenze sui detenuti nel carcere di Mitiga (uno è morto, secondo l’accusa) che gli contesta la Corte dell’Aja. “Il direttore dell’Aise Giovanni Caravelli il giorno stesso dell’arresto di Almasri durante la riunione con Mantovano, Piantedosi e Tajani, chiarisce che i nostri Servizi hanno una collaborazione molto proficua con la milizia Rada di Almasri e di non aver ricevuto minacce di rappresaglie contro cittadini italiani, sottolineando che la Rada collaborava anche con le forze di sicurezza che operano nell’area dello stabilimento Eni di Mellitah”, ricorda Report sulla base degli atti delle indagini del Tribunale dei ministri che aveva ipotizzato anche il favoreggiamento e il peculato (per l’aereo di Stato) coinvolgendo il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e Mantovano. Ricordiamoci sempre che probabilmente non avremmo mai saputo dell’arresto di Almasri senza Nello Scavo di Avvenire.
Ora però ce n’è un’altra. Ne parla il giornalista libico Khalil Elhassi, da 10 anni a Ginevra per aver denunciato il ruolo delle milizie e i loro rapporti con il governo e i giudici libici. “Proprio
riguardo il sito Eni di Mellitah, Elhassi pubblica sui social una notizia, passata sotto silenzio, sui legami tra la famiglia Almasri e l’Eni, attraverso la società Mellitah”, informa Report. Elhassi spiega: “La società petrolifera Mellitah ha relazioni con il padre di Almasri attraverso un’azienda che si occupa di servizi logistici con cui avrebbe un contratto, questo mi è confermato da mie fonti all’interno della società Mellitah e dell’ufficio marketing della National Oil Corporation”. Il ministro Piantedosi non ne sa nulla. L’Eni nega: “Ci ha scritto sostenendo di non aver alcun rapporto con Almasri o con la sua famiglia, né economico né di altra natura”, riferisce Report. Che però ricorda: “Il ruolo dell’Eni di mantenere buoni i rapporti con i libici emerge anche nel caso della nave Asso 28, di supporto alla piattaforma petrolifera libica Sabratha. Il 30 luglio 2018, la nave salva in mare 101 migranti, ma invece di portarli in Italia, come prevede la legge, li riporta a Tripoli”. Riportare un migrante in Libia “significa esporlo alla certezza di essere torturato”, spiega Luca Masera, professore di diritto penale a Brescia.
Infine, c’è un altro dettaglio sulla richiesta di estradizione di Almasri fatta pervenire a Roma in quei convulsi giorni di gennaio nel tentativo di evitarne la consegna alla Cpp, a firma del procuratore generale libico. È una vicenda grottesca, il governo italiano la tirerà fuori solo a posteriori per difendersi dall’accusa di mancata cooperazione con la Corte, che può portare a una censura del nostro Paese all’Onu. “Almasri era a capo della polizia giudiziaria, cioè il braccio operativo della Procura Generale libica. Le milizie utilizzano il Procuratore
Generale come un loro strumento”, osserva Elhassi. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, a richiesta di un commento, è sparito. Il coraggio, se uno non ce l’ha, mica se lo può dare.
(da Il fatto Quotidiano)
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