LA TREGUA DI MATTEO CON I SUOI: MA ADESSO LITIGA CON ALFANO
SUL JOBS ACT UN CONTENTINO ALLA MINORANZA… NCD: “NON LO VOTIAMO”
Nella sostanza non cambia niente: saranno i decreti delegati a scrivere le vere norme”. Nei corridoi di Palazzo Chigi la raccontano (anche) così la mediazione sul jobs act raggiunta ieri nella Commissione Lavoro del Pd, che ha provocato la reazione minacciosa di Ncd.
“La partita è chiusa, il Parlamento voterà nelle prossime ore e dal primo gennaio avremo chiarezza sulle regole”, chiarisce Renzi da Bucarest a chiunque abbia ancora qualcosa da dire, cantando vittoria (“passo importante”).
E poi parla di “possibile fiducia” alla Camera sul testo modificato. Fiducia che al Senato, dove la legge delega poi deve tornare, viene data per scontata.
Quella che viene venduta come un’importante mediazione, viene raggiunta dopo l’ennesima trattativa tra il responsabile economico Dem, Filippo Taddei e il presidente della Commissione, Cesare Damiano (minoranza Pd).
L’accordo prevede di recepire quanto votato dalla direzione del 29 settembre, in un odg che non aveva trovato traccia nel testo uscito (con fiducia) dal Senato: il diritto al reintegro per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare.
Ieri erano tutti pronti a cantare vittoria, dalla minoranza “dialogante” (dallo stesso Damiano, a Speranza) al governo.
L’esecutivo aveva minacciato la fiducia sul testo uscito da Palazzo Madama. E va detto che le concessioni alla minoranza, la spaccano definitivamente.
Proprio sull’odg ora oggetto di mediazione, il giorno della direzione c’era stato uno scontro all’ultimo sangue, con barricate di D’Alema e Bersani.
E minoranza ridotta in pezzi: l’odg era stato approvato con 130 voti favorevoli, 11 astenuti (tra cui Speranza) e 20 contrari (tra i quali D’Alema, Bersani, Cuperlo, Civati, Fassina, D’Attorre).
“Grande soddisfazione per l’esito della riunione con il gruppo del Pd in commissione Lavoro. È un impulso decisivo per giungere il più velocemente possibile all’approvazione definitiva del testo”: ci fanno addirittura una nota congiunta il vicesegretario Lorenzo Guerini, il presidente dell’assemblea nazionale Matteo Orfini e Filippo Taddei.
Minoranza, invece, in evidente e continua difficoltà .
Civati propone per il governo l’hashtag #passodopopassoindietro (ma non sa ancora se voterà o no la riforma), D’Attorre plaude al fatto che “Renzi si è dovuto rendere conto che esiste il Parlamento”, Fassina, notando che “il governo è dovuto tornare indietro sulla fiducia sulla delega uscita dal Senato”, dichiara che prima “legge gli emendamenti e poi decide”, Cuperlo pure: “Aspettiamo di vedere il testo che verrà sottoposto al Parlamento”.
Il jobs act era stato annunciato come l’ultima frontiera dei ribelli. Al momento, i protagonisti della battaglia non hanno ancora deciso che fare.
Da chiarire, che un testo preciso ancora non c’è: esistono quindici emendamenti presentati dal Pd, che più o meno ricalcano il testo dell’accordo.
Ma ancora non è stato scritto nel dettaglio. E anche una volta che lo sarà , toccherà al governo delimitare i casi in cui il licenziamento disciplinare è previsto.
Senza contare, che (come ha deciso ieri la capigruppo alla Camera) prima si vota il jobs act, e poi la legge di stabilità che deve contenere i fondi per gli ammortizzatori sociali su cui si basa il contratto a tutele crescenti. A proposito di deleghe in bianco.
Prima, però, c’è il Senato. Se la minoranza dem abbassa i toni, in compenso li alza Ncd. “Non ci piace, non lo votiamo”, annuncia Sacconi. Poi lui e la De Girolamo vanno a Palazzo Chigi, dove sono ricevuti dal Sottosegretario , Lotti.
“Si tratta”, dicono all’uscita. La Boschi ha già detto no a un vertice di maggioranza, ma ovviamente ci tiene a chiarire che il confronto parlamentare è continuo. Tratta lo stesso Renzi con Alfano.
Alla Camera, i numeri per il governo ci sono. Ma in Senato sono a rischio: la maggioranza è fissata a 161 voti, il governo sulla carta ne conta 166. Ncd ha 31 senatori. E c’è la minoranza dem.
Il governo pensa di risolverla al solito modo: con la fiducia. Convinti tutti, renziani e non, che alla fine la voteranno tutti.
Wanda Marra
(da “il Fatto Quotidiano”)
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