LE DUE VERSIONI SU ALMASRI «PERICOLOSO. NO, CI È AMICO» BARTOLOZZI RESTA IN BILICO
APPROSSIMAZIONE E SCIATTERIA ISTITUZIONALE TRA ERRORI GIURIDICI E SCHIZOFRENIA POLITICA
La determinazione di condurre un’operazione segreta e delicata / per restituire il generale Almasri alla Libia non è stata accompagnata dalla medesima attenzione nella gestione pratica e tecnica della faccenda. Una storia contraddistinta da mosse approssimative – lo sottolineano anche le giudici del tribunale dei ministri – camuffate da procedure previste dalla legge e dall’incapacità persino di coordinare una linea comune tra i ministri coinvolti, ognuno per il suo ambito di azione.
Se proprio dovevamo restituire il torturatore per cortesia istituzionale ai libici, per questioni di affari e sicurezza dei confini, allora forse il governo avrebbe dovuto preparare una versione più convincente. Ma si è dimostrato inadeguato anche in questo, travolto dagli eventi fin dall’inizio: dal fermo a Torino del generale libico.
Nordio oggi si dice «responsabile» politicamente e giuridicamente di quanto avvenuto, sollevando la zarina del suo ministero da qualsiasi eventuale contestazione. «Bartolozzi – ha detto il guardasigilli in una nota – ha posto in essere azioni che sono state esecutive dei miei ordini
Peccato che, come emerge dalle carte, nessuno sapesse con precisione dove il ministro fosse nei giorni del 19, 20 e 21 gennaio: un’assenza per cui oggi la capa di gabinetto, dal curriculum ineccepibile e verso cui potrebbero presto concentrarsi le attenzioni della procura di Roma, rischia grosso. A lei la gestione de facto, per come ricostruito dal tribunale dei ministri, della vicenda Almasri, il torturatore libico che in Italia andava a zonzo pieno di denaro contante e con un puntatore per fucile, trovatogli durante l’arresto.
Non solo da sciatteria istituzionale è quindi contrassegnata la gestione della liberazione del generale rimpatriato. In questa storia ci sono buchi anche e soprattutto in punta di diritto. Questo è il parere del tribunale dei ministri che hanno archiviato la premier Giorgia Meloni e notificato un provvedimento di autorizzazione a procedere nei confronti dello stesso Nordio, ma anche del ministro Matteo Piantedosi e del sottosegretario con delega all’Intelligence Alfredo Mantovano.
Confusione, caos, versioni discordanti alla base delle decisioni e delle mancate scelte degli alti dirigenti ministeriali – quale è appunto Bartolozzi – e dei ministri stessi durante l’iter che ha portato alla scarcerazione del libico. Il quadro delineato dal tribunale è quello di un governo saldo e compatto nella volontà di far tornare a casa il ricercato dalla Corte dell’Aia, ma allo sbaraglio nella costruzione delle motivazioni da fornire per raggiungere l’obiettivo.
Le giudici definiscono gli atti sottoscritti dai membri dell’esecutivo come «viziati da palese irrazionalità e, come tale, illegittimi». Un esempio? Prendiamo il decreto di espulsione emesso nei confronti del torturatore Almasri dal ministro dell’Interno Piantedosi. «Tale decreto – scrivono ancora le giudici – è stato motivato in relazione alle esigenze di tutela
dell’ordine e della sicurezza pubblica, in virtù del richiamo al mandato di arresto della Corte penale internazionale».
Tuttavia «i reati per i quali è indagato il citato cittadino libico dinanzi alla Cpi sarebbero tutti stati commessi in patria, mentre in Italia, così come negli altri paesi europei, non risulta che il predetto si sia reso responsabile di alcun reato». Piuttosto, sottolineano, la pericolosità è per i libici, visto che Almasri i delitti atroci li ha commessi in quel Paese. Dunque perché riaccompagnare il ricercato in Libia, tra l’altro su un volo in gestione ai servizi segreti?
Un vero e proprio cortocircuito che il tribunale dei ministri rileva anche in altri casi. Se del resto il capo del Viminale «aveva disposto l’espulsione di Almasri, sottolineandone l’urgenza» perché il libico avrebbe potuto rappresentare «un minaccia nazionale», è l’ex prefetto Giovanni Caravelli, numero uno dell’Aise, a pensarla diversamente. Il capo dell’Agenzia per i servizi di sicurezza estera parlerà infatti di «proficui rapporti» con la forza militare di cui Almasri era a capo.
Qui il cortocircuito è totale: Piantedosi sostiene che è un pericolo pubblico, mentre gli apparati lo considerano un partner affidabile con cui interloquire. Quindi per il Viminale è un nemico, per i servizi segreti – Chigi – è un amico.
E poi c’è il capitolo «misure cautelari». Perché, nell’attesa della risoluzione del vizio procedurale su Almasri, non applicargliene una? La critica delle giudici è feroce. […] Ma di errori di questo tipo, in quei giorni di gennaio scorso, ce ne sono stati parecchi, Così se la gestione del caso è stata contrassegnata da mancato coordinamento tra i ministri e i dirigenti e da una certa schizofrenia decisionale, la volontà di liberare il libico è stata come detto univoca.
(da Il Corriere della Sera)
Leave a Reply