L’EUROPA È ANCORA VIVA. IL COMPROMESSO RAGGIUNTO AL CONSIGLIO EUROPEO, CHE PREVEDE UN PRESTITO DI 90 MILIARDI DI EURO A KIEV, NON È LA MIGLIORE DELLE SOLUZIONI MA RAPPRESENTA UN MESSAGGIO CHIARO A PUTIN
L’AMBASCIATORE STEFANINI: “L’EUROPA ESCE A TESTA ALTA PER QUATTRO MOTIVI: PERMETTE ALL’UCRAINA DI TIRARE IL FIATO; NON SI SPACCA; CONTRASTA MOSCA SENZA PRESTARE IL FIANCO A CONTROFFENSIVE LEGALI SULL’UTILIZZO DEGLI ASSET RUSSI; SI RIAPPROPRIA DI UN RUOLO NEL NEGOZIATO AMERICANO-RUSSO SULL’UCRAINA E SULLA SICUREZZA EUROPEA. IL FINANZIAMENTO UE È ESSENZIALE PER ZELENSKY PER NEGOZIARE SENZA L’ACQUA ALLA GOLA. PUTIN DEVE PRENDERE ATTO CHE I ‘PORCELLINI’ EUROPEI SONO IN GRADO DI COSTRUIRE PER L’UCRAINA UNA CASA DI MATTONI, NON DI PAGLIA”
Con il prestito di 90 miliardi di euro a Kiev, l’Europa esce assonnata ma a testa alta da un
cruciale Consiglio europeo. Per quattro motivi: permette all’Ucraina di tirare il fiato; non si spacca; contrasta Mosca senza prestare il fianco a controffensive legali; si riappropria di un ruolo nel negoziato americano-russo sull’Ucraina e sulla sicurezza europea.
Da febbraio Washington cerca di cortocircuitare gli europei. Gli europei sono intervenuti ma con poche leve in mano. Adesso ne hanno una potente: i soldi. Senza l’alea giuridico-finanziaria dell’utilizzo dei fondi russi depositati in Europa.
La decisione è arrivata nel cuor della notte: l’Ucraina riceverà dall’Unione europea un prestito a tasso zero di 90 miliardi di euro per il prossimo biennio 2026-27. I fondi saranno raccolti sui mercati finanziari internazionali con la garanzia del bilancio Ue – stessa operazione effettuata col Next Generation EU (NGEU)
Non è la bonanza dei 210 miliardi di fondi russi depositati nell’Ue ma tiene fuori da una palude di contenzioso giuridico e di potenziali rappresaglie l’Ue e i Paesi che detengono i fondi.
Certo, sarebbe stato un atto di suprema giustizia – e ironia – utilizzarli a riparazione dell’aggressione russa all’Ucraina ma giustizia e diritto non viaggiano sempre di conserva. Anche per Volodymir Zelensky meglio la sicurezza di 90 miliardi di eurobond che le sabbia mobili di 210 di fondi russi.
Il finanziamento Ue è essenziale per l’Ucraina non per continuare la guerra per due anni, ma per negoziarne la fine senza l’acqua alla gola. Era quanto sperava Vladimir Putin.
Adesso deve prendere atto che i “porcellini” europei sono in grado di costruire per l’Ucraina una casa di mattoni, non di paglia o di legno.
Finora, a sangue e sudore, ha conquistato qualche villaggio e qualche postazione ma non ha sfondato la “cintura di fortezze”. I negoziatori americani che cercavano di convincere gli ucraini a cederla alla Russia senza colpo ferire da parte di Mosca devono ripensarci. La distanza fra guerra e pace non si percorre con un contratto di compravendita immobiliare.
Nella notte di Bruxelles i leader europei hanno dimostrato a Donald Trump di essere capaci non solo di riunirsi – l’hanno fatto a lungo, ci sono abituati, ma se non altro il Presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, ha onorato la promessa di far tutto “in un giorno” – ma anche di agire. Il Presidente americano rimarrà deluso.
La differenza è che nelle decadenti democrazie europee non si agisce per ordini esecutivi – Trump ne ha firmati 221 in meno di un anno più dell’intero primo mandato – ma attraverso un processo decisionale che rispetta gli equilibri istituzionali e, in questo caso, anche nazionali.
Il Consiglio poteva forse decidere a maggioranza “qualificata” di utilizzare i fondi russi. Ma a prezzo di dilaniarsi. Non se lo può permettere nella partita geopolitica che sta giocando – nel su stesso interno, con i tre Paesi (Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca) che si sono chiamati fuori dal debito comune di 90 miliardi, oltre che sui campi insanguinati del Donbas, a Mosca e a Washington.
La scelta di ieri notte non è perfetta. Lascia qualche muso lungo fra i sostenitori dell’uso dei fondi russi, come il Cancelliere tedesco Friedrich Merz e la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen – doveva preparare meglio il terreno? – ma è la scelta giusta.
Stefano Stefanini
per www.lastampa.it
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