LO STORICO FRANCO CARDINI: DONNE, TRAME, SEGRETI E SIMBOLI, ECCO COME E’ CAMBIATO IL CONCLAVE
LA VOTAZIONE RISALE A PRIMA DEL XIII SECOLO
Conclave. Parola semplice: ma in questi tempi – ormai il latino è diventato poco familiare perfino ai seminaristi – bisognosa forse di una breve spiegazione. Cum clave è espressione appunto latina che significa letteralmente “sottochiave” e indica l’uso, sancito da papa Gregorio X , di chiudere e custodire in una stanza chiusa a chiave i cardinali destinati a decidere con il loro voto della successione pontificia.
Papa Gregorio X – al quale si deve anche il gigantesco piano di riforma fiscale pontificia riguardante le cosiddette “decime” – formulò questa regola durante il II Concilio di Lione tenutosi settecentoquarantun anni or sono, dal 5 gennaio al 13 aprile del 1274, uno dei più importanti nella storia della Chiesa.
E lo fece in quanto personalmente segnato dagli esiti di un’angosciosa esperienza della Chiesa: dopo la morte di papa Clemente IV a Viterbo nel novembre del ’68, l’inimicizia reciproca dei cardinali là convocato per dargli un successore causò una vacanza della Santa Sede lunga oltre due anni e terminata solo quando le autorità cittadine viterbesi, esasperate dal protrarsi della cosa, avevano posto fine agli indugi mettendo i reverendissimi porporati a pane ed acqua e scoperchiando il soffitto della sala dov’erano riuniti.
A quel punto, i litigiosi principi della Chiesa si erano accordati sul nome di un
chierico piacentino, Tedaldo Visconti, che aveva fatto parte in Terrasanta dell’entourage di Edoardo principe ereditario (poi re) d’Inghilterra ed era poi stato designato arcidiacono della cattedrale di Liegi.
Il Visconti, restato oltremare, fu precipitosamente richiamato nel 1271, ordinato sacerdote (era fino ad allora solo diacono), insignito della porpora cardinalizia e quindi della tiara pontificia. Si poteva allora e si può ancora oggi: anche un laico può diventar papa, naturalmente dopo aver precipitosamente percorso i gradi ecclesiali intermedi.
1274, quindi. Ma in realtà la preistoria del conclave affonda le sue origini in un’età ben più arcaica: dai tempi dell’elezione del vescovo di Roma. Secondo gli antichi cànoni confermati nel IV secolo dalla Chiesa di Teodosio ormai divenuta unica autorità religiosa legittima nell’impero romano, un vescovo dev’essere eletto dal clero e dal popolo della sua diocesi, o meglio da una qualificata rappresentanza di entrambi.
Ma nei secoli tale usanza, specie quando di trattava del vescovo di Roma, aveva dato luogo a disordini e abusi tali da indurre i padri riuniti nel concilio lateranense del 1059 a restringere il corpo elettorale a un gruppo di vescovi delle diocesi suburbicarie (cioè suffraganee) della sede romana nonché ai preti e ai vicari delle chiese dell’Urbe insignite del titolo basilicale.
I cardinali – formalmente “vescovi”, “preti” e “diaconi”, in numero in realtà variabile – costituirono da allora il collegio elettorale del capo della Chiesa romana.
Insomma: nel lungo arco di tempo che va dall’età apostolica al 1870, la morte e l’elezione del papa sono state al centro di una complessa evoluzione normativa, rituale e politica. A differenza delle monarchie ereditarie, dove vigeva il principio dell’immortalità simbolica del sovrano, la Chiesa cattolica fonda una parte essenziale della propria identità sulla necessità della sostituzione del pontefice defunto.
Questa sostituzione si articola attraverso un processo in cui si distinguono il corpo sacro e spirituale del papa, che continua a esistere simbolicamente nella figura istituzionale, e il corpo mortale, che deve essere rimpiazzato attraverso precisi meccanismi giuridici e cerimoniali
Nel corso dei secoli, tali meccanismi hanno conosciuto una profonda trasformazione. In epoca tardoantica, l’elezione del papa avveniva con la
partecipazione di una platea relativamente ampia che includeva laici e, in certi casi, anche donne; i vescovi, invece, risultavano esclusi dal processo.
L’approvazione dell’imperatore era richiesta prima della consacrazione, il momento rituale che conferiva ufficialmente i poteri pontifici. Con il consolidarsi del primato del vescovo di Roma, si affermò anche la pratica di celebrare la consacrazione sulla tomba di san Pietro, come mezzo per legittimare simbolicamente la successione apostolica.
A partire dall’VIII secolo, si moltiplicarono le imitazioni di modelli imperiali, e
i papi iniziarono a rafforzare la loro autorità temporale anche attraverso il linguaggio simbolico. L’XI secolo vide l’adozione di importanti riforme ecclesiastiche che – dal 1059, come si è visto – limitarono il diritto di voto ai soli cardinali, spostando la centralità dell’investitura dal momento della consacrazione a quello dell’elezione.
Tuttavia, questa esclusività contribuì alla formazione di lunghi periodi di sede vacante, durante i quali i cardinali, detentori del potere elettivo, avevano pochi incentivi a concludere rapidamente la votazione.
Dopo la regolamentazione del 1274, l’elezione del papa divenne quasi un affare di stato dei singoli governi della Cristianità, ciascuno dei quali aveva uno o più cardinali di sua fiducia che rappresentava la sua intenzione.
Si poteva procedere per scrutinio, ovvero per votazione ordinaria fino al raggiungimento della maggioranza richiesta; per acclamazione unanime; per compromissum, ossia la delega della decisione a un piccolo gruppo di cardinali quando l’accordo generale risultava impossibile; o per accessus, che consentiva ai cardinali di cambiare voto e aderire a un candidato già prossimo alla maggioranza necessaria.
I tentativi d’ingerenza esterna da parte di sovrani e di governi – molti dei quali vantavano diritti formali d’ingerenza sull’elezione dei cardinali provenienti dai loro paesi – dettero luogo spesso a episodi drammatici o divertentissimi: l’umanista Enea Silvio Piccolomini, divenuto papa Pio II nel 1458, narrò con lingua appuntita e tagliente nei suoi Commentarii le vicende del conclave da cui era uscito eletto.
A partire dal XVII secolo, con le riforme introdotte da Gregorio XV nel 1621, il procedimento fu reso più rigoroso: venne sancita la segretezza assoluta del voto, fu imposta la maggioranza dei due terzi e si rese più difficile il ricorso
all’acclamazione, al fine di contenere il potere delle fazioni interne al collegio cardinalizio. Con la costituzione Vacantis apostolicea sedis del 1945 (di Pio XII) e il “motu proprio” Summi pontificis electio del 1962 (di Giovanni XXIII) si è giunti all’attuale situazione
Franco Cardini
(da La Stampa)
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