LOTTA ALLA MAFIA, MELONI AL BIVIO
METTERE LA MAGLIETTA DI BORSELLINO A PALERMO E LAVORARE A ROMA PER RINNEGARLO
Tenere insieme quelli di “Mangano è un eroe” e quelli che il prossimo 19 luglio per il ventesimo anno consecutivo sfileranno a Palermo con le magliette “Meglio un giorno da Borsellino che cento da Ciancimino”. Insieme non ci stanno, una scelta va fatta, e se l’orientamento del ministro della Giustizia Carlo Nordio (che insiste da due giorni sulla revisione del reato di concorso esterno in mafia) non ne terrà conto dovrà affrontarne le conseguenze perché il melonismo può sopportare e persino difendere certi racconti sgangherati, certe gaffe, certe eccessive predisposizioni all’affarismo più spregiudicato, ma non può reggere una picconata alla lotta alla mafia e soprattutto alla memoria dei magistrati di Palermo che sono da un trentennio i capisaldi del suo Pantheon
In passato, la destra ha ingoiato molti rospi in materia. Ha accettato per amor di coalizione di ignorare gli intrecci di interessi che hanno portato alla condanna di autorevoli rappresentanti forzisti, si è acconciata a sostenerli nelle liste quando erano indagati e turandosi il naso ha evitato di commentare ogni provvedimento rubricato sotto alla voce “favore ai clan”.
Dopo le elezioni si è sottomessa alla necessità di concordare con Silvio Berlusconi il nome del Guardasigilli e la sua linea d’azione, tanto che per ottenere il placet alla nomina di Nordio fu organizzato un faccia a faccia privato con il Cavaliere a Villa Grande.
Incontro a due, riservatissimo, dal quale entrambi uscirono contenti con l’annuncio che Berlusconi rinunciava a esercitare il diritto di primogenitura vantato sul ministero di via Arenula.
Poco dopo, quando sul tema delle intercettazioni Nordio suscitò il primo putiferio della sua carriera ministeriale, il Cavaliere diffuse addirittura un video di incoraggiamento: «Finalmente l’Italia ha un ministro della Giustizia di cultura liberale e garantista, una cultura profondamente affine alla nostra», «Noi di Forza Italia ne sosterremo l’azione con assoluta convinzione».
Ma adesso che Berlusconi non c’è più, ora che il dovere di accontentarlo è svanito e che l’agenda della giustizia non passa più per la scrivania di Arcore, i compromessi del passato si stemperano, perdono di senso.
E a tutti comincia a diventare chiaro il rischio che il racconto della prima premier donna d’Italia – legalità, rigore, Patria – sia sopraffatto dai residui della narrazione politica precedente, a lungo tollerata per interesse o necessità ma legata ad altre storie, a un’altra leadership e soprattutto a un diverso coacervo di interessi personali e modi di vita. Non solo in materia di giustizia.
A ben guardare, tutti gli inciampi di questo inizio estate sono collegati a uno stile molto lontano dal preteso rigore dio-nazione-famiglia della destra conservatrice e assai più vicino ai vecchi fasti del Popolo della Libertà, quello che Corrado Guzzanti raccontava come una festa sgangherata e senza regole dove valeva tutto, dai comizi sulla prostata alle furbate fiscali, dal conflitto di interesse all’irruzione per fatto personale nelle inchieste della magistratura o all’uso disinvolto di carte riservate per inchiodare gli avversari.
Il morto afferra il vivo e lo fa prigioniero, come dice una celebre espressione di Carl Marx: questo è il pericolo che si addensa e che trasforma il secco alt a Nordio sulla revisione del concorso esterno in qualcosa di più della correzione di una linea, cosa già vista in tanti casi di questi ultimi mesi.
Dietro quel segnale d’arresto non c’è solo l’immaginabile moral suasion del Presidente della Repubblica o l’urgenza di chiudere un conflitto con la magistratura aperto per rabbia e per dispetto.
C’è il timore di perdere la faccia e la reputazione, attributo massimo del nuovo corso meloniano. E c’è, soprattutto, un anniversario che scotta e al quale è impossibile presentarsi con la macchia di una ritrattazione in materia di mafia. Mettere la maglietta di Paolo Borsellino a Palermo e lavorare a Roma per diluire la sua eredità non è possibile, pure Nordio dovrà farsene una ragione.
(da La Stampa)
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