MELONI, NON CI SONO PARAGONI: PERCHE’ PARLA DI COSE CHE NON CONOSCE?
“CAMPI NOMADI? MEGLIO LE PIAZZOLE DI SOSTA, SI INTEGRANO MEGLIO”: QUANDO CORRERE DIETRO AI MATTI PORTA AL REPARTO DI PSICHIATRIA… ECCO COSA ACCADE IN EUROPA
Poche ore fa, in visita a Firenze, la segretaria di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni ha sostenuto: “I campi nomadi sono un modo per isolare queste persone, non per integrarle. Le piazzole di sosta possono farlo”.
“Stiamo proponendo su tutto il territorio nazionale l’allestimento di piazzole temporanee di sosta dove questi nomadi arrivano, pagano le utenze e dopo un periodo stabilito si devono spostare“.
La Meloni poi dice: “In altre nazioni ci sono piazzole di sosta attrezzate come queste che non riusciamo a fare noi. I campi nomadi legali esistono solo in Italia”
A parte l’umorismo involontario della migliore integrazione che le piazzole temporanee di sosta garantirebbero (è come sostenere la maggiore socializzazione degli automobilisti se si fermassero nelle corsie d’emergenza delle autostrade, rispetto all’autogrill), è il caso di informare la Meloni su cosa accade in Europa.
Anche perchè seguire dei matti per contendersi un pugno di voti può portare anche, nei casi gravi, al ricovero in psichiatria.
Il caso italiano
In Italia ci sono circa 180.000 persone di origine rom e sinti. Di questi, il 50% hanno nazionalità italiana e 4 su 5 vivono in regolari abitazioni, lavorano e studiano esattamente come gli altri cittadini italiani o stranieri nel nostro Paese.
La piaga dei campi nomadi interessa 40.000 persone. Insomma, 1 rom su 5 vive in un campo.
E già questo ridimensiona l’entità del fenomeno.
Campi che non dovrebbero esserci, dal momento che più volte la comunità europea si è espressa in tal senso, promuovendo iniziative per l’integrazione delle etnie, che vivono sparpagliate un po’ in tutta Europa.
A scorrere i Rapporti del Consiglio europeo, l’Italia sembra avere la maglia nera nella gestione della questione rom. La lista delle “mancanze” italiane è lunghissima.
Contrariamente agli altri paesi della vecchia Europa, non abbiamo una politica certa sui documenti di identità e di soggiorno mentre in altri paesi hanno la carta di soggiorno e anche i passaporti.
Nonostante molti Rom e Sinti vivano in Italia da decenni, non hanno la cittadinanza col risultato che migliaia di bambini rom nati in Italia risultano apolidi.
L’Italia, soprattutto, continua ad insistere nell’errore di considerare queste persone nomadi segregandole in campi sprovvisti dei servizi e diritti basilari mentre invece sono persone a tutti gli effetti stanziali.
Cosa accade in Francia
La Francia sembra aver adottato il modello migliore sul fronte dell’accoglienza per i rom.
Un modello che si muove tra l’accoglienza e la tolleranza zero, due parametri opposti ma anche complementari: da una parte la legge Besson che prevede che ogni comune con più di cinquemila abitanti sia dotato di un’area di accoglienza; dall’altra la stretta in nome della sicurezza.
Chi non rispetta le regole dei campi e dell’accoglienza è fuori per sempre.
I campi sono una soluzione di passaggio: si prevede, contestualmente, un programma immobiliare di case da dare in affitto ai gitani stanziali e terreni familiari su cui poter costruire piccole case per alcune famiglie semistanziali e in condizioni molto precarie.
Nella regione di Parigi sono stati creati campi per 560 posti in dieci anni e in tutto il territorio francese ce ne sono 10 mila, un terzo di quelli necessari.
Ma molti gitani e manouche vivono in case popolari e in vecchi quartieri. Pagano affitto, luce e acque. “Siamo responsabilizzati – racconta Arif, rom kosovaro, un pezzo della cui famiglia vive in Francia – viviamo nei centri abitati, non siamo emarginati, facciamo lavori come facchino, gommista, piccolo trasporto, pulizie, guadagniamo e firmiamo un Patto di stabilità per cui i ragazzi sono obbligati ad andare a scuola ed è vietato chiedere l’elemosina. Se siamo disoccupati per sei mesi abbiamo il sussidio e abbiamo anche gli assegni familiari. Certo chi sbaglia, chi delinque, chi ruba, chi non manda i figli a scuola, viene cacciato dalla Francia. E su questo punto siamo noi i primi ad essere d’accordo”.
Un altro risultato, visibile, è che in Francia difficilmente si vedono zingari in giro, ai semafori o nelle vie dei centri cittadini.
In campo lavorativo la città modello di integrazione rom è Lione.
A Lione il progetto Andatu ha mobilitato forze locali, civili e nazionali, coinvolgendo anche l’Ue e utilizzando fondi erogati dalla Commissione per migliorare l’accesso al lavoro per rom e sinti e l’accesso alle case pubbliche.
In più, vengono offerti gratuitamente corsi di lingua francese, periodi di training professionale e supporto piscologico per l’inserimentoaccattonaggio.
Cosa accade in Germania
In Germania i 120 mila circa Rom sono considerati per legge “minoranza nazionale”. Hanno diritti e doveri.
Sono state assegnate case, singole o in palazzine popolari, hanno avuto il sussidio per il vitto, chi ha voluto è stato messo in condizione di lavorare. Tutto questo al prezzo di rispettare i patti e la legge. Altrimenti, fuori per sempre.
Secondo l’ultimo rapporto del Fondo sociale europeo a Berlino il progetto Task Force OkerstraàŸe garantisce che rom e sinti vengano accettati dai loro vicini e pienamente integrati nella comunità , a cominciare dal quartiere dove trovano casa. Alle famiglie rom di Germania viene assicurato supporto legale nel rapportarsi con le autorità e vengono incoraggiate diverse attività sociali che coinvolgono i bambini.
Cosa accade in Spagna
La Spagna è il Paese europeo che registra la più alta presenza di rom e sinti, sono circa 750.000, l’1.6% della popolazione.
E Madrid rappresenta anche un modello per gli altri Paesi dell’Ue: non ci sono campi nomadi e il processo di integrazione tra popolazione locale e minoranze etniche è molto avanzato.
Nel campo della sanità la Spagna si distingue come esempio positivo. Il ruolo chiave è svolto dai “mediatori sanitari”, che lavorano per migliorare l’accesso e le condizioni sanitarie dei rom di Spagna.
Viene chiamato “modello Navarra”, dal nome della provincia che per prima ha fatto passi in tal senso diversi anni fa. All’interno del programma per il fondo sociale europeo (ESF) per la lotta alla discriminazione, la Fondazione Secretariato Gitano gioca in Spagna un ruolo chiave per l’integrazione sociale e lavorativa delle comunità rom e sinti.
Cosa accade in Danimarca e Svezia
Secondo il rapporto del Fondo sociale europeo 2014, Danimarca e Svezia sono dei modelli per l’integrazione di rom e sinti nel campo dell’istruzione.
In Danimarca il progetto Hold on tight Caravan, finanziato dal ministero per l’Educazione, promuove l’integrazione dei giovani appartenenti a minoranze etniche e il loro inserimento nel mondo del lavoro.
Oggi in Danimarca un numero sempre più alto di studenti rom e sinti ha accesso alle università e al servizio pubblico di scuola superiore.
In Svezia l’associazione per l’educazione in età adulta con sede a Goteborg offre borse di studio e supporto finanziario ai rom che non sono riusciti ad andare a scuola.
Tutte queste nazioni non hanno avuto l’illuminazione della Meloni e non hanno pensato che l’integrazione si potrebbe realizzare con le piazzole di sosta.
In efetti non tutte le destre europee hanno la lungimiranza di certa sedicente destra italiana.
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